L’inchiesta di Bergamo e la “vera” lezione da apprendere dalla pandemia di Covid. di Donato Greco

Serve un’inchiesta sulla pandemia?
Una valutazione sull’impatto e la gestione di una pandemia quale quella da Covid è cosa utile e necessaria, altre pandemie sono state valutate, ad esempio la pandemia influenzale del 2009, per la quale sono stato io stesso incaricato di condurre la valutazione della risposta Europea alla pandemia per l’ECDC.

Parlo di una valutazione tecnica fatta da esperti indipendenti destinata ad imparare la lezione per prepararsi meglio alla prossima, cosa che è in atto in alcuni paesi europei e che sarebbe molto utile anche per il nostro Paese.

Non certo una valutazione politica. Non mi pronuncio su inchieste giudiziarie, voglio solo ricordare che in 50 anni di inseguimento di epidemie in Italia e nel Mondo ho visto numerosi procedimenti giudiziari per il reato di epidemia colposa, ma non ne ricordo alcuno che sia arrivato ad una condanna.

Applicare il piano pandemico influenzale del 2006 avrebbe cambiato la situazione?
La mancata applicazione del piano pandemico 2006 è una cosa inesistente per alcuni motivi:

  • Un piano pandemico non è un manuale di istruzioni che si tira fuori al momento necessario e si applica: è una materia vivente, quotidiana, un piano di attività permanente, attivo sia in tempo di pace che durante le epidemie, è un processo continuo di azioni e formazione che includono il coinvolgimento globale di un Paese di concerto con la comunità internazionale. Dal 1999 il Ministro Bindi ha avviato in Italia un processo per la costruzione e gestione di piani pandemici influenzali come suggerito dall’OMS: ne sono stati prodotti 3, l’ultimo nel 2006, seguito da 21 piani pandemici influenzali attuativi delle Regioni, sostenute con un apposito finanziamento di 4 Milioni €: tutti i ministeri furono coinvolti ed oltre 400 furono gli incontri di aggiornamento e formazione con corpi della società civile, dai medici ai giornalisti ed anche incontri con magistrati. Questo processo è stato di grande utilità per la risposta alla pandemia influenzale del 2009, ma, successivamente si è sostanzialmente fermato e non è stato fatto un sistematico aggiornamento del piano né sono coerentemente continuate le attività previste, nonostante la successiva decisione Europea 1082 del 2013 impegnasse l’Italia a produrre piani pandemici (non soltanto influenzali) ed ad aggiornarli ogni tre anni. Mancando, per 11 anni, questa continuità il piano 2006 così com’era non avrebbe avuto un impatto significativo nella pandemia Covid.
  • Ormai è forte l’evidenza della grande differenza tra Influenza e Covid: basti ricordare come le misure restrittive ed i DPI usati nell’inverno 20-21 sono state efficacissime per annullare l’attesa epidemia stagionale dell’influenza , ma ininfluenti sul grande scoppio del Covid di quei mesi. Conviene ricordare come il piano 2006 limitava l’uso delle mascherine al personale ospedaliero, non menzionava il distanziamento sociale ed era forte di vaccini e farmaci disponibili ed efficaci. Ridicolo solo pensare che il Presidente dell’ISS non avesse letto il piano 2006: lo stesso Istituto ne era stato principale autore!
  • Tra il 2006 ed il 2020 per il piano 2006 sono cambiate molte cose:
        • Il piano si riferisce esclusivamente ai virus influenzali, entità completamente diverse dal Covid 19 sebbene abbiano similitudini cliniche e di trasmissione.
        • Il piano si poggia su una rete di attività di sorveglianza dell’influenza già consolidata da decenni con specifici sistemi di vigilanza e di diagnostica di laboratorio umana e veterinaria coordinata a livello mondiale.
        • All’epoca le conoscenze scientifiche erano decisamente più limitate delle attuali: non esisteva una diffusa diagnostica molecolare, le attività di contact tracing erano limitate a TBC e malattie a trasmissione sessuale, l’uso del distanziamento sociale e delle mascherine era limitato agli ambienti sanitari.
        • Gli scenari più pessimistici elaborati erano ben lungi dalla catastrofe che il mondo sta subendo per il covid.
        • Nel 2006 non esisteva ancora il nuovo Regolamento sanitario internazionale (IHR) che di fatto regolamenta anche le emergenze epidemiche.
        • Non era in alcuna previsione epidemiologica l’idea che potesse emergere un Coronavirus totalmente nuovo all’umanità e quindi particolarmente aggressivo e letale: i coronavirus erano già noti da tanti anni e, come per l’influenza, si presupponeva che le persone avessero già una qualche memoria immunitaria che avrebbe attenuato l’impatto di un nuovo ceppo.

E molte cose sono avvenute in questo decennio, cose che hanno fortemente cambiato lo scenario epidemiologico:

  • Nel 2007 entra in vigore il Regolamento sanitario internazionale
  • Nel 2013 il Parlamento europeo approva la decisione preparedness 1082/2013 decisiva per gli stati membri
  • L’OMS emana vari aggiornamenti delle linee guida per la costruzione di piani nazionali pandemici
  • Nel 2005-7 vari focolai di influenza aviaria
  • Nel 2009 pandemia da influenza suina
  • Nel 2012 epidemia di MERS
  • Nel 2016 pandemia da ebola
  • Nel 2017 pandemia da zika virus
  • Le tecnologie biologiche fanno incredibili sviluppi: diagnostici, terapeutici, vaccinali
  • La comunicazione cambia volto (Internet, telefonini, digitalizzazioni etc.)

Appare quindi giustificata la scelta del CTS 2020 a febbraio 2020 di produrre quanto prima un nuovo piano di risposta all’emergenza Covid, che fu poi applicato con successo per i due anni successivi.

Certo qualsiasi igienista, direttore sanitario, ma anche tutti i medici, anche senza alcun piano che li comanda, dovrebbero ben sapere che le infezioni respiratorie acute necessitano di isolamento restrittivo, che bisogna usare i DPI, che bisogna limitare i contatti, etc.

È possibile stimare che con le chiusure tempestive sarebbero stati evitati 4mila morti?

Ma bisognerebbe comunque chiedersi: quali istruzioni pandemiche avevano ricevuto i sanitari degli ospedali che sono stati travolti dalla prima ondata epidemica? Questi ospedali avevano piani pandemici?

Erano state condotte le dovute attività di formazione ed esercitazione nella Regione Lombardia? Gli ospedali colpiti dalla prima onda avevano piani di contingenza per l’immediato incremento di letti e personale in casi epidemici?

V’erano sufficienti scorte di DPI e tutto il personale sanitario aveva imparato ad usarle? In ciascun ospedale v’era un comitato per il controllo delle infezioni intraospedaliere? Ed una infermiera addetta al controllo delle infezioni? (attività previste e regolate da quarant’anni!), i colleghi di quegli ospedali erano allenati ed attrezzati per affrontare distress respiratori acuti in alti numeri?

Ma sappiamo bene che non si poteva positivamente rispondere a queste domande alla fine del febbraio 2020, se le risposte non erano state costruite negli anni precedenti!

Non sarei nemmeno oggi in grado di dare stime precise su quante morti sarebbero state evitabili, gli spiragli sulla perizia che sorregge il procedimento bergamasco indicano l’uso di modelli matematici che avrebbero costruito scenari di intervento efficace (chiusure, etc.) alcuni giorni prima che queste fossero realmente implementate: al di là degli innati limiti delle stime basate su modelli artificiali, appare lapalissiano pensare che un intervento precoce avrebbe avuto un impatto positivo sulla mortalità e sulla letalità: un’analisi a posteriori troppo semplice per superare le straordinarie difficoltà e le grandi incertezze che hanno colpito il nostro Paese, come e più del resto del mondo.

Mi sembra difficile parlare di ritardi colposi o addirittura di interventi non attivati per interessi politici: la caccia al colpevole eccita la stampa e parte dell’opinione pubblica, ma non aiuta a costruire l’immediato futuro arricchito da questa tristissima esperienza pandemica.

Assolutamente comprensivo il dolore delle tante persone che hanno perso in modo così tragico i propri cari, quasi sempre perfino privati di un contatto e di un normale funerale. Oltre 170 mila persone strappate alla vita dal Coronavirus: si potevano salvare?

Ogni decesso non è ineluttabile e porta dolore ed incomprensione ai propri cari, ma tradurre immediatamente alcuni di questi decessi in vittime di colpose scelte istituzionali davanti a tanti milioni di morti nel modo appare azzardata conclusione: nel caso lombardo sarà la magistratura a dirci se quest’ipotesi è vera.

Appare stridente la differenza tra i decessi del Bergamasco, vittime, mentre le altre decine di migliaia di tutto il Paese sono semplici morti!

Tutti abbiamo sottovalutato il fenomeno, certamente oggi che abbiamo molte più conoscenze avremmo potuto far meglio alcune cose: purtroppo la storia delle epidemie ci ricorda che questo è avvenuto per tante altre emergenze epidemiche, né ci consola il fatto che tutti i paesi del mondo non sono stati capaci di arginare questa pandemia particolarmente aggressiva quale quella vissuta.

L’efficacia delle chiusure per rallentare la diffusione di un virus respiratorio è scientificamente provata?
Si, gli studi sull’influenza hanno chiaramente dimostrato che alcune misure restrittive sono efficaci per rallentare la diffusione di virus respiratori, anche per il covid vi sono evidenze scientifiche robuste. Ma nessuna misura restrittiva annulla o ferma la trasmissione di questi virus, per questo le chiusure vanno tarate sugli obbiettivi che si vuole raggiungere a fronte dei costi umani sociali ed economici incorsi.

Illusorio pensare di fermare la trasmissione di un virus respiratorio: tutti i membri noti di questa grande famiglia virale sono infettanti giorni prima della comparsa di sintomi ed infettano molti individui che non sviluppano alcun sintomo, ma sono ben capaci di infettare gli altri.

Per questo l’ECDC e l’OMS non parlano di eliminazione o controllo, ma si limitano ad indicare l’obbiettivo di “Mitigazione” dell’impatto, che nel caso Covid significa per primo limitare il numero di morti e di malattie severe.

Ricordo che dai rapporti ISS di quel tempo l’età mediana dei deceduti era intorno agli 80 anni e tutti avevano patologie pregresse severe, ma, purtroppo non mancavano casi di deceduti non anziani ed in buone condizioni

La fiaba del rapido raggiungimento di una Herd immunity che avrebbe stoppato la circolazione virale è un’altra bufala sconfessata dai fatti.

Riposta inadeguata per personale inadeguato?
Centinaia di migliaia di persone si sono strenuamente impegnate per salvare vite, curare persone, ridurre i rischi, ridurre i danni; tanti hanno sacrificato beni, famiglia molti anche la vita.

Sono scese in campo molte tra le migliori risorse del Paese, sia a livello periferico che a livello Centrale. La risposta ad un’inimmaginabile evento è stata costruita con grande fatica: il primo CTS era dotato di eccellenze scientifiche ed operative tra le migliori del Paese, persone che si sono dedicate a tempo pieno per difendere gli italiani dall’aggressione pandemica, anche loro colpiti dalla profonda non conoscenza scientifica di questo maledetto virus.

Questo è avvenuto anche a livello periferico, facendo anche in modo che il secondo CTS, di cui mi onoro aver fatto parte, avesse una strada ben più chiara, nonostante la pandemia infierisse ancora con più forza: la miracolosa rapidissima disponibilità di vaccini a farmaci, frutto di un impegno di ricerca straordinario, ma anche del sostegno ad essa di fondi pubblici di tutti noi cittadini ha spianato la strada ad efficaci azioni di mitigazione che ci hanno permesso di tornare ad una vita normale.

Al di là delle attività giudiziarie il catastrofico terremoto mediatico oggi in corso sta producendo danni che sarà ben complicato riparare. La fuoriuscita di atti riservati dell’indagine giudiziaria (copione già visto?) fino alla pubblicazione di conversazioni e mail private e personali costruisce l’ennesima gogna mediatica che, ben al di là delle legittime procedure, costruisce un clima di grande sfiducia delle istituzioni centrali e periferiche, danneggia persone che ben potrebbero contribuire costruttivamente a migliorare lo stato di Preparedness per il Paese.

Un efficace piano pandemico non è soltanto una caserma di pompieri, ma richiede l’attiva partecipazione dell’intero comparto sanitario e, ancor più, di tutta la popolazione. La stessa cui la speculazione mediatica sta dicendo che i migliori tecnici che si gravano delle responsabilità istituzionali sono un accozzaglia di incompetenti!

E ora che fare?
Molte attività di preparedness sono già in corso, dalla ricerca finalizzata alla sorveglianza genomica; abbiamo il PNNR che offre risorse al Servizio Sanitario specialmente nel suo essenziale livello territoriale.

Abbiamo vaccini e farmaci in continua evoluzione e miglioramento: abbiamo sulla nostra pelle imparato una tremenda lezione.

Già abbiamo un piano pandemico influenzale aggiornato 2020-23: approvato ed implementato in tutte le Regioni italiane.

Cosa resta da fare? Il Piano pandemico influenza è in scadenza: è l’occasione per costruirne uno nuovo comprendente un’intensa attiva e disseminata attività di formazione, risorse veramente adeguate a mettere in atto le necessarie azioni, ma, soprattutto, un piano che affronti, come dettato dalla Decisione UE/1082 2013, non soltanto l’influenza, ma tutti i virus respiratori potenzialmente epidemici e che promuova una cultura della prepardness fin dai banchi di scuola.

Sarebbe di grande utilità fare veramente una valutazione della risposta italiana alla pandemia Covid: potrebbe dare risultati utili ai nuovi piani, purché sia veramente indipendente e veramente tecnica. Proprio quello cui oggi nessuno sembra interessato!

Siamo stati eccellenti per costruire un sistema di protezione civile riconosciuto tra i migliori del mondo: tocca fare lo stesso per preparare il Paese ad affrontare i rischi epidemici.

L’onda di fango mediatico, spero, passerà presto, dopo aver fatto grande disastro: bisogna rimboccarsi le maniche e lavorare perché la catastrofica pandemia sia l’ultima! Certamente altre epidemie e pandemie arriveranno: ma dovranno trovarci preparati solidamente a contrastarle.

Donato Greco
MDSpecialista in Malattie infettive, Igiene e sanità pubblica, Epidemiologia e Statistica sanitaria
Cavaliere di Gran Croce al merito della Repubblica Italiana

Già Direttore generale della Prevenzione sanitaria del Ministero della Salute

 

 

fonte: QS

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