La questione dell’invecchiamento demografico riguarda in particolare la popolazione femminile, mettendo a rischio la sostenibilità futura del welfare state. Pur con qualche segnale positivo, non esistono soluzioni semplici per contrastare il processo.
Il parallelo tra invecchiamento e clima
In Italia, gli over 65 costituiscono ormai più di quinto della popolazione complessiva: il paese ha da tempo intrapreso la strada dell’invecchiamento demografico, strada difficilmente percorribile a ritroso.
Per comprendere la portata del fenomeno è utile fare un parallelismo con un tema che più attira l’attenzione dell’opinione pubblica, il cambiamento climatico. Come quest’ultimo, infatti, l’invecchiamento della popolazione è un fenomeno globale “generato” principalmente dai paesi sviluppati, ma con probabili ricadute anche su quelli in via di sviluppo; è un fenomeno già innescato con effetti prolungati nel tempo e quindi sulle spalle delle nuove o future generazioni. Ma è anche un processo difficilmente contrastabile, con interventi che potranno avere effetti solo nel lungo periodo benché la finestra per effettuarli sia molto limitata. Nonostante ciò, il tema stenta ancora a essere correttamente problematizzato, forse perché la natura progressiva degli impatti dell’invecchiamento ne riduce la percezione, o forse perché, specialmente in Italia, la questione riguarda in particolare la popolazione femminile. Non solo le donne tendono a vivere più a lungo degli uomini, ma lo fanno in peggiori condizioni di salute e con minor risorse economiche, e rappresentano anche l’ago della bilancia rispetto alla capacità di tenuta complessiva del sistema.
Le stime demografiche
La figura 1 mostra un importante dettaglio di “genere” dell’invecchiamento. È evidente che, tra cinquanta anni in Italia ci saranno decisamente più anziani e grandi anziani (over 80), tuttavia saremo nettamente di meno, specialmente tra la popolazione in età attiva e tra quella femminile. Nei prossimi anni, infatti, sarà proprio la popolazione femminile a diminuire di più. Le stime Istat indicano che la popolazione in età lavorativa calerà di circa il 31 per cento, mentre la riduzione per la sola componente femminile sarà superiore al 34 per cento.
Figura 1 – Struttura demografica italiana per coorte di età anni e genere, 2021 e 2070 (v.a.)
L’organizzazione familiare e la cura
Stiamo quindi galoppando verso uno scenario in cui non solo ci saranno meno individui “attivi” a supporto di un maggiore numero di individui “passivi”, ma soprattutto meno donne in età attiva. I dati indicano che nei prossimi 50 anni, l’enorme aumento della popolazione dei grandi anziani (+57,9 per cento) sarà addirittura superiore, in termini assoluti, al forte calo della popolazione under 14 anni (-27,6 per cento), con un saldo positivo di quasi 500mila individui. Quindi, oltre a tutti gli effetti negativi legati all’invecchiamento della struttura demografica che metteranno seriamente a rischio la sostenibilità economica del welfare state, emerge anche un’importante questione di genere.
Questo aspetto risulta evidente se si considera, da un lato, il marcato orientamento familista e passivo del welfare italiano nel quale la famiglia, e soprattutto le donne, svolgono un ruolo primario; e dall’altro, la crescente quota di popolazione adulta che coniuga contemporaneamente cure e supporto verso la generazione precedente (i genitori) e le generazioni successive (i figli e i nipoti), le cosiddette sandwich generation.
Se nel 1992 in Italia il rapporto tra la popolazione femminile potenzialmente “autosufficiente” in termini sia economici che di salute e la popolazione dipendente era di 0,55, ossia in media ogni due donne “autosufficienti” vi era circa un individuo “dipendente”, nel 2060, anno di picco, il rapporto sarà pari a 0,88, mentre nel Sud e nelle Isole nel 2070 sarà addirittura prossimo a 1, ossia per ogni donna “autosufficiente” vi sarà un individuo dipendente. La figura indica chiaramente che la potenziale crescita di carico di cura delle donne non sarà a favore dell’investimento delle future generazioni, ma a supporto della componente anziana della società: l’incidenza degli ultra-anziani sulla popolazione dipendente passerà dal 18 per cento del 1992 al 56 per cento del 2070.
Figura 2 – Rapporto tra popolazione dipendente (over 80 e under 14) e popolazione femminile 25-79 anni, e relativa incidenza popolazione over 80 rispetto a totale popolazione dipendente (%)
Mercato del lavoro
Le varie “ricette” politiche, di origine nazionale o comunitaria, per la sostenibilità economica futura dei paesi passano tutte attraverso la crescita del tasso di occupazione femminile, anche se con scarsa attenzione rispetto alla qualità, in particolare nel caso italiano, dove è emblematica la forte crescita del part-time involontario (la cui incidenza su quello volontario è più che raddoppiata negli ultimi 15 anni). Purtroppo, se confrontiamo la dinamica demografica, e la forte espansione che ne deriverebbe in termini di potenziali carichi di cura per le donne, con l’evoluzione dell’occupazione femminile il risultato non è roseo. Negli ultimi 20 anni, a fronte di una certa stabilità del rapporto presentato in precedenza, il tasso di occupazione femminile è salito di 10 punti percentuali, con un saldo positivo di circa a 2 milioni di donne occupate in più. Nonostante ciò, si è rimasti comunque al di sotto della soglia del 50 per cento e una buona parte della crescita occupazionale è da imputare all’impiego part-time che registra nello stesso periodo un aumento maggiore (12 punti percentuali). Con la futura esplosione dei carichi di cura, il trend seppur positivo dell’occupazione femminile, se non adeguatamente sostenuto, potrebbe risultare insufficiente o, addirittura, invertirsi.
Figura 3 – Occupazione femminile e composizione rispetto al regime orario (v.a. asse sx), tasso di occupazione femminile e incidenza part-time (% asse dx), anni 1993-2020.
Riprendendo il parallelismo con il cambiamento climatico – per cui la futura riduzione della popolazione connessa all’invecchiamento costituisce, cinicamente, un effetto positivo – le soluzioni al fenomeno dell’invecchiamento non possono passare attraverso interventi costrittivi o impositivi, come ad esempio quello della natalità ad ogni costo, bensì tramite strumenti di supporto alle famiglie e alla conciliazione.
Per fortuna, si registrano alcuni segnali positivi, come i lavori di riforma per l’introduzione del sistema nazionale di assistenza anziani e gli investimenti in servizi per l’infanzia previsti dal Piano nazionale di ripresa e resilienza, destinati a superare il gap che l’Italia registra da anni rispetto al tasso di copertura degli asili nido, benché abbiano registrato problemi già in fase di espressione di interesse. Se su questo fronte qualcosa almeno si muove (seppur con grande ritardo), sul fronte delle politiche del lavoro, oltre a interventi di stampo quantitativo, come i bonus fiscali, sarebbero necessari interventi che riducano l’alta rigidità degli orari lavorativi e permettano il pieno, e non parziale, ingresso nel mercato del lavoro per quelle donne per cui è attualmente impossibile coniugare vita privata e lavoro. Ricerche in tal senso evidenziano che quei, pochi, datori di lavoro che investono in risorse umane e conciliazione beneficiano di un ritorno in termini di produttività e competitività. Detto ciò, lo strumento più adeguato a mitigare tutti questi rischi è ovviamente anche il necessario cambiamento culturale rispetto ai vari divari di genere.
fonte: https://lavoce.info/archives/100725/un-problema-nel-problema-linvecchiamento-femminile/
l’Autore: Matteo Luppi svolge attività di ricerca presso l’Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche (INAPP) prevalentemente in ambito mercato del lavoro e politiche sociali. In precedenza ha lavorato in differenti instituiti di ricerca nazionali e internazionali come il Collegio Carlo Alberto, il Politecnico di Milano e l’università di Utrecht.
fonte immagine copertina: https://www.materdomini.it/news/la-salute-delle-donne-dai-sintomi-alle-soluzioni/