L’assenza di una relazione biologica tra genitori e bambini e bambine nati attraverso una procedura di fecondazione assistita o di maternità surrogata non interferisce con il benessere psicologico dei giovani e delle madri, o con la qualità delle relazioni familiari. Lo conferma uno studio dell’università di Cambridge che ha messo per la prima volta a confronto in maniera sistematica e sul lungo periodo gli effetti sul benessere dei giovani dell’appartenere a diversi modelli di famiglia.
La stampa danese annuncia l’arrivo imminente del primo bimbo reale che verrà al mondo grazie alla gestazione per altri. Il nascituro consentirà di mantenere l’asse ereditario in linea diretta per il titolo di un principato, da chiarire quello del diritto successorio. In Danimarca infatti vige la legge salica, che era in vigore anche in casa Savoia, secondo cui il titolo passa solo agli eredi maschi. Per la prima volta la successione di una casata verrà quindi risolta ricorrendo alla gestazione per altri. Tuttavia ci sono anche difficoltà legali da dirimere con la Germania, a cui l’antico casato appartiene e nazione di residenza del principe Gustav zu Sayn-Wittgenstein-Berleburg e della moglie Carina Axelsson Mentre, entrambi 54enni. Infatti in Danimarca la gestazione per altri è accettata in forma altruistica, mentre in Germania la pratica è vietata dalla legge.
Insomma, mentre in Italia la discussione continua a girare intorno all’idea giuridicamente assai improbabile, ma più semplice, del reato universale, altrove ci si confronta ormai con la realtà delle nuove famiglie (perfino di casata reale) e con un’idea di genitorialità ampia a cui far corrispondere un riconoscimento anche legislativo.
La gestazione per altri è una forma di procreazione assistita controversa che, nella sua dimensione di mercato, può favorire lo sfruttamento inaccettabile delle persone più deboli che vi sono coinvolte, in particolare nelle realtà dove prevalgono le disuguaglianze. Lo abbiamo scritto già in tempi non sospetti, auspicando un confronto della società civile (nel nostro come negli altri Paesi) sui termini reali della questione, nella sua complessità e riconoscendo la forma altruistica, solidale e gratuita. Senza far ricadere gli effetti di quello che si configura come uno scontro ideologico sui nascituri: colpire i bambini per punire i genitori. È quanto avvenuto, per esempio, con bambine e bambini figli di genitori omosessuali, a cui l’attuale maggioranza di governo sta invece mettendo in discussione il diritto di vedersi riconosciuti entrambi i genitori.
Famiglie arcobaleno e famiglie tradizionali: il benessere è pari
Un contributo importante dai dati di realtà è arrivato intorno alla metà di aprile quando la rivista Developmental Psychology ha pubblicato la settima fase di uno studio longitudinale che ha preso in considerazione il benessere dei bambini e delle bambine nati attraverso una procedura di fecondazione assistita o maternità surrogata. Particolare attenzione è stata posta all’eventuale manifestarsi di disturbi psicologici o difficoltà di relazione con la madre una volta diventati adulti. L’indagine, svolta dai ricercatori dell’Università di Cambridge con il contributo di un Wellcome Trust Collaborative Award, ha seguito 65 famiglie britanniche con bambini nati da riproduzione assistita: 22 da maternità surrogata, 17 da donazione di ovuli e 26 da donazione di sperma, dall’infanzia fino alla prima età adulta. Nel corso di una ventina d’anni i ricercatori hanno confrontato queste famiglie con 52 famiglie del Regno Unito formate con concepimento non assistito nello stesso periodo. Ebbene: i risultati confermano che l’assenza di una relazione biologica tra figli e genitori non interferisce con il benessere psicologico delle madri o dei giovani adulti o nella qualità delle relazioni familiari. Risultati che sono coerenti con le precedenti valutazioni effettuate all’età di uno, due, tre, sette, dieci e 14 anni.
«Nonostante le preoccupazioni di molte persone, le famiglie con bambini nati attraverso queste tecniche stanno crescendo bene», ha commentato Susan Golombok, professoressa emerita ed ex direttrice del Center for Family Research dell’ateneo inglese, continuando: «Se abbiamo notato qualche differenza positiva, è nel gruppo delle famiglie che avevano rivelato subito ai bimbi il modo in cui sono venuti al mondo».
L’indagine, infatti, non solo ha esaminato gli effetti a lungo termine di diversi tipi di procreazione assistita sulla genitorialità e l’adattamento dei figli, ma ha indagato in modo prospettico l’effetto psicologico dell’età in cui ai bambini è stato raccontato che erano stati concepiti mediante donazione di ovuli, donazione di sperma o gravidanza per altri. La maggior parte dei genitori che avevano rivelato il ricorso alla scienza per concepire il loro bambino, lo ha fatto attorno all’età di quattro anni. I giovani adulti che hanno appreso delle loro origini biologiche prima dei sette anni avevano meno relazioni negative con le loro madri e le loro madri hanno mostrato livelli più bassi di ansia e depressione. Ciò suggerisce che essere aperti con i bambini sulle loro origini, soprattutto quando sono piccoli, porta con sé ricadute positive in termini di fiducia e benessere.
Riflettendo sui propri sentimenti riguardo alle loro origini biologiche, i giovani adulti intervistati nel corso dello studio sono risultati sereni. Per esempio, un ragazzo nato attraverso la maternità surrogata: «Non mi turba davvero, le persone nascono in modi tutti diversi e se sono nato così, va bene, lo capisco». Un altro giovane adulto nato attraverso la donazione di sperma ha detto: «Mio padre è mio padre, mia madre è mia madre, non ho mai veramente pensato che possa esserci qualcosa di diverso, quindi non mi interessa davvero». Alcuni giovani hanno affermato che il modo in cui sono stati concepiti li ha fatti sentire speciali: «Penso che sia stato fantastico, penso che l’intera cosa sia assolutamente incredibile. Non ho niente di negativo da dire al riguardo» è il commento di un terzo.
«Oggi ci sono così tante famiglie create grazie alla fecondazione assistita che sembra abbastanza normale», ha aggiunto Golombok. «Ma vent’anni fa, quando abbiamo iniziato questo studio, gli atteggiamenti erano molto diversi. Si pensava che avere un legame genetico fosse molto importante e che senza di esso le relazioni non avrebbero funzionato bene. Ciò che questa ricerca vuole dimostrare con i dati scientifici è che avere figli in modi diversi o nuovi non interferisce con il funzionamento delle famiglie. Volere davvero dei figli sembra avere la meglio su tutto: questo è ciò che conta davvero».
Nonostante i limiti nella dimensione del campione studiato, della perdita dei partecipanti nel corso del tempo e nella generalizzazione dei risultati, questo studio esamina per la prima volta alcuni potenziali effetti a distanza di differenti tipi di riproduzione assistita. Contrariamente alle preoccupazioni che sono state sollevate per quanto riguarda le potenziali conseguenze negative di una qualche forma di riproduzione assistita per il benessere psicologico dei bambini, i risultati di questo studio longitudinale indicano che le relazioni familiari sono positive e c’è un adattamento del bambino dall’infanzia alla vita adulta. I risultati suggeriscono inoltre che le famiglie possono trarre vantaggio cominciando presto a parlare ai propri figli delle circostanze della loro nascita, in modo adeguato all’età, idealmente prima di iniziare la scuola.
I pediatri per le famiglie omogenitoriali
Se lo studio dell’università di Cambridge ha messo per la prima volta a confronto in maniera sistematica e sul lungo periodo gli effetti sul benessere dei giovani dell’appartenere a diversi modelli di famiglia, che uno sviluppo sano, equilibrato e armonioso dei bambini si basi sulla qualità delle relazioni affettive genitore-figlio e sulla presenza di legami sicuri e stabili con adulti responsabili e amorevoli è comunque esperienza pratica delle figure di cura e salute come i pediatri. Ecco perché quelli riuniti nell’Associazione culturale pediatri (Acp) il 12 aprile scorso hanno inviato una lettera alla ministra per la Famiglia, la natalità e le pari opportunità Eugenia Roccella per chiedere una legge che possa garantire ai bambini, fin dalla nascita, il riconoscimento del genitore intenzionale (sociale), oltre a quello biologico. Una richiesta di segno completamente opposto all’attuale orientamento della ministra e del governo. E infatti, mentre scriviamo, non si sa che sia giunta alcuna risposta, né un cenno di ricezione. Le stesse posizioni sono state espresse ai primi di febbraio anche nella lettera congiunta dei presidenti degli Ordini degli Psicologi delle Regioni Lazio, Campania, Sicilia, Marche, Abruzzo, Veneto ed Emilia Romagna, anche quella rimasta senza risposta.
La presa di posizione di Acp è disponibile sul sito dell’Associazione, che dichiara: «Il nostro intento è dare un contributo alla prospettiva di proteggere i diritti delle bambine e dei bambini che sono nati e nasceranno nelle famiglie omogenitoriali». Nei figli di genitori omosessuali non si presentano differenze rispetto ai bambini di genitori eterosessuali nella percezione del senso di sicurezza. «Ciò che può influire negativamente su questi bambini è invece quel processo di discriminazione sociale e rifiuto che si esprime sotto forma di commenti negativi, bullismo, violenza fisica e mancanza di tutela legale. Ovvero, non è il rapporto tra figlio e genitore a creare difficoltà, ma quello dovuto all’omofobia dell’ambiente esterno nei confronti dei genitori», si legge ancora sul documento.
Sebbene non affrontato esplicitamente nel documento Acp, le stesse considerazioni e gli stessi auspici valgono anche per la garanzia dei diritti dei nati con tecniche di gestazione per altri altruistica, solidale e gratuita, che peraltro a tutt’oggi riguardano nella maggioranza dei casi coppie eterologhe.
L’Italia come Polonia e Ungheria?
L’atteggiamento preconcetto e cieco sia ai risultati della ricerca sia alla pratica medica consolidata nei confronti delle persone omosessuali e transgender sta producendo uno stallo drammatico per quanto riguarda i diritti e il benessere di alcune delle componenti più giovani della nostra società, esponendole al rischio di discriminazione e di disuguaglianza, in un vuoto legislativo che non sembra esserci intenzione di colmare se non in senso peggiorativo. Non stupisce, quindi, che il nostro Paese si sia esposto a una severa censura da parte del Parlamento europeo. Lo scorso 20 aprile, infatti, la risoluzione “Depenalizzazione universale dell’omosessualità, alla luce dei recenti avvenimenti in Uganda” nell’analizzare lo stato della depenalizzazione nel mondo, cita espressamente l’Italia. Il Parlamento europeo, si legge «…è preoccupato per gli attuali discorsi e movimenti globali anti-diritti, anti-genere e anti-LGBTIQ, che sono alimentati da alcuni leader politici e religiosi in tutto il mondo, anche all’interno dell’UE; ritiene che tali movimenti ostacolino in modo significativo gli sforzi volti a conseguire una depenalizzazione universale dell’omosessualità e dell’identità transgender, in quanto legittimano il discorso secondo cui le persone LGBTIQ sono un’ideologia piuttosto che esseri umani; condanna fermamente la diffusione di tali discorsi da parte di alcuni leader politici influenti e di alcuni governi all’interno dell’Unione, in particolare in Ungheria, Polonia e Italia».
Insomma, affrontare i temi complessi dell’identità di genere e della varietà dell’idea (e della pratica) delle famiglie attuali con il machete del pregiudizio e soprattutto ignorando le evidenze dei risultati della ricerca non cancellerà i bisogni delle persone, ma certamente ne farà soffrire molte, soprattutto quelle più giovani e fragili. E consegnerà il nostro Paese nel limbo di chi chiude gli occhi per non vedere quel che succede. «Ci sono più famiglie tra cielo e terra di quante ce ne siano nella tua filosofia», scriveva Alessandro De Angelis, su la Stampa del 24 aprile. Vogliamo davvero lasciarle fuori dalla porta?
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