L’Infinito in un infinito. di Tommaso Maccacaro

Di infinito ho già scritto tempo addietro (vedi qui su Scienza in rete). Ma è un concetto che, di ricorrente, mi ossessiona. Dunque lo riaffronto.

Come fisico, e in particolare astrofisico, ho un po’ imparato a maneggiarlo anche perché, in fisica, l’infinito è cosa rara, ed è spesso indice di un problema matematico da risolvere, proprio per eliminarlo. È l’infinito tutto matematico, piuttosto, che mi disturba – e di infiniti, i matematici ci insegnano che ce ne sono molti. C’è quello grande-grande; è il primo che abbiamo incontrato. Ci è successo da piccoli, quando imparando a contare, ci hanno insegnato – e ci è sembrata cosa naturale, addirittura intuitiva – che ai numeri interi si può sempre aggiungere uno. I numeri diventano sempre più grandi e, come i rotoloni di una ben nota marca di carta igienica, non finiscono mai. Si può procedere con il +1 fino all’infinito.

Più o meno contemporaneamente abbiamo imparato che oltre all’infinito grande-grande c’è anche un infinito piccolo-piccolo. Si prende un numero e lo si divide per due. E poi ancora e ancora. Diventa sempre più piccolo, infinitamente piccolo, ma rimane un numero positivo diverso da zero. Anche qui si può andare avanti con le divisioni fino all’infinito.

Forse, proprio perché con questi due infiniti ci conviviamo fin da bambini, ci conviviamo tranquillamente. Non ci preoccupano, non ci spaventano. Ma dovrebbero. I fisici non hanno questo problema. Non si può dividere la materia infinite volte. Prima o poi si arriva a una singola molecola, poi agli atomi, ai protoni, neutroni ed elettroni e poi ai quark e lì, almeno per ora, ci si deve fermare. Concluse le scuole elementari abbiamo incontrato i numeri irrazionali. Numeri che non possono essere espressi come il rapporto tra due interi. Numeri, come la radice quadrata di due – la lunghezza della diagonale di un quadrato di lato unitario – che sono caratterizzati da un numero infinito di cifre casuali, cioè non ricorrenti. Quindi questi numeri non sono mai perfettamente noti. Per farlo dovremmo conoscere tutte le loro cifre decimali. Ma l’ultima non esiste. Che è molto diverso dal dire che non la conosciamo. Proprio non esiste. E già questo dovrebbe preoccupare. Perché “infinite cifre decimali, casuali” è un concetto devastante.

Per apprezzarne la ragione, e capirne le implicazioni, consideriamo, per il gusto dell’esercizio mentale, un altro infinito, a mio avviso il più bello di tutti, quello del Leopardi.

Sempre caro mi fu quest’ermo colle,
e questa siepe, che da tanta parte
dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
spazi di là da quella, e sovrumani
silenzi, e profondissima quïete …

e così via fino a

e il naufragar m’è dolce in questo mare.

Bene, non ve ne siete mai accorti ma tutta la poesia è contenuta nelle cifre decimali della radice quadrata di due. Come? E soprattutto, dove?

L’intera lirica consiste di 552 caratteri: lettere dell’alfabeto, spazi e punteggiatura. Possiamo banalmente definire a=01, b=02, c=03, … z=26, A=27, B=28, e così via includendo anche spazi, apostrofi, virgole, punti, etc. Definito questo codice, il primo verso della poesia diventa quindi:

E, in maniera compatta:

43051316180553030118155313095306215317210519205605181315530315121205

Così facendo l’intera poesia diventa una lunga stringa di cifre, 1104 per la precisione. Che Leopardi mi perdoni!

Bene. Poiché le cifre di radice 2 sono infinite e casuali, a un certo punto della loro sequenza, diciamo a partire da una qualche posizione che non conosciamo, troveremo esattamente la sequenza delle cifre che compongono l’infinito di Leopardi. Per strano che possa sembrare è proprio così. Possiamo in parte controllare che la cosa succeda veramente.

Nel sito della NASA: (apod.NASA.gov/htmltest/gifcity/sqrt2.1mil) si trova elencato il primo milione (10^6) di cifre decimali di radice 2. Se cercate all’interno della loro sequenza troverete che vi sono 9934 occorrenze della stringa “43”, 955 di “430”, 101 di “4305” e 8 di “43051”. Se avessimo esaminato non un milione ma mille miliardi (10^12) di cifre decimali avremmo trovato con tutta probabilità un’occorrenza dell’intera parola “Sempre”. Con diecimila miliardi di miliardi di cifre (10^22) avremmo molto probabilmente incontrato “Sempre caro”. Dunque per trovare l’intera poesia si tratta di considerare un numero sufficientemente maggiore di cifre decimali, ma sempre un’inezia a confronto con il numero infinito di cifre di radice 2. La probabilità di trovare l’intera lirica (descritta come abbiamo fatto qui da un numero di 1104 cifre) diventa praticamente del 100% se si considerano un po’ più di 10^1104 cifre decimali. Un numero grande, inimmaginabile, più grande di un googol (10^100) ma più piccolo di un googolplex (10^googol) e comunque minuscolo se paragonato a infinito.

Una volta capita questa cosa, ma veramente capita, e cioè che radice 2 contiene la codifica dell’Infinito di Leopardi, la mente ne deve risultare sconvolta. La mia lo è. Si apre l’abisso ed è un abisso senza fondo. Perché? Per le sue implicazioni. Perché allora, dentro ai decimali di radice 2, se ci sta l’Infinito ci deve stare, da qualche altra parte, anche il Canto notturno di un pastore errante dell’Asia, tutte le Operette morali, e poi la Gerusalemme liberata, l’Orlando furioso, i Promessi sposi, tutti i libri di Camilleri e le opere di Shakespeare, tanto in lingua originale che tradotte. E non c’è limite. Infinito non ha limite. Dunque i decimali di radice 2 contengono l’intero scibile umano. Ho fatto il conto: tutti i libri mai scritti, da Gutenberg in poi (e in tutto il mondo) sono codificabili con una stringa di 10^18 – 10^19 cifre. Per codificare tutti i caratteri dei tanti alfabeti – latino, greco, cirillico, arabo, ebraico, etc. – serviranno non due ma tre cifre. Ma tant’è; anche fossero quattro, infinito è uno spazio dove c’è sempre posto.

E se ciò non basta a far vacillare la nostra capacità di capire l’infinito, pensate che Leopardi ha scritto i suoi testi nei primi anni del 1800. I decimali di radice 2 invece son lì da sempre. Dunque contenevano la lirica prima ancora che venisse concepita. Altre vertigini. Tra i decimali di radice 2 sono nascosti non solo tutti i libri scritti sino ad oggi ma anche quelli che sono in un cassetto in attesa di un editore e quelli che verranno scritti in futuro…

La mente vacilla. È l’infinito, bellezza! Inconcepibile. Mi disturba.

fonte: https://www.scienzainrete.it/articolo/linfinito-infinito/tommaso-maccacaro/2023-06-23

fonte immagine: https://librieparole.it/classici-letteratura/2122/infinito-leopardi-parafrasi-commento/


Tommaso Maccacaro (Pavia 1951), si laurea in Fisica con lode nel 1975, a Milano, nel gruppo di Giuseppe Occhialini. La sua attività di ricerca ha inizio presso il gruppo di Astronomia X dell’Università di Leicester, in Gran Bretagna.  Rientra per un breve periodo in Italia, all’Istituto di Radioastronomia di Bologna allora del CNR, ma nel 1979 si trasferisce negli USA, presso l’Harvard Smithsonian Center for Astrophysics, dove collabora con Riccardo Giacconi, premio Nobel per la Fisica nel 2002. Nel 1989 è nuovamente in Italia e dal 1991 è Astronomo Ordinario a Milano. I suoi interessi principali sono quasar, ammassi di galassie, survey  extragalattiche e lo studio della radiazione di fondo X. Gli oltre 250 lavori pubblicati in questi campi su riviste internazionali lo hanno portato da tempo a essere uno fra i ricercatori più citati per le Space Sciences secondo l’agenzia indipendente ISI (Institute for Scientific Information). È membro dell’Unione Astronomica Internazionale e della Società Americana di Astronomia.

Negli ultimi anni  ha affiancato all’attività di ricerca un crescente interesse e impegno nella divulgazione scientifica e svolto numerosi incarichi di gestione e organizzazione della Ricerca, fra i quali la presidenza del Comitato per l’assegnazione di tempo al Telescopio Nazionale Galileo e successivamente quella del Comitato per i Programmi di Osservazione dell’ESO, l’Osservatorio Europeo del Sud. È stato Presidente dell’Astronomy Working Group e membro dello Space Science Advisory Committee dell’Agenzia Spaziale Europea, ESA. È stato Direttore dell’Osservatorio Astronomico di Brera e dal dicembre 2007 all’agosto 2011 è  stato Presidente dell’Istituto Nazionale di Astrofisica.

Ha curato «La ricerca tradita» (Garzanti 2007), un saggio di vari autori del Gruppo 2003,  che ha avuto un notevole impatto sul dibattito in corso in Italia circa lo stato della ricerca scientifica.

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