Per fare buona sanità servono solo più soldi? di Cesare Cislaghi

Leggendo in questi giorni i diversi commenti ai problemi della sanità sembra quasi che  tutto si riduca ad una questione di soldi, quelli che sono stati dati sempre di meno al nostro servizio sanitario nazionale. È verissimo che il finanziamento della sanità italiana è molto al di sotto della media europea: nel 2020, secondo i dati OECD, l’Italia era al 10° posto per spesa totale e addirittura al 15° per finanziamento pubblico, con un valore percentuale rispetto al PIL pari a 7,3% rispetto alla media ponderata europea dell’ 8,9%, cioè un quinto meno.

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Di sicuro la sanità italiana ha bisogno di maggiori risorse economiche, ma ragionare solo sul totale della spesa, e talvolta ridursi a chiederne esclusivamente l’aumento, può diventare una richiesta fondamentalmente corporativa: si chiedono più soldi per fare grosso modo le stesse cose?

Ma quali soldi? …

Innanzitutto è opportuno ragionare su come si finanzia la sanità. Nei consumi più frequenti che utilizziamo, sia comprando beni sia chiedendo servizi, chi paga è direttamente l’acquirente. Se fosse così per la sanità i servizi sanitari sarebbero per lo più pagati dai malati, ma questo porterebbe ad una non sostenibilità del sistema dato che la maggioranza dei consumi sanitari sono molto costosi e riguardano contemporaneamente solo una parte ridotta della popolazione; ad esempio sono ricoverati contemporaneamente solo un abitante ogni trecento. Quando il rischio di aver bisogno di un servizio è così concentrato allora la soluzione non può che essere quella della ripartizione del rischio tra tutti, e cioè dell’assicurazione. Tutti pagano una quota dei consumi che riguardano solo pochi.

Ma non tutti i soggetti potrebbero pagare la stessa quota ripartita della spesa sanitaria: se la spesa globale sanitaria annua (pubblica e privata) fosse di 162 miliardi, ognuno dei 60 milioni di italiani dovrebbe pagare 2.700 euro, e quindi per una famiglia di quattro persone 10.400 euro l’anno, non sarebbero certo pochi! Ed è per questo che la soluzione della nostra sanità  è quella di usare le risorse pubbliche che, attraverso i contributi fiscali, vengono versate per lo più in proporzione alla disponibilità economiche di ciascuno.

Questa soluzione però viene adottata solo per i servizi erogati direttamente dal Servizio Sanitario mentre per circa un quinto oggi si ricorre o ad assicurazioni private o all’acquisto diretto. È evidente che queste alternative creano disequità tra i cittadini in quanto questi costi sarebbero sostenuti in misura uguale per tutti, ricchi e poveri. E quindi se la spesa sanitaria aumentasse solo in questa quota, il sistema perderebbe buona parte della sua impostazione egualitaria, quindi la necessità di più risorse deve riguardare le risorse pubbliche.

… e più soldi ma per farne che?

Certamente mancano risorse soprattutto per assumere personale e per assicurare remunerazioni competitive che contrastino le fughe verso strutture private o addirittura all’estero di sanitari, medici, infermieri ed altri. Servono certamente  più risorse anche per rimodernare molte strutture e per compensare l’aumento dei costi di molti dei consumi delle strutture sanitarie. Inoltre servono più risorse anche perché la popolazione è sempre più anziana e quindi a parità dei bisogni individuali, la somma dei bisogni della popolazione aumenta.

Ma se può essere già positivo riuscire a coprire l’aumento dei costi pur lasciando inalterato il sistema come è adesso, in realtà ciò equivarrebbe a non capire che la crisi del sistema sanitario non è solo crisi economica ma anche di impostazione.

Un primo punto è la mancanza di sviluppo della prevenzione che non ha mai avuto carenza di fondi, anzi è sempre stato un problema come giustificare con attività non proprio preventive quel 5% assegnato dal riparto alle attività di prevenzione. La pandemia ha evidenziato, se ce ne fosse stato bisogno, la fragilità, se non l’assenza, di una adeguata rete di strutture dedicate alla prevenzione. E ancor più grave è l’assenza di una sensibilità preventiva nella medicina di base.

Per i medici di base sembra non si possa dire che siano sotto remunerati; semmai che c’è carenza di medici di base anche per assenza di candidature. Ma il problema maggiore non consiste solo nelle carenze di fondi assegnati alla medicina di base bensì nella non adeguatezza del ruolo alla situazione attuale della medicina. I Medici Condotti di lontana memoria possedevano una larghissima parte delle conoscenze mediche disponibili, che oltretutto mutavano lentamente. Oggi invece è difficile ipotizzare una figura di medico che sappia tutto, sia buono per tutto e riesca ad aggiornarsi su tutto.

La separazione tra medicina di base e medicina specialistica è venuta sempre più ad accentuarsi e il medico di base di fatto diventa un consumatore aspecifico di esami diagnostici che spesso servono solo per indirizzare il paziente ad uno specialista. Il sistema così non funziona anche perché i sovraconsumi di attività diagnostiche producono l’allungamento delle liste di attesa.

Tutto il sistema pre e post ospedaliero dovrebbe essere ridisegnato e forse ci si accorgerebbe che accanto a nuove esigenze di risorse si potrebbero incontrare anche importanti risparmi.

FONTE: https://epiprev.it/blog/come-sta-la-sanita/per-fare-buona-sanita-servono-solo-piu-soldi

Cesare Cislaghi Epi-economista

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