La nascita delle riviste open access (di qualità buona o meno buona) discende dalla richiesta delle agenzie a tutti i vincitori/vincitrici dei loro finanziamenti di rendere liberamente disponibili i risultati delle ricerche finanziate con fondi pubblici. Chiunque deve poter leggere i risultati indipendentemente che appartenga oppure no a un’istituzione con una biblioteca che sottoscrive abbonamenti per fornire l’accesso alle riviste scientifiche. Questo ha sparigliato il mercato dell’editoria scientifica, tradizionalmente basato sul modello degli abbonamenti a pagamento (dove l’autore pubblicava senza costi perché le riviste erano sostenute economicamente dagli abbonamenti) facendo ricadere l’onere del pagamento sugli autori che devono coprire le spese di pubblicazione affinché il loro articolo appaia come open access.
Tuttavia, questo non spiega il proliferare delle riviste puramente online open access, che va piuttosto cercato nel modello di valutazione dei ricercatori che molto spesso si vedono “pesati” sulla base di quanto hanno pubblicato su riviste che possano fregiarsi di un numero magico noto come impact factor. Questo numero viene calcolato annualmente da Web of Science, una banca dati citazionale: in base alle citazioni ottenute dagli articoli pubblicati da quella rivista, più l’impact factor è alto, più la rivista è quotata. Ne consegue che, per ottenere una buona valutazione, che permetta di sperare in un avanzamento di carriera, occorre presentare evidenza di avere pubblicato tanti articoli su riviste con un buon impact factor.
Vista la necessità degli scienziati di pubblicare, sono quindi nate riviste online che promettono di espletare i controlli sulla qualità dei lavori in breve tempo. Ma, per massimizzare le loro possibilità di guadagno, molte di queste riviste ricorrono a soluzioni creative. Quando ho compiuto sessant’anni, mi ricordo di essere stata contattata da editori di riviste online che mi chiedevano se avessi intenzione di organizzare un numero commemorativo per celebrare la mia carriera. Indipendentemente dall’età, io non conto nemmeno più le offerte che ricevo per fare il guest editor di numeri speciali su questo o quell’argomento. A me non interessa granché, ma posso immaginare che comparire come guest editor di un numero speciale di una rivista seria possa essere considerato un risultato spendibile. Insieme alle mail di invito a coordinare numeri speciali ricevo un gran numero di sollecitazioni ad andare a questa o quella conferenza. Le mail vengono da perfetti sconosciuti che invariabilmente dicono che mi pagheranno le spese. Anche questo fiorire di conferenze organizzate da agenzie piuttosto che da gruppi scientifici ha la sua radice nella necessità dei ricercatori di dimostrare di essere stati invitati a presentare i loro lavori in giro per il mondo e, ovviamente, per spingere la gente a intervenire (pagando tasse di iscrizioni spesso piuttosto alte) qualche nome di spicco non fa mai male.
Risulta quindi evidente che viviamo in un mondo dove proliferano inutili numeri speciali di riviste e imperdibili conferenze che servono solo a coloro che li vogliono usare per rimpolpare il loro curriculum (e sono tanti) e agli editori di riviste/organizzatori di conferenze che lucrano su queste attività.
Ma tutta questa frenetica attività editoriale viene valutata anche sulla base dell’impact factor, che non è un parametro universale ma dipende dalla disciplina considerata. Le riviste di medicina o biologia si rivolgono a una platea molto ampia quindi i loro impact factor raggiungono valori ben oltre 100 (con Lancet che nel 2022 ha impact factor 202). Per scienziati al di fuori della medicina, le riviste più quotate sono Nature e Science, che hanno impact factor tra 60 e 70, mentre le migliori riviste di settore scendono a valore tra 5 e 10. Per le persone del mondo dell’astrofisica come me, The Astrophysical Journal è 5,5 mentre the Astrophysical Journal Supplement Series (dove vengono pubblicati i cataloghi) è quotato sopra il 9. Guardando le tabelle (che si trovano facilmente online) ci si rende conto che la grande maggioranza delle riviste è sotto alla soglia di 1.
Risulta quindi evidente il desiderio degli autori di pubblicare su riviste con impact factor il più alto possibile, senza dimenticare che occorre trovare un giusto equilibrio perché più l’impact factor di una rivista è alto, più è difficile riuscire ad avere il proprio articolo pubblicato. Lasciando perdere le riviste che accettano qualsiasi articolo pur di incassare le spese della pubblicazione, consideriamo quelle mediamente serie che hanno un normale servizio di controllo da parte di esperti del settore. Come dicevamo, alcune riviste hanno una doppia personalità: quella “normale” e quella dei numeri speciali, che ultimamente sono proliferati in modo stratosferico, come mostrato dal grafico pubblicato da Science. Mentre i numeri di articoli apparsi nelle riviste online PLOS (Public Library of Science, che pubblica nove riviste) sono rimasti più o meno costanti nel tempo, quelli delle riviste del gruppo Frontiers e MDPI (per Multi-Disciplinary Digital Publishing Institute) sono cresciuti moltissimo grazie al contributo dei numeri speciali.
Il caso più emblematico è quello di MDPI, fondato nel 2010, che è ora il più grande editore di riviste online del mondo, con 400 giornali nei campi più diversi. Nel 2022, i circa 100 giornali MDPI con impact factor hanno pubblicato 187.000 articoli. Un risultato ottenuto grazie a uno spropositato numero di special issues, arrivati anche quattro al giorno per una sola testata. Come è possibile trovare referees per un numero così alto di articoli? Il controllo viene fatto solo dal guest editor?
I sospetti nascono anche dalla velocità di pubblicazione dei lavori. Mentre per PLOS ci vogliono sei mesi (spesso i referees chiedono modifiche più o meno sostanziali e gli articoli devono essere esaminati più volte), per MDPI i tempi sono poco più di un mese. Posso testimoniare che mentre le riviste classiche danno almeno 3 o 4 settimane di tempo per la valutazione, MDPI chiede un parere in una settimana e, visti i numeri, le richieste sono continue. Dal momento che molti degli interpellati non accettano, coloro che sono nel database dei referee vengono tempestati di richieste di valutare articoli nei campi più disparati. Considerata l’oggettiva difficoltà a trovare dei valutatori disponibili, il breve tempo che intercorre dall’invio dell’articolo alla sua pubblicazione, unito al numero altissimo di articoli pubblicati ha indotto Web of Science a togliere l’impact factor a due titoli di MDPI, privandoli, di fatto, di ogni interesse agli occhi dei ricercatori in cerca di punteggio per le loro progressioni di carriera. Uno dei due giornali declassati è l’International Journal of Environmental Research and Public Health, che nel 2022 ha pubblicato 17.000 articoli e aveva un impact factor di 4,6, decisamente rispettabile nel suo settore.
Un altro gruppo colpito da Web of Science è quello delle riviste Hindawi, di proprietà dell’editore Wiley, che pure aveva giocato d’anticipo sospendendo le pubblicazioni di numeri speciali a ottobre. Un controllo da parte del personale Wiley, fatto con l’aiuto dell’AI per scovare duplicazioni, ha portato a 500 ritrattazioni nel giro di tre mesi e altri 1200 casi sospetti sono emersi. Tre mesi senza numeri speciali sono costati a Hindawi 9 milioni di dollari di perdite, ma temo che costerà di più avere perso l’impact factor per 19 dei suoi giornali. In tutto, Web of Science ha tolto l’impact factor a 50 giornali. E sembra che sia solo l’inizio perché si dice che altri 450 titoli siano sotto osservazione.
fonte: https://www.scienzainrete.it/articolo/proliferazione-delle-riviste-open-access/patrizia-caraveo/2023-04-06
fonte immagine in copertina: https://edipuglia.it/openaccess/
l’Autrice:
Patrizia Caraveo si è laureata in Fisica all’Università di Milano nel 1977. Dopo un periodo all’estero, è approdata all’Istituto di Fisica Cosmica del CNR di Milano, poi confluito nell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF). Dal 2002 è Dirigente di Ricerca ed è attualmente Direttore dell’Istituto di Astrofisica Spaziale e Fisica Cosmica di Milano.Ha collaborato a diverse missioni spaziali internazionali dedicate all’astrofisica delle alte energie a cominciare dalla missione europea COS-B. Attualmente è coinvolta nella missione europea Integral , nella missione della NASA Swift, nella missione italiana Agile e nella missione NASA Fermi, tutte in orbita e pienamente operative. Rappresenta INAF nella collaborazione internazionale per la progettazione, costruzione e gestione del Cherenkov Telescope Array (CTA). Il suo campo d’interesse principale è il comportamento delle stelle di neutroni alle diverse lunghezze d’onda. E’ stata tra i primi a capire il ruolo fondamentale delle stelle di neutroni nell’astrofisica delle alte energie. In anni di sforzi volti all’identificazione della sorgente Geminga, riconosciuta come la prima pulsar senza emissione radio, ha messo a punto una strategia multilunghezze d’onda per l’identificazione delle sorgenti gamma galattiche. Per i contributi dati alla comprensione dell’emissione di alta energia delle stelle di neutroni, nel 2009 è stata insignita del Premio Nazionale Presidente della Repubblica. Come membro delle collaborazione Swift, Fermi ed Agile ha condiviso con i colleghi il Premio Bruno Rossi della American Astronomical Society nel 2007, 2011 e 2012. Nel 2014 Women in Aerospace Europe le ha conferito l’Outstanding Achievement Award. Fa parte della lista degli Highly Cited Researchers 2014 compilata da Thomson Reuters