Concordo pienamente con l’analisi riportata dal collega Nicola Draoli nel suo articolo “Infermieri, i numeri non ci dicono tutto: forse c’è bisogno di una nuova narrazione” che corrisponde a quanto riportato a livello internazionale nel momento in cui si affronta il tema dell’assistenza infermieristica legato ai fabbisogni.
Il Coordinamento Nazionale Infermieri della FP CGIL ha elaborato una proposta per individuare i fabbisogni assistenziali ospedalieri basandosi sulle stesse teorie. Sicuramente uno strumento utile che va ad affiancarsi agli altri strumenti già messi a disposizione da AGENAS, Regioni ed Ordini.
Il tema è sempre molto discusso e forse nessun metodo è realmente corretto perché ognuno parte da un principio diverso: Agenas e Regioni tendono a basarsi sul rispetto degli equilibri economico finanziari e sulle capacità assunzionali delle regioni in riferimento alle attuali norme sui tetti di spesa sul personale mentre il Coordinamento Infermieri FP CGIL e gli Ordini sulle reali necessità assistenziali ed organizzative.
Come sindacalista FP CGIL, nella mia esperienza lavorativa ho ascoltato decine di proposte orientate al recupero di più infermieri possibili, per evitare che svolgano mansioni improprie e per “elevare” la loro professionalità ed autonomia.
In questi 30 anni ho assistito all’implementazione di decine di modelli organizzativi anche diversi da regione a regione: dall’introduzione di figure di supporto, alla sostituzione di infermieri nelle sale operatorie, nelle degenze, negli ambulatori ed in numerosi altri contesti.
Oggi, a 30 anni di distanza, la strategia è esattamente la stessa: la volontà di elevare la qualità della professione infermieristica in relazione all’evoluzione dei bisogni di salute scontrandoci però, oggi più che in passato, con la carenza drammatica di professionisti.
Carenza confermata in tutte le aziende sanitarie pubbliche e private in particolare nell’assistenza territoriale a partire dalle RSA, carenze che, nonostante le capacità organizzative dei dirigenti delle professioni sanitarie e dei coordinatori, volte a garantire gli standard assistenziali minimi, non trova ad oggi risposta nemmeno nella programmazione dei fabbisogni.
Con l’introduzione della nuova “figura di supporto all’infermiere” si va ancora nella direzione della sostituzione. L’obiettivo potrebbe coincidere con la strategia giusta di qualificare ulteriormente la figura dell’infermiere, ma il rischio, almeno nell’immediato, è quello di abbassare ulteriormente il livello di qualità dell’assistenza.
La bibliografia internazionale ci insegna anche che qualsiasi riorganizzazione, per ottenere i risultati migliori, non può basarsi sulla mera sostituzione dei professionisti in una situazione di costante emergenza, soprattutto quando si parla della salute delle persone.
Vogliamo ignorare i paragoni con gli altri stati europei? Nessun problema, ma non stiamo garantendo nemmeno l’attuale livello assistenziale.
Vogliamo introdurre il biennio specialistico nel percorso formativo dell’infermiere? Ben venga, ma questo necessita di modifiche normative e contrattuali che richiedono del tempo.
Vogliamo introdurre “l’aiuto infermiere”? Dobbiamo essere coscienti che ne parliamo, forse, tra almeno 4 anni senza sapere ad oggi quale sia la capacità formativa del sistema.
Nel frattempo, contratti pubblici e privati non rinnovati e la palese volontà di far lavorare di più chi è già stremato dagli attuali ritmi di lavoro. Non arrivi a fine mese? Nessun problema puoi andare a lavorare dove vuoi e quanto vuoi tanto per la partita iva c’è la FLAT TAX e magari puoi lavorare fianco a fianco con un collega dipendente del privato che, a parità di professionalità espressa, ha il contratto bloccato da 12 anni.
Ecco allora la “grande conquista” nel pubblico impiego: libera professione, anche intramoenia, per tutti professionisti sanitari del comparto, senza vincoli, con autocerticazione delle 11 ore di riposo, ma senza quell’indennità di esclusività che, per la dirigenza medica, va dai 2.519 ai 18.473 euro all’anno.
Il problema non è la libera professione, il problema sono i contratti che debbono essere rinnovati ed adeguatamente finanziati anche al fine di valorizzare le competenze come previsto nel CCNL 19-21 del comparto sanità. La necessità è quella di avere uno stipendio adeguato al lavoro svolto all’interno dell’orario contrattualmente previsto per poter poi al limite decidere liberamente se aderire o meno alla libera professione.
Nessuna strategia introdotta per il reclutamento di nuovi infermieri, numero chiuso alle università nonostante il numero delle domande sia superiore all’offerta, ignorate costantemente le richieste di fabbisogno da parte delle regioni (anche quest’anno sono più di 26.000 a fronte di 18.000 posti disponibili), nessun incentivo per le rette universitarie, nessuna strategia per il trattenimento in servizio degli attuali infermieri, nessun supporto psicologico e a tre anni dall’approvazione della legge sulle aggressioni pochissime sono le aziende hanno messo in atto strategie efficaci.
Come FP CGIL da anni denunciamo questa situazione e da anni ci attiviamo sia a livello nazionale sia a livello territoriale con proposte normative ed organizzative per affrontare la problematica senza tuttavia riscontrare una vera volontà di cambiamento nelle nostre controparti.
Si può continuare a far finta di niente sui problemi che ho provato in sintesi ad evidenziare o continuare a concentrarsi più o meno sui numeri, oppure, come io credo sia necessario, rimboccarsi le maniche e affrontare seriamente il problema.
Una cosa è certa: il Servizio Sociosanitario, così com’è, non riesce più ad essere un Servizio Pubblico, Nazionale gratuito ed universalistico.
Anche per questo ci vediamo il 24 giugno in piazza perché, lo dice la nostra bellissima Costituzione, la Salute è un diritto per tutte e tutti.
Giancarlo Go
Coordinatore nazionale infermieri Fp Cgil
fonte: https://www.quotidianosanita.it/lettere-al-direttore/articolo.php?articolo_id=114939