La salute nelle mani delle città. di Letizia Fattorini

La Carta di Ottawa, stilata nel 1986 in occasione della Prima Conferenza Internazionale sulla Promozione della Salute, evidenzia alcuni pre-requisiti fondamentali per il suo raggiungimento: la pace, una casa e il cibo, l’educazione, risorse economiche adeguate, ma anche giustizia ed equità sociale, nonché un ecosistema stabile e l’uso sostenibile delle risorse (1).

Non possiamo negare che il contesto politico, socio-economico, culturale e ambientale abbiano un ruolo fondamentale nella formazione, sviluppo e declino di una persona: sono infatti denominati (fattori) determinanti della salute.

Con Urban Health si fa riferimento ad un orientamento strategico che integra le azioni di tutela e promozione della salute nella progettazione urbana. L’ambiente urbano incide sulla salute agendo su diversi livelli: dai cambiamenti sociali che alterano i comportamenti individuali, all’esposizione della popolazione a fattori di rischio legati ad un ambiente fisico inadeguato, che spesso è sia causa che conseguenza delle alterazioni della biosfera e del clima. Le aree urbane possono favorire una migliore qualità di vita assicurando migliori infrastrutture e disponibilità di servizi rispetto alle aree rurali. Tuttavia le città devono anche affrontare difficoltà nella distribuzione di risorse limitate tra le popolazioni in rapida crescita; inoltre, vi si osservano problemi di salute di grande rilievo, quali la diffusione di malattie infettive emergenti (vedi la pandemia da COVID-19) e, soprattutto, di patologie croniche e disabilità fisiche e intellettive (principale problema per l’organizzazione e la sostenibilità dei servizi sanitari nei paesi occidentali, dove la popolazione si fa sempre più anziana). Tali situazioni sono spesso correlate anche ad uno sviluppo urbanistico scorretto, con la diffusione di quartieri privi di spazi verdi o di luoghi di aggregazione, impersonali e alienanti, che facilitano le popolazioni ad assumere comportamenti non salutari (2).

Nel recentissimo “Urban Design for Health” dell’OMS viene ribadita l’importanza dell’ambiente urbano come determinante di salute e benessere dell’uomo nel suo ciclo di vita, sostenendo che la progettazione e la pianificazione urbana influenzano la salute pubblica e il comportamento umano limitando o fornendo accesso a cibi sani e stili di vita attivi, che hanno profondi effetti sulla salute fisica e mentale delle persone (3). I paesi occidentali in questi ultimi anni si sono mossi per trovare risposte all’argomento dell’urbanizzazione correlata alla salute (ad esempio in Italia, con l’Accordo Stato-Regioni del 22 settembre 2021 è stato approvato il Documento di indirizzo per la pianificazione urbana in un’ottica di Salute Pubblica – Urban Health (4)).

Un aspetto importante da considerare è la capacità dell’ambiente costruito urbano di modificare gli aspetti microclimatici locali, per cui le aree urbane sono considerate vere e proprie “isole di calore” (Urban Heat Island, UHI) (5), ed è in queste che si presuppone avvenga con maggiore accelerazione il riscaldamento globale. Un rapporto dell’IPCC (International Panel on Climate Change, Figura 1) riporta – allo stato attuale – le aree del globo secondo il numero di giorni nei quali la temperatura e l’umidità raggiungono livelli che generano “pericolo di morte” per le persone: regioni prossime al Golfo del Messico in America, aree del Golfo di Guinea in Africa, ma anche Australia settentrionale e la fascia meridionale dell’Asia, che è la regione del mondo più densamente popolata e urbanizzata. Sarà in queste aree che, nei prossimi decenni, il riscaldamento climatico creerà maggior rischio per la salute degli abitanti, e nelle grandi città di queste regioni saranno cruciali le risposte di adattamento al fenomeno che le istituzioni adotteranno (6).

Figura 1. Popolazioni esposte a ipertermia con rischio di mortalità dovuta a calore e umidità estreme. Fonte: Dodman, D e al., Cities, settlements and infrastuctures, in: IPCC, Climate Change 2022: Impacts, adaptation and vulnerability, Cambridge University Press, Cambridge UK, and New York, NY, USA; 2022

Figura 2. Popolazione urbana e rurale nel mondo (1950 – 2050)

L’ONU, che ha presentato le problematiche dell’urbanizzazione tra i 17 Obiettivi dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile (SDGs – Sustainable Development Goals), nel Report 2022 – oltre a rilevare la costante crescita della popolazione che abita nelle città rispetto a quella che vive  nelle aree rurali (Figura 2) –  denuncia che più di 1 miliardo di persone vive in slums (baraccopoli, bidonville, favelas), concentrate prevalentemente in tre regioni: Asia centrale e meridionale (359 milioni), Asia orientale e sud-orientale (306 milioni), Africa subsahariana (230 milioni) (7).

Dharavi, famoso in tutto il mondo grazie al film Slumdog Millionaire, è considerato uno dei più grandi slum del mondo, certamente il più grande dell’India e dell’intera Asia.

Questa baraccopoli – in cui si stima che oltre un milione di persone viva in condizioni poco igieniche e difficili – si erge nell’area meridionale di Mumbai (vedi figura di copertina), l’attuale capitale economica dell’India che, con i suoi oltre 18 milioni di abitanti, ha guadagnato un posto nella top ten delle città più popolose del mondo. Nata dall’unione di sette isole, il valore e la sua posizione strategica vennero prontamente recepiti dall’Inghilterra coloniale che, tramite interventi di ristrutturazione della città, ne segnò la nascita della rivoluzione industriale. Le trasformazioni sono avvenute in modo brusco e impattante: nella metropoli si compenetrano infatti strutture modernissime e lussuose con spazi di urbanizzazione spontanea, privi dei servizi essenziali.

Dharavi è, appunto, un peculiare insediamento informale di Mumbai, con una densità abitativa di oltre 800 persone per km quadrato. Fonti ufficiali riportano la sua nascita tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento come un piccolo villaggio con accesso diretto al mare, popolato esclusivamente da pescatori. L’arrivo degli inglesi con l’obiettivo di unione delle isole in un unico agglomerato urbano, cambiò profondamente l’assetto e la natura del villaggio: i pescatori persero lo sbocco sul mare e in cambio ebbero una grande autostrada (la Link Road) che collegava Mumbai da nord a sud. Non ricevendo attenzione né aiuti dal governo, per sopravvivere dovettero adattare il business alle nuove esigenze, guadagnando inizialmente con il commercio illegale dell’alcol. Con l’espansione dei territori e la crescente attrattiva del centro urbano, si stabilirono a Dharavi anche alcuni gruppi di migranti, che portarono con sé le competenze artigianali che li identificavano (lavorazione della ceramica, concia delle pelli, ricamo), contribuendo a rendere l’area enormemente produttiva. La sua natura di polo produttivo si è conservata intatta negli anni: estremamente dinamica, con un fatturato annuo tra i 700 milioni e 1 miliardo di dollari, conta migliaia di piccole entità produttive molto competitive e in grado di esportare la loro merce in tutto il mondo. Negli ultimi anni si sono inoltre sviluppate attività che si occupano dello smaltimento e del riciclo dei rifiuti provenienti da tutta la metropoli. Grazie a queste sue peculiarità, Dharavi è stata definita “il cuore e il fegato di Mumbai”: “cuore” per via delle numerose attività produttive e ad alta fatturazione, “fegato” perché in grado di smaltire e riciclare le scorie prodotte dall’intera città.

Purtroppo, nonostante la sua funzione essenziale per la sopravvivenza della metropoli, Dharavi condivide con le altre zone di urbanizzazione spontanea le più note caratteristiche: assenza di un reale e strutturato sistema idrico e fognario, insufficienza di servizi igienici (con una media di 1 gabinetto ogni 1.500 persone), mancanza di un corretto allacciamento alla corrente elettrica pubblica. A ciò si aggiunge il fatto che molte industrie vi smaltiscono illegalmente i propri rifiuti, contribuendo al degrado ambientale dell’area (8).

Con le sue caratteristiche di “città nella città”, dove è mancata la pianificazione urbana e contemporaneamente si è creato un polo di commercio e di scambio di culture, Dharavi sarebbe il substrato ideale per iniziare un vero e proprio esperimento di “Urban Health”. Del resto, è da decenni che si parla di “riqualificazione urbana” di questo slum-villaggio. Il primo progetto fu voluto da Rajiv Gandhi nel 1991, e allora, nelle zone periferiche dello slum, comparvero i primi edifici con le prime opere idriche e fognature: case popolari ad affitti bloccati, ma comunque più costose delle casupole precedenti, cosicché ad ogni “riqualificazione” qualche residente sarebbe sempre rimasto fuori (9). Le numerose proposte di progetti di riqualificazione dell’intera baraccopoli non si sono, finora, concretizzate. Nel 1999 era stato approvato un mega-progetto che prevedeva la costruzione di un gruppo di grattacieli con infrastrutture urbane, che includeva anche il reinsediamento di 68mila persone, tra cui gli abitanti dello slum e coloro che vi avevano un’attività commerciale. Dopo alcune false partenze, nel 2018 la procedura sembrava instradata, con la costituzione di una società ad hoc che aveva bandito la gara dell’appalto. Nel 2019 si è poi tutto nuovamente fermato a causa del ritardo nel trasferimento dei terreni di proprietà delle ferrovie indiane, che ha reso impossibile l’inizio dei lavori.

Con il recente ritorno nella maggioranza di governo di uno dei partiti che aveva promosso il progetto nel 1999, sembra che la questione sulla proprietà dei terreni sia ormai risolta, ed è stata quindi indetta una nuova gara d’appalto. È del novembre appena passato la notizia che Gautam Adani, imprenditore e uomo più ricco dell’Asia (miliardario dietro solo ad Elon Musk a livello mondiale), con un’offerta da 50 miliardi di rupie (quasi 600 milioni di euro), si sia aggiudicato l’appalto (10). È però curioso (e preoccupante allo stesso tempo) come al medesimo tycoon indiano sia stato da poco assegnato l’incarico per la costruzione del porto internazionale di Vizhinjam (stato del Kerala), la cui gara per l’appalto, vinta nel 2019 da un’altra società, era stata poi annullata. L’opera, da 23 milioni di dollari, una volta completata diventerebbe “la porta dell’India per il trasbordo internazionale” grazie alla sua vicinanza a svariate rotte marittime. Da alcuni mesi sono però insorte manifestazioni (inizialmente pacifiche, poi dei veri e propri scontri) di protesta contro la costruzione dell’impianto, accusato di essere la causa dell’erosione costiera che sta distruggendo i mezzi di sostentamento della popolazione (prevalentemente pescatori), costringendola anche a trovarsi nuove abitazioni (11).

I risvolti di quest’ultima vicenda pongono una domanda allarmante anche sul destino della riqualificazione di Dharavi: il “risanamento” della baraccopoli verrà ideato in un’ottica di Urban Health e mantenendo l’intento di tutelare gli abitanti e le attività commerciali preesistenti, o ci sono soltanto interessi  speculativi?

Letizia Fattorini, Scuola di Specializzazione in Igiene e Medicina Preventiva, Università degli Studi di Firenze

 

Bibliografia

  1. World Health Organization. Ottawa Charter for Health Promotion, 1986. Disponibile su: https://www.euro.who.int/__data/assets/pdf_file/0004/129532/Ottawa_Charter.pdf
  2. Ministero della Salute – Direzione Generale della Prevenzione Sanitaria, Ufficio 8. Documento di indirizzo per la pianificazione urbana in un’ottica di Salute Pubblica. Disponibile su: https://www.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_3125_allegato.pdf
  3. World Health Organization 2022. Urban Design for Health. Disponibile su: https://www.who.int/europe/publications/i/item/WHO-EURO-2022-5961-45726-65769
  4. Ministero della Salute. Stili di vita, documento di indirizzo per la pianificazione urbana in un’ottica di salute pubblica. Disponibile su: https://www.salute.gov.it/portale/news/p3_2_1_1_1.jsp?lingua=italiano&menu=notizie&p=null&id=5656
  5. Maria Grazia Petronio (ISDE). Inquinamento ambientale e patologie – Intervento in occasione dell’evento “Inquinamento ambientale e malattie cronico degenerative. È possibile la prevenzione (perlomeno a livello locale?)” promosso dall’Ordine Provinciale dei Medici-Chirurghi e degli Odontoiatri di Pistoia
  6. Massimo Livi Bacci. Ambiente, clima e città. Disponibile su: https://www.neodemos.info/2023/01/20/ambiente-clima-e-citta/
  7. United Nations – Department of Economic and Social Affairs. Sustainable Development Goals. Disponibile su: https://sdgs.un.org/goals
  8. Erica Scognamiglio. Dharavi, India: lo slum-villaggio più iconico, essenziale e reattivo di Mumbai. Disponibile su: https://migrazioniontheroad.largemovements.it/slum-dharavi-india/
  9. Marina Forti. La favela di Mumbai che decide le elezioni. Da “Il Manifesto”, 5 maggio 2009. Disponibile su: https://eddyburg.it/archivio/la-favela-di-mumbai-che-decide-le-elezioni/
  10. https://www.asianews.it/notizie-it/Mumbai,-al-multimiliardario-Adani-anche-la-‘riqualificazione’-dello-slum-di-Dharavi-57223.html
  11. https://www.today.it/mondo/porto-vizhinjam-india.html

fonte: https://www.saluteinternazionale.info/2023/03/la-salute-nelle-mani-delle-citta/

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