Gli infermieri e il punto di non ritorno. di Giancarlo Go

Giancarlo Go

Gentile direttore,
nel nostro Paese oggi mancano 150 mila infermieri (per arrivare alla media Ocse). Solo per perseguire gli obiettivi del Pnrr ne servirebbero almeno 20 mila. E nei prossimi anni, da qui al 2026, ne andranno in pensione 20 mila ogni anno, solo nel pubblico. Chi c’è, poi, spesso fugge dalla professione a causa di condizioni di lavoro divenute insostenibili. Una situazione grave, urgente, destinata a peggiorare considerando che dai percorsi di laurea escono attualmente appena 16 mila infermieri, che non coprono nemmeno il vuoto di chi se ne va.

A ciò si aggiunge che 500 strutture sanitarie su 1.000 sono in mano al privato, un privato che proprio recentemente ha superato il pubblico per numero di prestazioni in 16 regioni su 20. Intanto un italiano su 10 rinuncia a curarsi per difficoltà economiche.

Una situazione allarmante che non sembra preoccupare Governo, Regioni e l’Ordine professionale degli infermieri, che non si sforzano di individuare strategie per risolvere il problema. La sensazione, al contrario, è che ci sia la volontà di limitare il più possibile l’accesso ai percorsi di laurea infermieristica al fine di privilegiare la creazione di nuove figure alternative all’infermiere.

Il Fondo sanitario nazionale è sottofinanziato, i tetti di spesa per l’assunzione del personale rimangono e le Regioni non finanziano i fondi per i lavoratori. E nel frattempo si fa lavorare di più chi è in servizio, vendendo come libera professione l’attività aggiuntiva svolta in altre aziende, pubbliche e private.

Lo proponiamo da anni e lo faremo ancora.

Bisogna abolire il numero chiuso nelle facoltà di infermieristica, almeno temporaneamente, supportando il sistema universitario. Ricordiamo che a fronte di 26.000 domande arrivate quest’anno, solo 18.000 sono i posti disponibili.

Bisogna aiutare a sostenere i costi per la frequentazione dei corsi di laurea.

Bisogna promuovere il settore sanitario e favorire il reclutamento di giovani, come accade in molti Paesi europei.

Bisogna valorizzare le competenze e sviluppare infrastrutture di sostegno per facilitare l’equilibrio tra vita professionale e vita privata di chi questo mestiere già lo fa. E lo fa con passione e sacrificio.

Bisogna rinnovare tutti i contratti scaduti, nel pubblico e nel privato, adeguando la parte economica. Stesso lavoro, stesso salario.

Bisogna individuare un numero adeguato di personale, non basato sulle disponibilità economiche ma sulle reali necessità assistenziali.

Bisogna aggiornare il personale per garantire una migliore qualità del servizio. E favorire le opportunità di carriera.

Infine, bisogna garantire un ambiente di lavoro sicuro, dal punto di vista fisico e psicologico.

Si può far finta di niente. Oppure rimboccarsi le maniche e affrontare il problema.

Una cosa è certa: il sistema sociosanitario, così com’è, non riesce più a garantire un servizio gratuito ed universalistico.

Lo dice la nostra bellissima Costituzione: la Salute è un diritto di tutti.

fonte: https://www.quotidianosanita.it/lettere-al-direttore/articolo.php?articolo_id=113653

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