Stefania Gabriele ed Emilia Marchionni osservano che il processo di attuazione dell’autonomia differenziata – cui recentemente è stata data un’accelerazione – deve misurarsi con numerosi e complessi problemi, soprattutto quelli distributivi connessi all’attuazione del federalismo fiscale, che pongono questioni imprescindibili: dalla fissazione del livello essenziale delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali da garantire in tutte le regioni alla definizione degli strumenti perequativi e delle relative modalità di finanziamento, alla coerenza con le scelte di programmazione e i vincoli di bilancio del Paese.
Il processo di attuazione del regionalismo differenziato, previsto dall’art. 116, terzo comma, della Costituzione, dopo la fase di stallo connessa all’emergenza sanitaria, è ripartito di recente con la legge di bilancio per il 2023 e il DDL sull’autonomia differenziata, presentato al Senato nel marzo scorso.
Di seguito, dopo un breve cenno sulle possibili motivazioni alla base delle richieste di autonomia, si prova a chiarire alcuni aspetti finanziari che sembrano oggetto di qualche confusione, per poi esaminare le recenti disposizioni ed esprimere sintetiche considerazioni sulla relativa adeguatezza a sciogliere i nodi che si incontrano lungo il percorso di attuazione dell’autonomia differenziata.
Le motivazioni delle richieste di autonomia. Si ricorderà che nel 2017 le tre Regioni Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna hanno presentato richieste di autonomia e nel febbraio 2018 si è arrivati alla definizione di accordi preliminari con il Governo su principi generali, metodologia e un primo elenco di materie; successivamente le richieste sono state estese ad ulteriori materie, arrivando a nuove bozze di intese, mentre altre Regioni hanno manifestato l’intenzione di richiedere forme di autonomia.
Si può tentare di ricostruire le probabili motivazioni che hanno spinto ad avanzare richieste in base all’art. 116, comma 3 della Costituzione. Tra quelle dal lato della spesa, il raggiungimento di una maggiore autonomia decisionale e di gestione, che consenta di guadagnare margini di manovra (ad esempio superando taluni vincoli, come quelli sul personale) e di affrancarsi dai ritardi delle amministrazioni centrali nella definizione di provvedimenti attuativi o altri passaggi amministrativi. Può aver influito, tra l’altro, nel caso del Veneto, la vicinanza con le Regioni a statuto speciale (D’Atena, 2020) e, per tutte le Regioni, l’ampio contenzioso costituzionale, che spingerebbe a contrattare preventivamente le leggi regionali anche con i singoli ministeri (Catelani, 2023). Dal lato delle entrate, si possono considerare l’obiettivo di appropriarsi dei residui fiscali (la differenza tra spese erogate ed entrate raccolte sul territorio), quello di guadagnare più ampi margini di autonomia tributaria ed eventualmente quello di svincolarsi dagli obblighi di concorso al risanamento della finanza pubblica.
Aspetti finanziari. Con riguardo all’ultimo aspetto, vanno ricordate le Sentenze n. 154/2017 e 103/2018 della Corte Costituzionale, che confermano che lo Stato può imporre contributi al risanamento della finanza pubblica a carico delle Autonomie speciali e quantificarne l’importo, sia pure rinviando alla stipula di accordi bilaterali con ciascuna autonomia. A maggior ragione ciò dovrebbe valere nel caso del regionalismo differenziato. Peraltro, presto si porrà la necessità di coordinare all’interno del futuro quadro di regole europee, attualmente in via di definizione, i profili di finanza pubblica connessi all’attuazione dell’autonomia differenziata. L’attribuzione a livello regionale di nuove funzioni finanziate con risorse proprie andrà infatti contemperata con l’esigenza di rispettare i vincoli, concordati dal governo centrale con gli organismi comunitari, sulla crescita della spesa primaria della PA, al netto delle componenti cicliche e ridotta delle entrate discrezionali. La Commissione europea, nella Relazione per paese 2023 per l’Italia, ha espresso preoccupazioni in proposito. Un eventuale concorso al risanamento della finanza pubblica potrebbe forse assumere la forma di una richiesta di riversamento all’erario di quote di risorse proprie, incluse quelle volte a finanziare le nuove funzioni attribuite, al fine di contenere in tal modo la dinamica della spesa regionale.
L’obiettivo della riappropriazione dei residui fiscali a sua volta, di fronte alle critiche e proteste emerse nell’ambito del dibattito in materia, sembrerebbe oggi un po’ offuscato. Tuttavia, anche in questo caso, saranno i modi concreti di attuazione del regionalismo differenziato a determinare i risultati.
Il concetto stesso di residuo fiscale appare peraltro piuttosto ambiguo e confuso. Infatti (Audizione del Presidente dell’Ufficio parlamentare di bilancio, 2017), il peso fiscale è sopportato dagli individui, secondo la capacità contributiva – non dai territori – e, similmente, sono gli individui a beneficiare della spesa, sulla base di caratteristiche generalmente diverse dalla residenza (età, stato di salute, reddito), mentre le politiche pubbliche con obiettivo redistributivo tra aree geografiche sono limitate. Il residuo fiscale di un territorio non è che la somma dei residui fiscali degli individui che vi risiedono, e una sua riduzione richiederebbe una ridefinizione della ripartizione del prelievo tra livelli di governo e una corrispondente riduzione degli standard delle prestazioni garantite a livello nazionale, integrati da standard locali differenziati. Per di più, lo stesso calcolo del residuo fiscale non è univoco, potendo essere operato su diverse fonti di dati – riferiti a diversi aggregati (Stato, Pubblica Amministrazione, Settore pubblico allargato) e aventi diversa natura contabile (competenza economica, cassa) -, adottando diversi criteri di regionalizzazione, con riferimento a voci di bilancio diverse (la spesa per interessi a volte non viene considerata).
La figura sottostante, tratta dall’Audizione dell’Ufficio parlamentare di bilancio sopra citata e costruita sui dati disponibili nella fase in cui le tre Regioni settentrionali richiedevano forme di autonomia, offre un quadro compatto del concetto di residuo fiscale, dato dalla distanza procapite, per ogni Regione, tra le spese (quadrato scuro) e le entrate (triangolo rosso). La maggiore inclinazione della retta di colore rosso, che rappresenta un’interpolazione delle entrate regionali, rispetto a quella scura e tratteggiata, riferita alle spese, dipende dal fatto che le prime sono più differenziate sul territorio, a seconda della distribuzione delle basi imponibili, mentre le spese, sia pure più elevate nelle Regioni più forti, presentano una maggiore uniformità. Si palesa così l’effetto redistributivo del bilancio pubblico.
Entrate e spese primarie per Regione nel triennio 2013-15
(valori medi in euro pro capite; prezzi costanti 2010)
Entrate, spese primarie e residui
L’accelerazione recente e le nebbie sul percorso. Venendo al presente, la legge di bilancio per il 2023 (L. 197/2022) ha stabilito una corsia rapida per la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni (LEP) nelle materie potenzialmente oggetto di regionalismo differenziato – da realizzare entro un anno (altrimenti subentra un Commissario) attraverso DPCM, con Intesa in Conferenza Unificata, in base alle risorse previste a legislazione vigente. Al contempo, l’attuazione dell’autonomia differenziata è subordinata alla determinazione dei LEP nelle materie o ambiti di materie riferibili ai diritti civili e sociali. Tale processo appare essenzialmente volto ad una ricognizione dei servizi già previsti dalla normativa o comunque in concreto erogati e alla relativa valutazione in termini di costo e fabbisogno standard. Dal momento che non è finanziato un incremento dei servizi, non sembra contemplato alcun meccanismo di superamento dei divari territoriali.
Il DDL attualmente in discussione in Parlamento compie alcuni passi avanti, senza peraltro chiarire diversi aspetti cruciali, tra i quali quello finanziario. Vengono definiti i principi generali per l’attribuzione di forme di autonomia differenziata e le procedure per l’approvazione delle intese; viene affermata la riserva legislativa per l’individuazione delle materie che richiedono la definizione di LEP ai fini dell’attuazione dell’autonomia, prevedendo altresì un parere delle Camere sui DPCM di approvazione dei LEP e disponendo che, qualora dalla relativa determinazione derivino nuovi o maggiori oneri, si dovranno stanziare le risorse prima di trasferire le relative funzioni. In questo modo, ove le condizioni di finanza pubblica consentano effettivamente di stanziare risorse per la finalità in esame, potrebbe aprirsi la porta ad una possibile determinazione dei LEP che vada oltre l’esistente. Non è chiaro invece cosa avverrebbe nell’ipotesi in cui, a seguito della determinazione dei LEP e del relativo fabbisogno standard, si riscontrassero profili di iniquità nella ripartizione della spesa storica e non si disponesse di margini finanziari per aumentare le risorse da attribuire alle Regioni sottofinanziate, siano esse quelle richiedenti l’autonomia differenziata o le altre. L’esperienza acquisita per il settore degli enti locali mostra in proposito quanto sia difficile superare i divari territoriali mediante un trasferimento orizzontale di risorse dai territori che erogano livelli di prestazioni superiori alla media agli altri.
Il DDL appare piuttosto scarno: non specifica cosa debba contenere l’atto di iniziativa della Regione che dà il via al processo e molti aspetti restano rinviati alle intese. Soprattutto, mancano i requisiti di accesso sulla base dei quali valutare l’ammissibilità delle istanze, ritenuti indispensabili da molti osservatori e non specificamente indicati nelle precedenti richieste: ad esempio, rispetto di criteri in materia di solidità delle finanze e capacità amministrativa delle Regioni richiedenti (Audizione dell’Ufficio parlamentare di bilancio, 2019), maggiore efficienza operativa (Audizione della Corte dei Conti, 2021), specifiche peculiarità del territorio (Pallante, 2019).
Le risorse umane, strumentali e finanziarie necessarie per l’esercizio da parte delle Regioni di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia saranno determinate da una Commissione paritetica Stato-Regione in base ai fabbisogni standard nelle materie LEP e alla spesa storica nelle materie non LEP. Il relativo finanziamento avverrebbe attraverso compartecipazioni al gettito di uno o più tributi erariali maturato nel territorio regionale. Inoltre, viene affermata la garanzia dell’invarianza finanziaria per le altre Regioni ed è confermato il finanziamento delle iniziative per la perequazione e degli interventi speciali (compresa la rimozione degli svantaggi dell’insularità).
Tuttavia, le forme di perequazione (a parte il caso della sanità, il cui meccanismo di finanziamento simmetrico è stato già definito con il D. Lgs 68/2011) restano da chiarire, in quanto dovranno essere definite nell’ambito del regionalismo simmetrico (la cui attuazione, prevista anche dal PNRR, è stata rinviata al 2027), e anche sul fronte degli interventi speciali si è fatto poco (il PNRR potrebbe contribuire ad un qualche riequilibrio infrastrutturale).
La questione cruciale consiste comunque nella dinamica, potenzialmente diversa, di fabbisogni standard e risorse assegnate, che può rendere le seconde, nel tempo, insufficienti a finanziare i fabbisogni oppure, qualora il gettito erariale nelle Regioni interessate crescesse più del fabbisogno stesso (evento probabile in territori a maggiore sviluppo economico), potrebbe assicurare un surplus di gettito agli enti che hanno ottenuto forme di autonomia differenziata, necessariamente comprimendo quello a disposizione delle altre Regioni. Il DDL prevede a tale proposito una valutazione annuale degli oneri finanziari per le Regioni che hanno ottenuto forme ulteriori di autonomia, in modo da assicurare la coerenza con gli obiettivi programmatici di finanza pubblica e l’equilibrio di bilancio, ma non è del tutto chiaro se questo debba corrispondere ad una rivalutazione annuale delle risorse, e se tale rivalutazione potrebbe andare in entrambe le direzioni; inoltre il DDL, sorprendentemente, pur ammettendo la possibilità di verifiche per specifici aspetti su garanzia dei LEP e monitoraggio delle prestazioni, non ne prevede l’obbligatorietà.
È stato osservato (Porcelli, Zanardi, 2023) che una rivalutazione periodica delle risorse sarebbe auspicabile, tenendo anche conto di eventuali interventi di correzione della finanza pubblica, sulla base di stime riferite, per i LEP, ai fabbisogni di tutti i territori regionali e, per le altre funzioni, alla programmazione della spesa nei territori diversi da quelli con forme particolari di autonomia.
La Corte dei Conti (2021) inoltre, nel riconoscere le possibilità che emergano difficoltà e disfunzioni nella gestione di relazioni “differenziate” tra Regioni e singoli ministeri su specifici settori di intervento, ha raccomandato che non venga meno un momento di coordinamento e di sintesi degli interessi generali del Paese e che siano adottati idonei strumenti di monitoraggio e rendicontazione.
In definitiva, il DDL non sembra ancora risolvere tutti i problemi emersi in relazione all’attuazione del regionalismo differenziato, lasciando aperte molte questioni decisive, cui peraltro appare assai difficile fornire soluzioni senza affrontare prima con consapevolezza i problemi distributivi legati all’attuazione del federalismo fiscale in tutte le Regioni. In particolare, la fissazione del livello essenziale di tutte le prestazioni concernenti i diritti civili e sociali da garantire sull’intero il territorio nazionale, la definizione degli strumenti perequativi e delle relative modalità di finanziamento, la coerenza con le scelte di programmazione e i vincoli di bilancio del Paese.
* Le opinioni espresse dalle Autrici in questo articolo sono personali, senza alcun coinvolgimento dell’amministrazione di appartenenza