Per Barbara Capovani. di Mario Novello

La città di Pisa ha onorato con enorme affetto e partecipazione Barbara Capovani, la psichiatra aggredita e uccisa da un paziente.

L’uccisione della collega Barbara Capovani, avvenuta a Pisa lo scorso 25 aprile, ha suscitato indignazione e rabbia, pietas e vicinanza per la famiglia, per i colleghi e le persone che in lei trovavano un riferimento. Le attestazioni di stima evidenziano che aveva scelto un campo caratterizzato non da pericoli e violenza, come si enfatizza oggi, ma da senso e valore, pur continuando la società a generare aree sempre più ampie di sofferenza psico-sociale e di marginalità, scaricandole sui servizi pubblici che così vengono indeboliti (1). Le vocazioni diminuiscono e professionisti validi si licenziano, contribuendo all’impoverimento delle risorse.

In passato, io stesso ero fortunosamente scampato a una fulminea e violentissima aggressione, potenzialmente letale, sulla porta di casa mia da parte di un uomo, con una storia di grandi difficoltà psico-sociali, fatto uscire dal carcere perché stava male e di cui ero stato, per due anni, il principale riferimento accanto al Centro di Salute Mentale.Da quella aggressione due osservazioni preliminari: i) una relazione terapeutica e di sostegno positiva può trasformarsi in odio e distruttività, al di là di errori, colpe, cattive pratiche e/o disservizi; ii) chi giunge a tali azioni è comunque una persona con la propria storia psico-sociale di traumi e dolore, da ricostruire e da comprendere. Comprendere è, infatti, un dovere etico, professionale e umano, una questione di metodo ed evita di lasciare pericolosi vuoti che alimentano inconsapevoli errori nei comportamenti, nelle relazioni e nelle organizzazioni, ma comprendere non significa giustificare. Ciascuno rimane responsabile delle sue azioni fino a prova contraria.

Non è accettabile che qualcuno debba morire così assurdamente, ma accade. Ammetterlo non significa accettare con rassegnazione e inerzia che accada, come una ineluttabile fatalità, ma, dopo il dolore, siamo obbligati a una posizione lucida e razionale per tentare di evitare che si ripeta. Se è accaduto, qualcosa ci è sfuggito di mano e non lo abbiamo capito, anche senza colpe. Comprendere è un obbligo etico, professionale e istituzionale verso chi lavora e verso i cittadini che esprimono bisogni di salute, ma anche verso le vittime, attribuendo alla loro morte significato per gli altri affinché non accada più. È doloroso ma la morte e la vita hanno relazioni profonde, come la donazione di organi voluta da Barbara, testimonia.

Ogni volta che si verifica un incidente, ad esempio a un aereo o a una nave, è normale istituire una commissione che accerti i fatti per evitare che accada ancora, compiendo un’indagine senza pregiudizi con il solo scopo di mettere in luce il problema e porvi rimedio. Anche in questo caso sarebbe auspicabile l’istituzione di una commissione, di cristallina onestà intellettuale e capace di muoversi liberamente all’interno dell’ampio repertorio delle conoscenze delle psichiatrie e delle ricche esperienze di salute mentale. La conoscenza dell’omicida, Seung, pone alcuni problemi che ne aprono altri a catena, in un labirinto in cui non dobbiamo perdere il filo.

Ecco alcuni punti cardinali:

  1. il problema dell’incontro e della storia è questione complessa, una delle contraddizioni fondamentali della psichiatria, e può declinarsi tra due estremi :
  • il primo è caratterizzato dallo sguardo che cerca il sintomo e la malattia come oggetto, a cui sono estranee la soggettività, la storia personale e l’incontro interpersonale. È lo sguardo che pietrifica, stabilisce una distanza e predetermina alcuni tipi di percorsi e di organizzazioni, di identità e di destini, di relazioni/non-relazioni/controrelazioni, condizionando la malattia e falsificandola.
  • il secondo è caratterizzato dall’accoglienza e dalla comprensione, non in senso ingenuo e buonista, ma fenomenologico. Scrive Eugenio Borgna (2) : « La restaurazione della soggettività e della intersoggettività in psichiatria….…e la conseguente sferzante contestazione del senso (nonsenso) di una «normalità» psichica astratta e formale, hanno condotto in ogni caso (al di là di ogni realizzazione pratica) alla riconsiderazione delle fondazioni epistemologiche della psichiatria».

Nella quotidianità i Servizi incontrano le persone e i loro bisogni offrendo per lo più l’affettività e le soggettività di chi vi opera, ma le due polarità, due modi antitetici di concepire la scienza, di vedere il mondo e di agire, ne strutturano il campo di azione.

  1. il problema della diagnosi. Si legge che l’omicida presentava un disturbo di personalità con tratti antisociali, esponente di una neo-lombrosiana categoria bio-psico-sociale di individui con comportamenti violenti (“antisociali”), i “pericolosi” a prescindere dalla diagnosi, da cui la società si deve difendere, come stabiliva la antica legge manicomiale. Gli schemi nosografici costituiscono convenzioni tra esperti che mutano nel tempo a seconda delle prospettive di conoscenza e riflettono bisogni e interessi diversi (codifiche diagnostiche e sistemi assicurativi). Nella quotidianità gli schemi nosografici (il sistema diagnostico DSM 5 è il più diffuso) producono e riproducono un “doppio” della realtà che non rappresenta la realtà.

Si è venuta sviluppando una concezione pericolosa: si considera che i disturbi della personalità, recente “invenzione”, non siano modificabili dagli psicofarmaci e, quindi, che una presa in carico sia inutile/impossibile. Nella categoria sono stati inseriti aspetti delle psicosi e bisogni sociali: l’etichetta diagnostica può nascondere sofferenze molto profonde, osservate unicamente nell’aspetto comportamentale “antisociale” e che non sono riconosciute[1].

Dichiarate di “non competenza” e abbandonate al loro destino, le persone non trovano una sponda di aiuto e di cura, rimbalzate tra carcere e Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura, saranno tanto più “antisociali” quanto più respinte, spesso anche con la violenta complicazione dell’assunzione di sostanze psicotrope. Questa è una pericolosissima concezione di una psichiatria “alienata” che si fonda e si misura sull’efficacia dei farmaci, espellendo da sé e dalla sua competenza ciò su cui i farmaci non hanno un effetto misurabile ed evidente, conoscenze comprese.

Vengono così respinte persone con livelli complessi di sofferenza che richiedono accoglienza e cura. A chi dovrebbero rivolgersi? Si ripropone ogni giorno la domanda di Basaglia “Cosa è la psichiatria?”.

E Basaglia scrive: «Avevamo una struttura esterna molto agile, nella quale era affrontata la malattia fuori dal manicomio. Vedevamo che i problemi riferiti alla pericolosità del malato cominciavano a diminuire: cominciavamo ad avere di fronte a noi non più una “malattia” ma una “crisi “. Noi oggi mettiamo in evidenza che ogni situazione che ci viene portata è una “crisi vitale“ e non una “ schizofrenia “, ovvero una situazione istituzionalizzata, una diagnosi. Allora noi vedevamo che quella schizofrenia era espressione di una “crisi “esistenziale, sociale, famigliare, non importa, era comunque una crisi.  Una cosa è considerare il problema una crisi e una cosa è considerarlo una diagnosi, perché la diagnosi è un oggetto mentre la crisi è una soggettività, soggettività che pone in crisi il medico, creando quella tensione di cui abbiamo parlato prima» (3).

  1. la tipologia dei Servizi (di Psichiatria o di Salute Mentale) e le loro dinamiche istituzionali hanno un legame reciproco e interattivo con i criteri che li animano e li sottendono. L’omicidio della collega richiede una ricognizione precisa della strutturazione dei Servizi, del loro funzionamento, degli obiettivi e delle dinamiche, dei percorsi delle persone nel “circuito psichiatrico”, dei fallimenti e delle frustrazioni (nessuno è esente), delle posizioni di proattività oppure di attendismo e altro. Il problema delle risorse è fondamentale ma non sufficiente se non si verificano obiettivi, stili e metodi.
  2. il problema della violenza: la storia di G.P. Seung va guardata anche attraverso la lente della violenza, quella che può avere subìto e quella che può avere agito fino all’ultimo, individuando i contesti di rinforzo (i social in primis). Nel mondo occidentale si assiste a una sorta di “sdoganamento” mentale della violenza. Continue aggressioni nel mondo sanitario e nella scuola (“a me tutto subito” da parte di ‘padri e madri di famiglia’), femminicidi, violenze sessuali, bullismo e stragi, crescente criminalità di minori – emarginati o meno, pedofilia e istigazioni all’autodistruzione (anoressia e suicidio) in rete, violenza negli stadi e nelle periferie, difficilmente controllabile da parte delle forze dell’ordine e con politiche inadeguate, mostrano una profonda crisi della società all’interno della quale si iscrive anche il dramma della collega.

Senza negare l’eventuale peso della malattia e delle dinamiche istituzionali né la responsabilità personale di Seung, ma senza scaricare tutto sulla sua individualità.

Da alcuni settori professionali vengono richieste misure organizzative e legislative:

  1. la sacrosanta tutela di chi lavora nel campo della Salute e delle attività fondamentali per la collettività, ma ogni misura implica l’implementazione quali-quantitativa dei Servizi
  2. ma che permettano anche l’internamento per pericolosità sociale, certificabile senza commissione di reati, prescindendo dalla Costituzione e dalla giurisprudenza.

In altre parole,  viene richiesto un ritorno alla Legge del 1904 quando i ricoveri in manicomio avvenivano con la sola ‘diagnosi’ di pericolosità sociale e questo è da respingere con assoluta decisone.

Mario Novello, psichiatra

Bibliografia

  1. Basaglia F, Ongaro Basaglia F. La maggioranza deviante. 1971. Einaudi, Torino.
  2. Borgna E. Introduzione a: Binswanger L. Il caso Suzanne Urban. Storia di una schizofrenia. 1994. Marsilio Editori, Venezia.
  3. Basaglia F. Conferenze Brasiliane. Raffaello Cortina Editore, Milano.

[1]Secondo la stampa l’omicida Seung avrebbe manifestato contenuti deliranti, rinforzati dai social e forse  da sostanze, ma sono necessarie conferme documentali.

 

fonte: https://www.saluteinternazionale.info/2023/05/per-barbara-capovani/

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