La corsa allo psicologo. di Angelo Fioritti

Stiamo assistendo ad una esplosione della domanda di valutazione ed intervento psicologico, con un andamento che stando ai primi dati è certamente esponenziale, incontrovertibile e non solo italiano.

Da almeno quindici anni abbiamo chiari segnali di un progressivo scadimento delle condizioni di salute mentale nella popolazione generale, in particolare nei giovani, ma non solo. Questo trend lineare, con parallelo aumento delle richieste rivolte ai servizi pubblici, ha riscontrato picchi durante la pandemia, ma quello che sta succedendo da due anni a questa parte è qualcosa di diverso e più difficile da inquadrare. Stiamo assistendo ad una esplosione della domanda di valutazione ed intervento psicologico, con un andamento che stando ai primi dati è certamente esponenziale, incontrovertibile e non solo italiano.

Si tratta di una domanda che è meglio inquadrabile in termini strettamente psicosociali, piuttosto che diagnostici, essendo la casistica reale composta da: lavoratori alienati, working poors, ragazzi in cerca di identità, ragazzi arrabbiati, ragazzi sfiduciati, padri che si innamorano di un giovane uomo, madri sfinite da mariti possessivi, genitori terrorizzati dai propri figli, coppie nel corso di separazioni devastanti, neopensionati cui non tornano i conti sulla propria esistenza, immigrati delusi da ciò che hanno trovato, preti in crisi di vocazione, medici in crisi di motivazione, insegnanti allo sbando…. L’elenco potrebbe continuare all’infinito, con tante categorie quante sono le condizioni umane di smarrimento, circostanze di vita che non danno necessariamente luogo a quadri clinici, ma che generalmente riducono il benessere, creano “disagio”, pongono in una condizione di “quasi-salute”, che può essere l’anticamera della malattia ma anche il motore della “resilienza”.

Queste situazioni sono nuove? Ce n’erano di meno tre, dieci o vent’anni fa? E’ una bolla creata dai social? Tutto può essere, ma resta il fatto nuovo che tanti vanno dallo psicologo se possono permetterselo, altrimenti si rivolgono al SSN che può solo stringersi nelle spalle, con tutti i problemi che ha. Penso che questo fenomeno faccia parte di un più profondo malessere della nostra società che da almeno trent’anni va ritirandosi da questioni cruciali per la vita degli individui e le affida alle istituzioni o, più spesso, al mercato. Atomizzazione sociale e disintermediazione sono i meccanismi attraverso cui la società si ritira, ma se a questi aggiungiamo il crollo della reputazione e della efficacia delle istituzioni (famiglia, scuola, Chiesa, sanità, giustizia, politica, tutte hanno le loro magagne), ecco che si aprono autostrade per il mercato. Corollario di questo progressivo impoverimento del legame sociale è la profonda e diffusa sfiducia circa la possibilità di trovare soluzioni sociali, politiche, collettive. Che ognuno pensi per sé, si salvi chi può.

La pandemia probabilmente c’entra poco con tutto questo, ma ai fini della corsa allo psicologo un ruolo può averlo avuto. L’interruzione temporanea delle abitudini di tutti può aver dato a ciascuno l’occasione per riflettere sulla propria vita, magari con bilanci poco soddisfacenti. Meno persone oggi trovano buoni motivi per continuare a stringere i denti in solitudine e molte di più vogliono capire in quale gioco sono intrappolati. I giovani sentono tutto ciò in maniera più immediata ed emotiva, ma per gli adulti il discorso non è molto diverso. Se le condizioni di vita reale sono cambiate un po’ alla volta, la loro rappresentazione con la pandemia è cambiata velocemente. La pandemia potrebbe anche aver “svelato l’inganno”, evidenziando l’incapacità della società globale di prevenire, gestire, e rassicurare rispetto a seri problema collettivo.

Ad esempio, anche se nella lotta al Covid vi sono stati eroismi e successi, i sentimenti di frustrazione e fallimento tra i professionisti sanitari sono molto acuti e poco raccontati. La crisi del SSN passa molto anche da qui, oltre che dallo scandaloso sottofinanziamento in atto da quindici anni.

Ed allora come porsi nei confronti di questo dilagante “disagio della civiltà”? Prima di tutto sarà bene capire quanto effettivamente il nostro Paese consideri la salute mentale di ciascun cittadino un tema proprio della società e delle istituzioni. Dobbiamo rassegnarci alla mercificazione delle prestazioni psicologiche, vale a dire dalla loro uscita dal welfare sanitario e sociale, lasciando che ognuno trovi la sua strada per ricavarsi una pozza più limpida in cui nuotare? Se così non è, dobbiamo pensarlo in un’ottica di sanità pubblica e le ipotesi relative agli interventi di natura psicologica (a prescindere dalle strategie politiche di contrasto all’impoverimento sociale) possono essere varie.

  • Esistono, ad esempio, aree che lo Stato riconosce di pertinenza sanitaria, ma sulle quali il SSN interviene limitatamente e sulla base di criteri di gravità o di reddito, come l’odontoiatria, la fisioterapia, la chirurgia estetica ed altre ancora. Il servizio pubblico, di concerto con gli ordini professionali locali, potrebbe svolgere un ruolo di coordinamento e verifica della qualità del lavoro di psicologi individuali o associati, con i quali concordare modalità operative e prezzi calmierati, riservandosi la valutazione e l’invio di chi ne ha bisogno.
  • Possono essere rafforzate le esperienze positive di “psicologia primaria”, con psicologi inseriti nelle case della salute in linea con MMG e CSM, così come le poche esperienze di “sanità dal basso”, collettivi di azione volontaria, in cui medici infermieri ed anche psicologi prestano la loro opera ad accesso libero per categorie particolarmente svantaggiate.
  • I datori di lavoro potrebbero dare il loro contributo, prefigurando un sistema semi-assicurativo, inserendo tra i benefit con cui attraggono forza lavoro qualificata anche la possibilità di consultazioni psicologiche, soluzione tutt’altro che infrequente nel Nord Europa.
  • E che dire degli psicologi scolastici, affidati alla autonomia dei singoli istituti, con competenze ed interventi spesso discutibili, a fronte di possibilità di intervento enormi se inserite in una cornice che armonizzi aspetti pedagogici, psicologici e rete sociale, magari valorizzando l’attivismo delle associazioni di volontariato?

Probabilmente vedremo confusamente sovrapporsi e competere tra loro tutte le soluzioni sopra elencate ed altre ancora. Per ora abbiamo il bonus psicologo. E certamente questa non è una grande idea.

 Angelo Fioritti,  già Direttore del Dipartimento della Salute Mentale-Dipendenze Patologiche dell’AUSL di Bologna.

 

 

fonte: https://www.saluteinternazionale.info/2023/06/la-corsa-allo-psicologo/

fonte immagine articolo: https://newsprima.it/glocal-news/in-lombardia-arriva-lo-psicologo-di-base-per-unassistenza-psicologica-gratuita-garantita-a-tutti/

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