Gli allarmanti messaggi inviati dalla comunità scientifica sui catastrofici effetti dei cambiamenti climatici sembra che si perdano in un rumore di fondo che non ci permette di capire fino in fondo la gravità della situazione. Forse gli scienziati stanno utilizzando le parole sbagliate, ma sorge il dubbio che all’interno della comunità stessa vi sia alla base una fondamentale inerzia.
Verso la fine di Ottobre 2022, Lancet pubblica l’imponente e coinvolgente settima edizione del “Report of the Lancet Countdown on health and climate change” riassumendo in completezza drammatica la situazione attuale, a livello globale e regionale per singolo continente, tra salute e cambiamento climatico [1]. Il report del 2022 è probabilmente il più negativo mai prodotto da quando Lancet ha introdotto l’iniziativa nel 2015. Il dato introduttivo maggiormente esemplificativo è rappresentato dal fatto che a causa dell’attività umana la temperatura superficiale globale media è aumentata di 1.1°C; la soglia di 1.5°C dettata dall’accordo di Parigi verrà probabilmente superata entro 5 anni e per la fine del secolo raggiungeremo un aumento stimato pari a 2.4-3.5°C [2] .
Tale dato che apparentemente potrebbe ingannarci nell’essere poco comunicativo in realtà cela, neanche più troppo misteriosamente come alcuni anni fa, enormi conseguenze a livello globale: l’aumento di condizioni metereologiche e di fenomeni climatici estremi come alluvioni, incendi e ondate di calore sta determinando effetti stimabili e quantificabili in tutta la popolazione mondiale. Nel 2021 popolazioni vulnerabili come bambini al di sotto di 1 anno e anziani maggiori di 65 anni sono stati esposti rispettivamente a 600 milioni e 3.1 miliardi di person-days di giorni di ondate di calore in più rispetto al periodo 1986-2005 (vale a dire 4.4 giorni in più per i bambini e 3.2 giorni in più per gli anziani) – Figura 1. Le conseguenze dirette sono state di un aumento del 68% di morti correlate al calore nel quadriennio 2017-2021 rispetto al 2000-2004 a livello globale.
Figura 1
Un’altra conseguenza degli effetti del cambiamento climatico che sono state stimate quantitativamente dal report è la trasformazione repentina di alcune aree climatiche: si sta instaurando un processo di adattabilità alla trasmissione di alcune malattie infettive in aree dove precedentemente non ve ne era mai stata opportunità. Il tasso di riproduzione (R0) calcolato per Dengue (Figura 2), Chikungunya e Zika (proxy per la loro trasmissibilità) è aumentato sensibilmente a livello globale. Stesso discorso per quanto riguarda i mesi adatti alla trasmissione della malaria. Similarmente, le aree di costa adatte alla sopravvivenza di batteri tipo Vibrio sono in media raddoppiate in tutto al mondo a causa dei cambiamenti delle concentrazioni di sale e delle temperature del mare, fenomeni sempre ascrivibili all’attività umana. Siamo di fronte ad un cambiamento significativo nel pattern di trasmissibilità di molte malattie infettive proprio a causa del cambiamento climatico le cui conseguenze avranno certamente un impatto in termini di salute pubblica.
Figura 2
Altre conseguenze estremamente sconvolgenti sono quelle legate alla produzione e distribuzione del cibo: l’aumento delle temperature sta diminuendo i giorni di crescita di molte colture ed eventi meteorologici estremi come alluvioni, incendi e siccità hanno dimostrato di poter seriamente mettere a repentaglio la distribuzione e disponibilità di cibo, soprattutto nei paesi e basso e medio reddito che hanno meno risorse per gestire o prevenire scarsità di generi alimentari [3]. Il cambiamento climatico sta avendo – non sorprendentemente – un impatto non egualitario tra i paesi ad alto reddito ed i paesi a reddito medio-basso. Da qualche anno in letteratura si è introdotto il concetto di global carbon inequality: il 10% della popolazione appartenente ai paesi più ricchi emette circa il 48% delle emissioni di carbonio da gas serra mentre la metà più povera del pianeta è responsabile solo del 12% delle emissioni totali [4].
A fronte di tale disuguaglianza, i paesi a reddito medio-basso si trovano però in una posizione di più difficile gestione di tutte le problematiche correlate al cambiamento climatico. Saranno proprio loro a soffrire più drammaticamente le conseguenze di un problema creato dai paesi ricchi altamente industrializzati; conseguenze che si manifesteranno in termini di aumento di disastri naturali, perdita di vite umane, rallentamento dello sviluppo socioeconomico e aumento del livello di povertà. Emblematico il dato legato agli incendi spontanei: tra il 2001-2004 e il 2018-2021 i giorni di esposizione a rischio di incendio molto alto o estremamente alto sono aumentati del 61%. Tale dato è stato osservato nella maggior parte dei passi a basso HDI (Human Development Index), probabilmente a causa di differenze nella prevenzione e gestione degli incendi.
Uno struggente ma realistico reportage del New Yorker [5] ci racconta delle conseguenze della peggiore ondata di calore mai registrata nel 2022 in India (fino a 45 °C a New Delhi): ha paralizzato il paese e determinato enorme pressione sul sistema sanitario registrando innumerevoli casi di heatstroke (colpo di calore), spesso fatali in neonati e anziani. Ha colpito sproporzionatamente le fasce più marginalizzate e quindi fragili della popolazione che non hanno accesso ad aria condizionata ed in molto casi nemmeno ad un ventilatore. Inoltre, il 26 aprile 2022 Balshwa, un’enorme discarica a cielo aperto fuori Delhi, circondata da slums dove abitano migliaia di persone che proprio nella gestione, organizzazione e riciclo dei rifiuti lì immagazzinati trovano il proprio sostentamento economico, ha preso fuoco. Fumi tossici hanno invaso l’aria e messo a repentaglio la salute di migliaia di persone per più di due settimane, il tempo necessario per domare l’incendio scoppiato tra 50 acri di rifiuti non differenziati della discarica. Le scuole intorno alla discarica hanno dovuto chiudere e l’impatto in termini di malattia e morte provocati dalla nube tossica rimane difficile da calcolare.
L’ultima conferenza COP27 dell’UNFCCC (United Nations Framework Convention on Climate Change) ha avuto sede in Egitto, un paese appartenente proprio ad un continente, l’Africa, che sta subendo e subirà sproporzionatamente gli effetti della crisi climatica nonostante abbia partecipato minimamente a causarla [6]. Sempre per fornire un dato quantitativo, Europa e America del Nord hanno contribuito al 62% delle emissioni di diossido di carbonio dall’inizio della rivoluzione industriale mentre l’Africa ha prodotto solo il 3%. Molti attivisti hanno introdotto il termine di giustizia climatica proprio per sottolineare l’incoerenza del danno che i paesi ad alto reddito stanno determinando in termini climatici e ambientali ai paesi a basso reddito [7].
L’impatto meno ovvio, ma comunque non così sorprendente della crisi climatica, è quello che possiamo rilevare anche analizzando le conseguenze in termini di salute mentale. È stata chiaramente dimostrata la cruda relazione tra aumentato rischio di suicidio e temperature elevate [8] come anche la relazione tra crisi climatica e flussi migratori [9]. Stiamo addirittura introducendo neologismi per esprimere questa nuova condizione di ansia, fragilità e impotenza di fronte ai cambiamenti climatici: parole come eco-anxiety, ecological grief e forse la più rappresentativa solastalgia (definizione Treccani, “stato di angoscia che affligge chi ha subito una tragedia ambientale provocata dall’intervento maldestro dell’uomo sulla natura”[10]). Sono tutti tentativi umani di dare un nome al nuovo trauma globale legato a tali meccanismi violenti di improvviso laceramento del tessuto sociale, ambientale e comunitario nel quale viviamo.
Altra conseguenza più pragmatica della crisi climatica è legata all’impatto economico che essa avrà per tutti i paesi a livello globale. Eventi climatici estremi si traducono in aumento dei costi della sanità, perdita di produttività lavorativa e danno diretto a edifici, infrastrutture ed altri insediamenti umani. Sempre il report di Lancet ha calcolato una perdita di 669 miliardi di dollari nel 2021 per diminuzione della capacità lavorativa dovuta a temperature elevate nonché un costo pari a 144 miliardi di dollari (il reddito di circa 12.4 milioni di persone) relativo alla mortalità legata alle ondate di calore sempre nel 2021. Lo Swiss RE Institute tramite il World Economic Forum ha già stimato che il cambiamento climatico potrebbe determinare una diminuzione di circa il 18% del PIL globale entro il 2050 (quindi fra meno di 30 anni) [11]. L’impatto inoltre sarà sproporzionatamente maggiore per i paesi asiatici e africani a basso e medio reddito che rischiano di vedere il proprio benessere eroso in modo significativamente maggiore rispetto a quello dei paesi occidentali, seppure, ricordiamolo, quest’ultimi siano maggiormente imputabili come responsabili della crisi climatica.
Interessante notare come dal report e dalla più recente letteratura legata a salute e cambiamento climatico, si possano isolare alcune parole, concetti e definizioni che vengono ripetute in maniera costante e assidua. Sono parole come minimizzare, resilienza e adattamento. Non è forse allora banale sottolineare che in questo momento storico non stiamo più discutendo se il cambiamento climatico e le conseguenze dello stesso siano reali, quanto cosa dobbiamo fare per adattarci alla crisi climatica, cosa dobbiamo fare per mettere in atto tutte quelle pratiche ed interventi che potranno permettere la sopravvivenza nel modo meno traumatico possibile per tutte quelle persone che in questo momento vedono la propria vita già concretamente minacciata.
La paura reale è che di fronte all’ennesimo pur autorevole report tecnico-scientifico la reazione generale sia nuovamente pacata, blanda e flebile, come è successo ripetutamente negli ultimi anni. Per usare un’immagine dello scrittore islandese Andri Magnasson nel libro “Il tempo e l’acqua”, sembra che tutti i messaggi inviati dalla comunità scientifica, concreti per quanto catastrofici, si perdano in un rumore di fondo, un ronzio assordante che non ci permette di capire a fondo la gravità della situazione [12]. Forse gli scienziati stanno utilizzando le parole sbagliate, ma sorge il dubbio che all’interno della comunità stessa vi sia alla base una fondamentale inerzia. Sempre Magnasson nota come informazioni che dovrebbero suscitare a livello globale isteria collettiva stanno invece determinando apatia di massa.
Non è certo di isteria quello di cui abbiamo bisogno, ma di reale consapevolezza delle conseguenze totalizzanti che le azioni umane avranno su salute, vita, ambiente e società. L’impatto del cambiamento climatico sul pianeta e sulla salute è già stato irrevocabilmente calcolato. Ora dobbiamo minimizzarne il danno.
Michele Innocenzio, Specializzando in Igiene e Medicina Preventiva alla Sapienza di Roma.
Bibliografia
[1] M. Romanello et al., «The 2022 report of the Lancet Countdown on health and climate change: health at the mercy of fossil fuels», The Lancet, vol. 400, fasc. 10363, pp. 1619–1654, nov. 2022, doi: 10.1016/S0140-6736(22)01540-9.
[2] «Global Climate Agreements: Successes and Failures», Council on Foreign Relations. https://www.cfr.org/backgrounder/paris-global-climate-change-agreements (consultato 16 gennaio 2023).
[3] A. K. Misra, «Climate change and challenges of water and food security», Int. J. Sustain. Built Environ., vol. 3, fasc. 1, pp. 153–165, giu. 2014, doi: 10.1016/j.ijsbe.2014.04.006.
[4] K. Hubacek, G. Baiocchi, K. Feng, R. Muñoz Castillo, L. Sun, e J. Xue, «Global carbon inequality», Energy Ecol. Environ., vol. 2, fasc. 6, pp. 361–369, dic. 2017, doi: 10.1007/s40974-017-0072-9.
[5] «Living Through India’s Next-Level Heat Wave | The New Yorker». https://www.newyorker.com/magazine/2022/08/01/living-through-indias-next-level-heat-wave (consultato 16 gennaio 2023).
[6] «COP27 Climate Change Conference: urgent action needed for Africa and the world – The Lancet Global Health». https://www.thelancet.com/journals/langlo/article/PIIS2214-109X(22)00457-0/fulltext (consultato 16 gennaio 2023).
[7] «Who has contributed most to global CO2 emissions?», Our World in Data. https://ourworldindata.org/contributed-most-global-co2 (consultato 16 gennaio 2023).
[8] R. Thompson, R. Hornigold, L. Page, e T. Waite, «Associations between high ambient temperatures and heat waves with mental health outcomes: a systematic review», Public Health, vol. 161, pp. 171–191, ago. 2018, doi: 10.1016/j.puhe.2018.06.008.
[9] D. Campbell-Lendrum et al., «Health, Wellbeing and the Changing Structure of Communities».
[10] «solastalgia in “altro”». https://www.treccani.it/enciclopedia/solastalgia_(altro) (consultato 16 gennaio 2023).
[11] «World economy set to lose up to 18% GDP from climate change if no action taken, reveals Swiss Re Institute’s stress-test analysis | Swiss Re». https://www.swissre.com/media/press-release/nr-20210422-economics-of-climate-change-risks.html (consultato 16 gennaio 2023).
[12] A. S. Magnasson, Il tempo e l’acqua. Iperborea, 2020.
fonte: https://www.saluteinternazionale.info/2023/04/cambiamento-climatico-e-salute-2/