Riassunto. L’attuale crisi della psichiatria italiana dipende probabilmente da diminuita una spinta propulsiva alla innovazione nel campo della salute mentale, da un clima politico che dà voce alla psichiatria conservatrice e anche a quella pseudo-progressista, e da una certa pigrizia della psichiatria antistituzionale a guardare al futuro piuttosto che al passato producendo nuove riflessioni teoriche e ulteriori innovazioni delle pratiche di liberazione. Questo complesso di fattori determina il rafforzamento della psichiatria nelle sue forme più conservatrici, disumanizzanti e istituzionali. Ma quanto tutto ciò sia da imputare esclusivamente a una crisi della psichiatria, compresa quella antistituzionale, oppure, e più in generale, alla drammatica assenza di pensiero e di pratiche collettive di liberazione e di giustizia, è questione tutta da studiare. [Parole chiave: Psichiatria; Salute mentale; Deistituzionalizzazione; Diritti umani; Survivors]
Abstract. The current crisis of Italian psychiatry probably depends on a diminished drive for innovation in the field mental health, on a political climate that gives voice to conservative and pseudo-progressive psychiatry, and on a certain laziness of anti-institutional psychiatry to look to the future rather than the past, producing new theoretical reflections and further innovations in liberation practices. All these factors determine the strengthening of psychiatry in its most conservative, dehumanizing and institutional forms. But how much all this is to be attributed exclusively to a crisis of psychiatry, including the anti-institutional one, or, and more generally, to the dramatic absence of collective thought and practices of liberation and justice, is a question that needs to be studied. [Keywords: Psychiatry; Mental health; Deinstitutionalization; Human Rights; Survivors]
Evocare una crisi della psichiatria è certamente interessante ma anche rischia di lasciarci in uno stato di vaghezza: crisi delle pratiche o delle teorie, italiana o globale, specifica alla disciplina oppure più vasta? Non ho risposte a queste domande ma offro soltanto alcune piste di riflessione che da tempo sto seguendo, anche se non sono in grado di formulare opinioni o ipotesi forti.
Dunque, condivido qui qualche “pensiero spettinato” ma nulla di meglio né di più posso offrire.
È ragionevole ipotizzare che ci sia una crisi nella psichiatria italiana anche se, ripeto, bisognerebbe mettersi preliminarmente d’accordo sui termini della questione e dettagliare il what, il where, il when e lo how di tale crisi.
Possiamo tuttavia domandarci se vi siano determinanti chiari e distinti di tale crisi e ragionevolmente concludere che alcuni siano identificabili.
Primo, ci domandiamo se la “povertà della psichiatria” sia un determinante della crisi attuale o, invece e piuttosto, sia un fattore presente da sempre ma probabilmente aggravatosi nei tempi recenti.
Utilizzo l’espressione “povertà della psichiatria” in riferimento a un mio libro con questo titolo (Saraceno, 2017) ma anche in riferimento al ben più autorevole testo di Eugenio Borgna (2022a, 2022b).
Povera o agonizzante, la psichiatria è una disciplina il cui costrutto epistemologico è fragilissimo e la cui dimensione morale è opaca e ambigua. Gli psichiatri convivono con essa, taluni amandola e altri sopportandola. Certamente, moltissimi psichiatri compiono uno straordinario lavoro quotidiano di ascolto, accoglienza e aiuto per i loro pazienti. Ma non sono i tantissimi generosi e dedicati psichiatri a essere “impoveriti” dalla povertà della psichiatria ma piuttosto è l’arroganza della disciplina che ne impoverisce l’azione e avvilisce i suoi più ciechi e ottusi esponenti.
Le neuroscienze che costituiscono un fondamentale sguardo sul funzionamento del cervello ci hanno detto molto poco sulle malattie mentali. La psicofarmacologia che costituisce un fondamentale contributo alla terapeutica delle malattie mentali utilizza modelli di normalità e patologia obsoleti e di fatto non ha conseguito significativi progressi negli ultimi trent’anni. Gli approcci psicoterapeutici, psicodinamici e no, difficilmente costituiscono un contributo compiuto e sistematico della pratica psichiatrica nei Servizi pubblici.
Inoltre, la medicina basata sulle evidenze se da un lato permette di offrire trattamenti la cui efficacia è valutata, dall’altro rischia di trasformarsi in ideologia pervasiva che colonizza territori che male si prestano alla sua logica. La medicina basata sulle evidenze dovrebbe valutare evidenze di interventi medici ma rischia di estendersi impropriamente alla valutazione di interventi non medici che hanno a che fare con la restituzione di diritti amputati e con l’inclusione sociale più che con obbiettivi squisitamente clinici. L’effetto collaterale di una legittima e lodevole ambizione a uno statuto più scientifico della psichiatria è quello di avere ignorato le grandi e dimenticate questioni che hanno a che fare con la solidità o fragilità epistemologica dei concetti di malattia mentale e di cura della medesima. In altre parole, le questioni intorno all’esistenza della malattia e alla funzione normalizzatrice della psichiatria restano pertinenti ma irrisolte, urgenti ma ignorate. Cosicché la drammatica fragilità epistemologica della psichiatria resta immutata così come immutata resta la grande sfida morale alle sue pratiche.
La psichiatria sembra sempre più costretta dentro vetusti e noiosi dilemmi che sarebbero risolvibili con una buona dose di buon senso: biologico verso psicobiologico verso biopsicosociale; psicofarmaci verso psicoterapie verso pratiche di inclusione sociale e riabilitazione psicosociale; Ospedale Psichiatrico verso ospedale generale verso Servizi territoriali.
Ma allora, davvero questa povertà (questa agonia) è un determinante della crisi dell’oggi? Non lo credo, perché quella povertà è antica e ci accompagna da ben prima della rivoluzione di Basaglia, durante e dopo di essa. Quella povera psichiatria esiste e continua florida nelle scuole di specialità e nella formazione dei futuri psichiatri. Limitiamoci a dire che una temperie culturale e politica che teme il pensiero critico e le pratiche innovative certamente acuisce i danni della povera psichiatria che tuttavia sono presenti da sempre.
Ma allora, vi sono determinanti specifici della crisi dell’oggi?
Certamente, quando assistiamo al volgarissimo attacco alla realtà della esperienza di Trieste con il progressivo smantellamento delle esperienze più innovative colà realizzate, riconosciamo una vis ideologica che vorrebbe interrompere la virtuosa esperienza della psichiatria innovativa antistituzionale. Nel 2018, Matteo Salvini, allora ministro dell’Interno, scriveva: “Noi stiamo lavorando per un’Italia più buona. Penso alla assurda riforma che ha lasciato nella miseria migliaia di famiglie con parenti malati psichiatrici”. E denunciava, senza fornire alcun fondamento fattuale: “C’è quest’anno un’esplosione di aggressioni per colpa di malati psichiatrici”. Le parole dell’ex-ministro non sono soltanto la espressione della ignoranza culturale, scientifica e morale del peggior ministro che il nostro Paese abbia avuto, ma sono la manifestazione di una diffusa ignoranza dei fatti, delle evidenze e delle realtà a proposito della riforma psichiatrica preconizzata dalla Legge 180 e a proposito dei diritti delle persone che si trovano nelle istituzioni socio-sanitarie. Non c’è dubbio che la cultura della reazione teme la innovazione, la distorce, la ignora, cerca di silenziarla.
Tuttavia, quando assistiamo all’impoverimento progressivo dei Servizi pubblici di salute mentale, de-finanziati e erosi nelle loro risorse umane, non dobbiamo tanto ipotizzare un intelligent design reazionario che vuole smontare le pratiche generate dal pensiero e dall’opera di Basaglia, ma piuttosto dobbiamo semplicemente riconoscere gli effetti di una più generale scelta di indebolire il Servizio Sanitario Nazionale, di penalizzare il pubblico a favore del privato. E questo processo minaccioso va ben oltre la specificità della psichiatria e investe la Sanità nel suo complesso.
Certamente, il clima politico e culturale degli ultimi anni (con una decisa impennata in negativo a partire dall’affermazione della estrema destra) ha costituito un terreno di coltura ideale per combinare al tempo stesso la generale volontà di smantellare il Servizio pubblico e la specifica vis anti-Legge 180.
Nello specifico, va detto che tale vis fa molto comodo a quegli operatori della salute mentale e a quei servizi che non hanno mai preso troppo sul serio il pensiero e l’opera di Basaglia, limitandosi a una adesione superficiale.
Delle parole di Basaglia spesso la psichiatria corrente ricorda più volentieri quelle legate al superamento dello scandalo del manicomio (edificio più che istituzione) che non quelle legate alla critica della psichiatria come istituzione. Il monologo della ragione sulla follia (parafrasando Foucault) è invece l’oggetto principale della ricerca di Basaglia, e il superamento del manicomio altro non è che la negazione della legittimità di tale monologo. Il Basaglia ingegnere istituzionale è certamente rassicurante ma semplicemente non è mai esistito. «Continuare ad accettare la psichiatria e la definizione di malattia mentale significa accettare che il mondo disumanato in cui viviamo sia l’unico mondo umano, naturale, immodificabile, contro il quale gli uomini sono disarmati», questo scrivono Franco e Franca Basaglia più di quaranta anni fa (Ongaro Basaglia & Basaglia, 1979). Chissà se la “etichetta” (ossia la piccola etica) del nuovo savoir faire psichiatrico territoriale sottoscrive queste parole che enunciano invece una nuova etica del “fare psichiatria”? Chissà se gli psichiatri hanno capito che il discorso di Basaglia non è un discorso sul manicomio ma è un discorso sulla psichiatria?
Vi è infatti una distorsione del pensiero di Basaglia, un evitamento della sfida da lui posta, che riguarda una sostanziale, profonda e spesso inconsapevole resistenza della psichiatria nei confronti della interrogazione di Basaglia sul rapporto fra teoria e trasformazione della realtà. La Gestalt del binomio pensiero/pratica di Basaglia è troppo spesso dimenticata per permettere (per autorizzarsi) a un uso di parole isolate dal suo testo/pratica, e quindi impoverite se non spesso polisemizzate, e basti pensare all’uso improprio, confuso, impoverito della parola deistituzionalizzazione ormai presente nei testi ufficiali della psichiatria come sinonimo di deospedalizzazione: un po’ come se la parola rivoluzione venisse impiegata per definire l’atto di rivoltare le frittate, atto questo notoriamente molto più accetto e accettabile anche in ambienti conservatori (Saraceno, 2012).
Tale fenomeno di decontestualizzazione della parola assume forme sistematiche in molta psichiatria, ovviamente soprattutto italiana, cosicché la riflessione basagliana sulla ideologia della psichiatria e sulla natura della clinica psichiatrica scompare per lasciare posto a un presunto pensiero basagliano fatto di un misto di indignazione filantropica (per la inumana condizione dei ricoverati) e di ragionevole spirito riorganizzativo (più ambulatori fuori, meno letti dentro).
La paura di prendere sul serio Basaglia è certamente rafforzata dal clima politico instaurato dalla destra al governo ma, tuttavia, esiste da sempre.
Infine, anche all’interno della stessa psichiatria antistituzionale italiana possiamo individuare i germi di qualche determinante della crisi dell’oggi:
– Vi è una scarsa conoscenza e considerazione della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, una scarsa conoscenza un po’ arrogante che riflette l’idea, erronea, che di questi diritti enunciati dalla Convenzione “noi siamo sempre stati paladini”, senza capire che l’esistenza stessa di un corpus giuridico divenuto legge nazionale (in forza della ratificazione della convenzione) è in sé un fatto importantissimo e con grande potenziale trasformativo (Patel, Saraceno & Kleinman, 2006; United Nations, 2006).
– Vi è una scarsa conoscenza e considerazione della evoluzione dei movimenti degli utenti della psichiatria che, soprattutto fuori dall’Italia, ormai rifiutano di essere definiti “utenti” ma piuttosto si definiscono “survivors” ed essi hanno generato una riflessione articolata e innovativa sulla “diversità” in contrapposizione alla “malattia”. Questi movimenti pongono questioni critiche e spinose anche alla psichiatria antistituzionale che, tuttavia, non sembra molto interessata a ingaggiare un dialogo e un confronto (Morrison, 2005).
– Infine, vi è una scarsa consapevolezza della importante responsabilità storica di trasmettere il “come si fa” delle pratiche antistituzionali, spesso più narrate che documentate e rese trasmissibili.
In sintesi:
- i) una spinta propulsiva diminuita e affaticata; ii) un clima politico che dà voce sia alla psichiatria conservatrice sia a quella pseudo-progressista; iii) una certa pigrizia a guardare al futuro piuttosto che al passato producendo nuove riflessioni teoriche e ulteriori innovazioni delle pratiche di liberazione, costituiscono un insieme complesso di determinanti, per nulla chiari e distinti, ma sufficienti, appunto, a determinare il rafforzamento della “povera psichiatria”, pur se diluita in salsa basagliana, a promuovere la celebrazione e autocelebrazione del passato, a intensificare la mancanza di una salutare reazione conflittuale allo status quo.
Ma quanto tutto ciò sia da imputare esclusivamente a una crisi della psichiatria, compresa quella antistituzionale, oppure, e più in generale, alla drammatica assenza di pensiero e di pratiche collettive di liberazione e di giustizia, è questione tutta da studiare.
Bibliografia
Borgna E. (2022a). Agonia della psichiatria. Milano: Feltrinelli.
Borgna E. (2022b). La psichiatria italiana, oggi. Psicoterapia e Scienze Umane, 56, 4: 565-570. DOI: 10.3280/PU2022-004003.
Morrison L.J. (2005). Talking Back to Psychiatry. The Psychiatric Consumer/Survivor/Ex-Patient Movement. London: Routledge.
Ongaro Basaglia F. & Basaglia F. (1979). Follia/Delirio. In: Enciclopedia Einaudi, Vol. VI. Torino: Einaudi, 1979, pp. 262-287. Anche in: Ongaro Basaglia F., Salute/malattia. Le parole della medicina (“Collana 180. Archivio critico della salute mentale”, diretta da Peppe Dell’Acqua con la consulenza di Pier Aldo Rovatti). A cura di Maria Grazia Giannichedda. Merano (BZ): Alphabeta Verlag, 2012, pp. 119-114.
Patel V., Saraceno B. & Kleinman A. (2006). Beyond evidence: the moral case for international mental health. American Journal of Psychiatry, 163, 8: 1312-1315. DOI: 10.1176/ajp.2006.163.8.1312.
Saraceno B. (2012). La “distorsion anglaise”: remarques sur la réception de la pensée de Franco Basaglia. Les Temps Modernes, 668, 2: 55-63.
Saraceno B. (2017). Sulla povertà della psichiatria. Roma: Derive e Approdi.
United Nations (Department of Economic and Social Affairs, Disability) (2006). Convention on the Rights of Persons with Disabilities (CRPD). New York: United Nations (https://treaties. un.org/Pages/ViewDetails.aspx?src=TREATY&mtdsg_no=IV-15&chapter=4&clang=_en).
L’Autore: Benedetto Saraceno, già direttore del Department of Mental Health and Substance Abuse della Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), Secretary-General del Lisbon Institute of Global Mental Health; Rue des Campanules 50, 01210 Ornex, Francia, e-mail <benedetto.saraceno@gmail.com>.
Fonte: Psicoterapia e Scienze Umane, 2023, 57 (1): 67-72. DOI: 10.3280/PU2023-001007 www.psicoterapiaescienzeumane.it ISSN 0394-2864 – eISSN 1972-5043