Il Servizio Sanitario Nazionale è stato scassato e desertificato nella componente pubblica per opera di chi ne aveva la responsabilità: i vertici politici della nazione, i vertici politici e tecnici del SSN e delle Regioni, affiancati dalle istituzioni accademiche e dalle società di consulenza multinazionali interessate da decenni alla privatizzazione del nostro SSN.
A pensarci bene, la metafora della rana bollita – che dobbiamo a Noam Chomsky e che tutti ormai conosciamo – se applicata alla sanità italiana ci porta a dire: “Siamo tutte e tutti un po’ bolliti”. Una provocazione? Non c’è dubbio che suoni come tale, e qualcuno potrebbe reagire quindi in modo piccato. Ma la frase contiene una verità sostanziale. Allora capiamoci. A che cosa ci riferiamo quando parliamo della “pentola”? E chi è la “rana”, o meglio, chi sono le “rane”?
LA PENTOLA
È il New Public Management (NPM) con le sue varianti, una sotto-narrazione del neoliberismo. Supportato dalle istituzioni accademiche, in sanità ci ha portato alla crisi verticale del Servizio Sanitario Nazionale (SSN), a lungo nascosta nei suoi innumerevoli aspetti e ancora oggi raccontata male. I dati raccolti non sono sempre esplicativi di ciò che serve mettere a fuoco. Da decenni vengono indicate sempre le stesse cause della crisi del SSN – in una parola, l’insostenibilità – e gli stessi rimedi. Uno campeggia su tutti: la cessione al privato di un ruolo crescente. Ma le ragioni indicate della crisi sono quelle vere? Tecnicamente, scientificamente? E i rimedi indicati sono la soluzione? Non pare. Dimostrare l’inconsistenza o la parzialità delle argomentazioni “privatizzanti”, che rispondono a quelle cause e sostengono quei rimedi, è doveroso. In parte me ne sono occupata (Sartor, 2021)[i]. Quella analisi andrebbe completata ma non lo farò ora.
Qui vado a chiedermi invece perché venga offerta una narrazione sempre distorta. E mi rispondo a ragion veduta: per salvaguardare interessi che non sono esclusivamente quelli dei cittadini.
Divenuta pratica pluridecennale, l’NPM, ci ha consegnato un SSN scassato e desertificato nella componente pubblica per opera di chi ne aveva la responsabilità. Il SSN è stato gestito in favore degli “stakeholder”. Ovvero in favore principalmente della sanità e del socio-sanitario privati, profit e non profit, delle compagnie di assicurazione, delle grandi multinazionali dell’industria sanitaria e farmaceutica globale, della finanza. C’è un solo destinatario del servizio che doveva invece essere servito e che è centrale. Ce lo dice la Costituzione (art. 32): l’individuo e la collettività di cui è parte. I responsabili di questa diversione verso una pluralità di beneficiari – che si sono via via “aggiunti” come portatori di interessi da tutelare in sanità, per esplicita concessione/cedimento del soggetto pubblico- sono i vertici politici della nazione, i vertici politici e tecnici del SSN e delle Regioni, affiancati dalle istituzioni accademiche e dalle società di consulenza multinazionali interessate da decenni alla privatizzazione del nostro SSN.
Tutti costoro hanno anche trasferito nel pubblico le ricette del privato: sia l’aziendalizzazione con tutti i suoi corollari sia le regole e le priorità del mercato. Del tutto in modo inopportuno, direi, guardando alle conseguenze. Essi badano ancora a salvaguardare specifici interessi, contando sulla complicità pressoché totale dei media di tutti i tipi. Un SSN che viene affidato sempre più al ruolo del privato basandosi sulla falsa credenza che il privato è meglio, che il privato sa come fare, diversamente dal pubblico. Ma ora sappiamo qualcosa di più sul trattamento che è stato riservato al soggetto pubblico: è stato snaturato e costretto a svolgere un ruolo che non è il suo, con ciò auto-delegittimandosi (Cordelli, 2020; 2022)[ii]. E “peccato” che il privato in sanità – lo abbiamo constatato – pur aiutato a inserirsi e a permanere nel SSN, non pensi veramente a noi e non si conformi alla nostra Costituzione. Un solo esempio. Quanto strenuo perseguimento dei propri particolari interessi privatistici e quanto cinismo ci sono nelle pratiche di marketing – indebitamente consentite in sanità – che portano ad imporre al cittadino il pagamento di tasca propria dei servizi sociosanitari. Di quei servizi che dovrebbero essere programmati nelle agende della sanità privata convenzionata come prestazioni del SSN ma che non vengono erogati in questa veste. Ciò non avviene con la scusa che non vi è la disponibilità in agenda. Ma chi definisce tale disponibilità? La definisce quel soggetto che nega tale disponibilità a totale suo vantaggio: il privato.
Questo per quanto riguarda gli imbrogli che il quasi-mercato consente di fare all’erogatore privato, che applica tecniche note in modo sconveniente per il cittadino (in nota, vedi puntata di Presa diretta Rai Tre del 13 febbraio 2023). Nel caso in cui il privato in sanità si dimostri efficiente, ricordiamolo, in genere lo fa a scapito di qualcosa/qualcuno cui sottrae risorse per ottenere vantaggi per sé (per esempio, a scapito del personale). Il privato serve interessi particolari e non collettivi, o pubblici. E in sanità ciò non andrebbe ammesso, dato il fatto che la sanità riguarda la vita e la morte di ognuno di noi. Sorprende che si stenti ancora a mettere a fuoco tutto questo. Quanto detto finora su una realtà distorta nella sua rappresentazione e dannosa per tutti noi riguarda la pentola in cui le rane sono immerse. Un sistema che non è basato sui principi costituzionali che fa l’interesse dei pochi orientati al business in un settore in cui il business non dovrebbe essere consentito.
LE RANE
Sono i cittadini. Lo siamo anche noi. Sia in quanto cittadini sia in quanto in qualche modo apparteniamo alla categoria di chi produce, riproduce e diffonde il pensiero sulla sanità, contribuendo direttamente o indirettamente, chi più e chi meno, a provocare la serie di effetti elencati sopra e non più accettabili, non più sopportabili (la pentola). Questi sì che sono insostenibili per il cittadino e quindi per il Paese. Mi soffermerò quindi, da qui in poi, a considerare quanto accade alle rane: a noi, nella doppia veste appena descritta.
Ecco alcune constatazioni preliminari:
- La metafora della rana bollita ci riguarda tutti. Ma se siamo qui, credo, a scrivere (o a leggere) queste poche righe, non è per raccontare (o farsi raccontare) come si sia sfuggiti alla inesorabile cottura È perché in prevalenza forse pensiamo che la favola possa avere per tutti un altro epilogo, diverso da quello tragico che conosciamo: morte certa. E ci stiamo pensando. Magari la salvezza non sarà nel breve periodo, ci diciamo. È così? Temo di no. Lo verificheremo presto nei fatti.
- Abbiamo percezioni diverse. Per alcune di noi “rane” non c’è stata alcuna percezione del pericolo, per altre sì. Non tutte noi siamo state dentro questo processo di surriscaldamento mortale nello stesso modo, sperimentando gli stessi esiti su noi stesse. Alcune, più coriacee, malauguratamente, sono resistite nell’acqua di più. E questo ha avuto effetti negativi e ritardanti la reazione. Ma non si sono trattenute fino a dover esalare l’ultimo respiro. Alcune, forse meno abbacinate e più sveglie, istintivamente sono saltate fuori dalla pentola in tempo. L’istinto le ha singolarmente salvate. Ma si possono salvare da sole? Le altre, immerse assieme a loro, sono state lasciate al loro destino. Che ne sarà della specie nel suo insieme?
- Ma l’istinto salvifico – peraltro, come si è visto, non equamente distribuito fra gli esemplari – non è la consapevolezza. Anche nella consapevolezza, che può derivare dallo shock, non tutte le rane hanno agito negli stessi modi. Infatti, ci siamo differenziate anche nei comportamenti intenzionali e razionalmente fondati.
Ma quanti comportamenti si sono potuti osservare?
In prima linea sono le “fautrici ed esaltatrici della pentola”, non disposte ad un ripensamento. Categoria che è sempre di più dotata di megafoni e di palcoscenici di tutti i tipi. Queste rane hanno decantato la pentola per la sua lucentezza esteriore, e ora, che qualcuno grida all’allarme per salvare la vita e la salute della specie minacciata da essa, si ributtano nella mischia e si impegnano nel raccontare ancora che la pentola è una meravigliosa vasca per l’ idromassaggio che genera solo benessere. Ma non tutte le rane fautrici ed esaltatrici della pentola se la sentono di buttarsi nel dibattito per sostenere ancora gli imbrogli del passato e alcune si nascondono un po’.
Va detto. Le rane ancora convinte della bontà e della non pericolosità della pentola – attenzione! – sono rane interessate. Le chiamerei le fautrici della prima ora che restano in difesa della pentola. Non intendo occuparmi oltre di questi esemplari della nostra specie. L’aspetto più “divertente” è che cavalcano gli argomenti sostenuti dalle rane che fuggono via. Lo fanno per trovare un modo di “rimescolare le carte” e confondere così le proprie intenzioni (quelle di mantenere tutto come sta ora) con le convinzioni delle fuggitive. Il nuovo obiettivo per loro diventa: provare a trattenere le fuggitive per rimotivarle a fare nuovamente un tuffo spensierato nel contenitore reclamizzato ancora come confortevole.
Ma altre rane sono soprattutto da osservare. Ci serve capire da chi è costituita la popolazione delle rane che sta intraprendendo – a velocità diverse -forse un percorso di consapevolezza e, con il tempo, di allontanamento dalla pentola. Vediamone insieme i comportamenti.
- Fautrici, ancora in difesa della pentola ma per il timore di contraddirsi, nel senso che ancora costruiscono la pentola e alimentano il fuoco. Sono lì a chiedersi se non vi sia qualcosa di opportuno nello stare a difendere ancora le proprie scelte del passato. E cioè aver alimentato la fiamma sotto la pentola ed esservi entrate.
- Follower delle fautrici, ma pentite e nell’incertezza. Sono quelle rane che per un certo periodo hanno aiutato a tenere alta la fiamma che riscalda la pentola e nella pentola si sono immerse sapendo che l’acqua si sarebbe riscaldata. Infondo non disdegnavano quel bagno caldo. Pur attive nell’alimentazione della fiamma, si sono accorte di essere immerse in un’acqua che stava riscaldandosi fino ad una temperatura che con ogni probabilità avrebbe fatto presto soccombere chi vi era immerso. Ma solo dopo un po’ si sono rese conto che non avevano più la possibilità di abbassare la fiamma o di spegnerla, una volta dentro la pentola. Hanno intuito la fine incombente e stanno provando a fare qualcosa. È tardi, forse. Si attivano, ma la difficoltà è riconoscere gli errori e invertire i comportamenti. Non sono sempre in grado di andare nella giusta direzione. Convinte dalle alimentatrici della fiamma si sono immerse nella pentola non pensando molto alle conseguenze. Sono ora le più spaventate. Non solo è stato sbagliato seguire ciecamente le fautrici ma ora sono terrorizzate dagli esiti che non avevano mai davvero previsto in forma così drammatica. Avvertendo l’urgenza di dare una risposta adeguata al pericolo, sono pronte a fare qualcosa. Si chiedono però: dove spirerà il nuovo vento? Cosa conviene fare?
- Outsider critiche. Sono in crescita numerica, intendono rifiutare la pentola e prendere posizione. Lo stanno facendo osteggiando le rane ancora irriducibilmente fautrici della pentola. Ma sollecitano anche le pentite e incerte a comprendere del tutto gli effetti nefasti dell’esservi immerse. Spingono perché prendano a loro volta posizione. Le outsider critiche le troviamo in due sottocategorie. Quella di chi è arrivata tardi sia sulla scena sia nella pentola per ragioni del tutto casuali. Venendo da fuori, è libera dai condizionamenti relazionali, dalle vischiosità prodotte dalle sostenitrici della pentola. Saltata nella pentola quando l’acqua era già ad una temperatura elevata, ha percepito immediatamente la sgradevolezza ed è subito fuggita. Nella seconda sottocategoria troviamo le outsider per motivi anagrafici ossia chi per ragioni principalmente generazionali ha sperimentato un maggior distacco critico dal contenitore. Non è mai entrata nella pentola, in quanto ha potuto aver il modo e il tempo di osservarla dall’esterno con una certa lucidità. Si è prefigurata la tragedia con anticipo. Ha dato e sta ancora dando l’allarme, come può.
l’Autrice: Maria Elisa Sartor – Professore a contratto, Università degli Studi di Milano
[i] M.E. Sartor, La privatizzazione della sanità lombarda dal 1995 al Covid-19. Un’analisi critica, Amazon, 2021
[ii] C. Cordelli, The Privatized State, Princeton University Press, New Jersey, 2020; C. Cordelli, Privatocrazia. Perché privatizzare è un rischio per lo Stato democratico, Mondadori, 2022
fonte: https://www.saluteinternazionale.info/2023/04/noi-e-la-pentola/