“Firma” già nota ai nostri Lettori e Lettrici (NdR: “Superando.it”), Antonio Giuseppe Malafarina si presenta come nuovo direttore responsabile di «Superando.it», ricordando quando conobbe Franco Bomprezzi, …
Ho conosciuto Franco Bomprezzi nel 2000, a HANDImatica, la manifestazione bolognese sulle tecnologie digitali per la comunità fragile organizzata dall’ASPHI, Fondazione per le tecnologie per la disabilità che tutti conosciamo. Ci ero andato per parlare di DAMA (Disabled Advanced Medical Assistance), allora nascente progetto per consentire alle persone con disabilità di essere curate in ospedale per la loro salute e non per l’etichetta della disabilità.
Franco relatore, io una piccola voce che neppure sapeva che lui fosse in carrozzina. Mi presento con queste righe perché riassumono un po’ la mia storia: il mio rapporto con “maestro Franco” – come lo chiamavo in vita benché lui declinasse simpaticamente -, la relazione con la tecnologia, la disabilità, i diritti, la cura, il linguaggio e il mio essere persona con disabilità. Questo sono e questo porterò con me in questa esperienza che mi accingo ad affrontare. Che poi, qualunque cosa faccia io porto sempre con me le persone con disabilità. Anche quando sembra che mi stia occupando di altro.
Con Franco da quell’alba del terzo millennio è nata un’amicizia che ci ha portato a incontrarci più volte per condurre battaglie in comune, benché a nessuno dei due piacesse troppo il termine “battaglia”.
Ci siamo conosciuti che non era neppure nelle mie più lontane aspettative fare il giornalista e abbiamo finito per lavorare alla stessa redazione di InVisibili, blog del «Corriere della Sera», sentendoci praticamente ogni giorno. Ci siamo intervistati a vicenda più volte, intersecando punti di vista e intrecciando divergenze di idee. Sostanzialmente, però, con una sintonia di base. Un’armonia forte, animata dal comune voler migliorare la condizione delle persone con disabilità, cioè una condizione che ci apparteneva. E non, o non solo, perché entrambi disabili, ma anche perché eravamo – e siamo, dacché Franco è sempre con noi -, ostinatamente convinti che la disabilità ci riguardi tutti e quindi a tutti dobbiamo rivolgerci quando affrontiamo la comunicazione della disabilità.
Ecco, sto preannunciando la linea editoriale che intendo seguire nel ruolo che mi è stato conferito, ma un passo alla volta. Trovandomi in un rapporto di profonda relazione umana e professionale con Franco Bomprezzi, quando mi è stato proposto di ricoprire la veste di direttore responsabile di questa testata, ho provato un’emozione decisamente intensa. Se già rappresenta un onore, e non di meno una responsabilità, ricoprire il ruolo di timoniere di uno strumento di comunicazione diffuso, autorevole e prestigioso quale è Superando, a questo bisogna aggiungere il senso di incombenza di essere là dove il più grande è stato. Perché Franco, con tutto il rispetto per gli altri, è stato, e resta, il più grande giornalista sulla disabilità in Italia. E questo senza nulla voler togliere a chi è venuto dopo di lui e ha ricoperto la carica che ora mi viene affidata.
Ringrazio l’editore FISH per avermi concesso questa possibilità, sperando di essere all’altezza delle aspettative e promettendo il massimo impegno. In una macchina dove tutto funziona bene è difficile intervenire. Pertanto fornire una sfumatura caratterizzante del mio essere al servizio della comunicazione, visto che il mestiere del direttore consiste proprio nel fornire un’impronta, non sarà facile. Avrò poco o niente da reindirizzare secondo il mio punto di vista perché in questo luogo tutto funziona già come vorrei.
Quello che posso promettere di fare è proseguire sulla strada già tracciata, cioè procedere lungo la consapevolezza che la disabilità riguarda tutti. E ci riguarda non solo perché se essa sta nel rapporto fra noi e ambiente può capitare a tutti di imbatterci, perché tutti in condizione di salute particolari possiamo trovarci immersi in un ambiente che non ci accoglie, ma anche perché se noi siamo l’ambiente sta a noi la responsabilità di non crearla. La disabilità siamo noi, tanto perché noi o siamo disabili o definiamo l’ambiente che ci determina tali. A volte siamo entrambe le cose.
Voglio alla fine ringraziare subito i miei collaboratori, che mi aiuteranno a diventare insieme sempre più strumento per tutti. Il mio desiderio è che la comunicazione della disabilità continui sul filone intrapreso, ovvero che non resti destinata alle sole persone con disabilità, per quanto esse siano interlocutrici privilegiate. Dobbiamo far capire alla società che la disabilità riguarda tutti. E, diciamocelo, noi stesse persone con disabilità dobbiamo capire che non può dipendere solo dagli altri. Un sorriso,