La crisi causata dalla pandemia ha colpito soprattutto le donne. I divari retributivi di genere sono aumentati in tutte le famiglie, ma in particolare in quelle che erano già più diseguali. Bisogna evitare che tutto ciò produca effetti di lungo periodo.
Le retribuzioni di madri e padri in pandemia
La crisi pandemica ha avuto effetti senza precedenti sul mercato del lavoro, sia in termini di gravità della recessione economica sia di ampliamento delle diseguaglianze, dovuto al fatto che alcuni gruppi di lavoratori sono stati più colpiti rispetto ad altri. A differenza di precedenti recessioni, le donne hanno subito penalità maggiori degli uomini, soprattutto durante le fasi più acute della pandemia, tanto che la crisi del mercato del lavoro provocata dal Covid-19 è stata denominata anche she-cession: vi hanno contributo vari fattori, quali la chiusura di specifici settori “non essenziali”, in cui le donne sono sovra-rappresentate, il maggiore utilizzo dei contratti a tempo determinato nel mondo del lavoro femminile e la chiusura delle scuole che, considerato lo sbilanciamento nella ripartizione dei compiti di cura, tipico del nostro paese, ha comportato un aggravio di impegni e responsabilità soprattutto per le donne.
In un recente studio, usando i dati amministrativi dell’Inps sull’universo dei dipendenti del settore privato non agricolo, abbiamo confrontato le retribuzioni e le carriere lavorative in ciascun mese di madri e padri nel periodo 2020 e 2021 con quelle del 2019.
Nella figura 1 sono riportati i risultati delle nostre stime per i redditi (pannello A) e per le giornate retribuite (pannello B). Dal pannello A si nota che, a parità di una serie di caratteristiche (esperienza, età, qualifica, numero di bambini, utilizzo della cassa integrazione guadagni, utilizzo del congedo parentale, regione di lavoro), le madri subiscono una penalità maggiore in termini di riduzione dei guadagni nel mercato del lavoro rispetto ai padri durante il periodo marzo 2020-maggio 2021. In particolare, le differenze tra madri e padri sono maggiori (-37 contro -19 per cento) durante la prima ondata pandemica (marzo-maggio 2020); diminuiscono (-7,4 contro -3,1 per cento) quando la circolazione del virus è bassa (per esempio, estate 2020); e aumentano ancora, in misura inferiore rispetto alla prima, durante la seconda (novembre-dicembre 2020; -11,2 contro -4,9 per cento) e la terza ondata (marzo-aprile 2021; -12 contro -3,4 per cento).
Come si evidenzia nel panello B, la penalizzazione nelle retribuzioni è determinata principalmente da un consistente calo delle giornate lavorate (-13,5 per cento per le madri e -6,7 per cento per i padri). A seconda dei periodi considerati, la diminuzione è trainata da una maggiore incidenza sulle madri dei congedi e della cassa integrazione e una maggiore incidenza delle cessazioni dal lavoro (che comportano meno giorni lavorati nel mese).
A partire da luglio 2021, vi è una convergenza delle retribuzioni sia per le madri che per i padri verso i livelli pre-pandemici, senza una sostanziale eterogeneità in base al genere. Tuttavia, anche nella fase di ripresa le donne hanno una più alta probabilità di essere in cassa integrazione (+2,4 contro +1,5 punti percentuali rispetto al 2019) e di lasciare il posto di lavoro rispetto ai padri (non riportate nella figura).
Figura 1 – Stime degli effetti della pandemia sui redditi da lavoro e le giornate lavorate di madri e padri
(A) Retribuzioni mensili
(B) Giornate retribuite nel mese
Cosa succede al “secondo percettore di reddito”
Dalle nostre analisi si evidenzia, inoltre, un aumento delle differenze retributive di genere nelle coppie caratterizzate da un’iniziale più forte disparità retributiva, suggerendo che i “secondi percettori di reddito” hanno subito una penalità più elevata. Come si può notare dalla figura 2, durante la pandemia i divari retributivi di genere sono aumentati in tutte le famiglie, e in modo particolare in quelle più diseguali, che sembrano aver sacrificato in misura più pronunciata i guadagni del secondo percettore di reddito. È di cruciale importanza tenere conto dell’amplificazione delle differenze di genere nelle famiglie con maggiori livelli di disuguaglianza iniziale nella progettazione di interventi tesi a evitare che la pandemia produca sulle donne effetti di lungo periodo.
Figura 2 – Stime degli effetti della pandemia sul divario di genere nelle retribuzioni, separatamente a seconda del divario iniziale all’interno della famiglia
Chi utilizza i congedi
La nostra analisi evidenzia anche alcune tendenze interessanti riguardo all’uso dei congedi. Come si può notare dalla figura 3, l’utilizzo del congedo parentale è notevolmente aumentato, soprattutto per le madri, durante i primi sei mesi della pandemia, quando le scuole erano chiuse e le attività economiche erano soggette a più ampie restrizioni. È poi sceso al di sotto dei livelli del 2019, probabilmente a seguito dell’adozione di modalità di lavoro a distanza che hanno consentito una più facile conciliazione tra lavoro e vita privata. A partire da settembre 2021, però, le mamme hanno ripreso a utilizzare il congedo parentale in modo più intenso rispetto ai tempi precedenti la pandemia, forse in risposta al fatto che le aziende hanno iniziato a richiamare i dipendenti in presenza o comunque a ridurre la disponibilità di giornate di lavoro da remoto. L’aumento nella fruizione del congedo parentale rispetto al 2019 potrebbe derivare dall’instaurarsi di nuove abitudini o necessità: le donne potrebbero aver preferito continuare a occuparsi dei figli anche nel 2021, quando i servizi per l’infanzia hanno riaperto nonostante l’ampia circolazione del virus.
Figura 3 – Stime degli effetti della pandemia sull’uso dei congedi parentali di madri e padri
* Le opinioni espresse sono personali e non impegnano in alcun modo la Banca d’Italia o il Sistema europeo di banche centrali.
fonte: lavoce.info