Una buona accoglienza è possibile, per tutti. di Maria Pia Mendola

I paesi europei hanno accolto i rifugiati ucraini, garantendo il diritto di protezione umanitaria. Ma la crisi non ha portato a un cambiamento della politica comunitaria sull’asilo. Servirebbe invece una accoglienza diffusa, condivisa e di qualità.

L’accoglienza dei profughi ucraini

La guerra della Russia contro l’Ucraina ha provocato l’esodo di più di 8 milioni di persone nel giro di pochi mesi (Unhcr). A un anno dall’inizio della crisi umanitaria scoppiata nel cuore dell’Europa, è possibile fare una analisi e un raffronto delle politiche dell’Unione in tema di accoglienza e asilo degli sfollati. Gli esodi forzati nel mondo, e attorno all’Europa in particolare, potrebbero aumentare nei prossimi anni, a causa dell’aggravarsi di situazioni di insicurezza, violenza, violazione dei diritti umani e civili, disastri naturali e degli effetti della crisi climatica.

I profughi ucraini si sono riversati per lo più nei paesi limitrofi, ovvero Polonia (1.563.386), Repubblica Ceca (481.047), Bulgaria, Slovacchia, Romania e Moldavia (dati aggiornati a febbraio 2023). Ne deriva la necessità di un coordinamento per la condivisione delle responsabilità nella gestione e accoglienza dei rifugiati fra i paesi di prima accoglienza e gli altri stati.

I rifugiati fuggono all’improvviso e senza preparazione in paesi vicini e hanno diritto a trovare una ricollocazione strutturata e sostenibile. I paesi riceventi dovrebbero quindi dotarsi di una politica chiara e prevedibile di ricollocamento dei rifugiati. Oggi nella Ue non è così: l’ultimo accordo prevede ancora una solidarietà “volontaria”, eventualmente anche in termini di contributi finanziari, mentre il gruppo dei paesi Visegrad continua a dichiararsi contrario a meccanismi strutturati di solidarietà.

Degli 8 milioni di sfollati dall’Ucraina, poco più di due milioni non sono cittadini ucraini, risiedevano tuttavia nel paese al momento dello scoppio della guerra. Per gli ucraini è stato immediatamente garantito un diritto diffuso di protezione umanitaria temporanea, mentre, a causa dell’opposizione di alcuni stati membri, lo stesso diritto è stato negato ai cittadini di paesi terzi, pur se residenti in Ucraina. Ciò mette in luce il doppio standard del diritto di asilo in Europa, che dipende dal paese di origine dei rifugiati. Ciò comporta un problema di “svilimento” del diritto di asilo, che secondo la Dichiarazione universale dei diritti umani vale per ogni individuo. E comporta anche un problema di accesso discriminatorio alla protezione internazionale.

D’altra parte, nonostante lo status automatico di protezione temporanea, circa la metà degli sfollati ucraini ha fatto ritorno a casa. Dunque, le politiche migratorie o di asilo disegnate nei paesi di destinazione non necessariamente costituiscono un fattore di attrazione: la decisione di dove vivere, realizzarsi e crescere eventualmente i propri figli dipende da un sistema complesso di elementi, che comprende in primo luogo le aspirazioni individuali e ciò che si lascia all’origine, combinato con le opportunità offerte nel paese di destinazione. Fra queste ultime, per un rifugiato sono cruciali i servizi offerti dal sistema di accoglienza, ovvero dal trampolino di lancio che dovrebbe trasformare una persona (emotivamente e fisicamente) sradicata improvvisamente dal suo habitat in un/a cittadino/a autonomo. In Italia, per esempio, un sistema di accoglienza organizzato e strutturato ancora non c’è. Manca una politica di accoglienza e integrazione stabile sul territorio che garantisca uno standard qualitativo dei servizi offerti, ma soprattutto manca una cultura dell’accoglienza che concepisca le persone come una risorsa e non come un costo.

Peraltro, lo status temporaneo di protezione umanitaria riconosciuto agli ucraini, insieme ad altre misure di agevolazione sui controlli ai confini e la creazione di corridoi di evacuazione, ha fatto sì che dopo le prime settimane, il traffico di frontiera si stabilizzasse e non si registrassero eccessive congestioni. Dunque, uno scenario totalmente diverso rispetto alle code apocalittiche viste ai confini dell’Ue durante la crisi siriana, e lontano anche dalle politiche di respingimento (con la forza) al confine con la Bielorussia o con la Turchia. Tuttavia, i respingimenti dei richiedenti asilo alle frontiere esterne dell’Unione e la politicizzazione sia degli arrivi sia della protezione internazionale sono ancora all’ordine del giorno in Ue, dovuti a politiche tanto comunitarie quanto nazionali. Ne è un esempio l’indifferenza verso i migranti e richiedenti asilo che arrivano lungo la rotta del Mediterraneo centrale. 

Se dunque c’era una aspettativa di cambiamento nella politica comunitaria in materia di migrazione, accoglienza e asilo a seguito della crisi ucraina — cambiamento nella direzione di misure prevedibili, applicabili, solidali e capaci di fornire soluzioni strutturali – è andata delusa.

Il compito delle istituzioni

Si potrebbe facilmente argomentare che la vicinanza geografica della guerra e gli stretti legami culturali ed etnici in Europa possono aiutare a spiegare il diverso trattamento dei profughi ucraini rispetto ad altri. Ma ci sono almeno due ragioni per cui non possiamo considerarla una spiegazione sufficiente. Primo, il diritto di asilo e protezione internazionale, come sancito anche nella nostra Costituzione, non è una aspirazione o una aspettativa che si basa sulla generosità o spirito umanitario degli stati ospitanti, ma è un diritto fondamentale al quale chiunque deve poter avere accesso. La negazione dell’accesso a tale diritto è di fatto un respingimento verso potenziali situazioni di oppressione, persecuzione, violenza, discriminazione o altro, ovvero una violazione dei diritti umani. Secondo, la diversità e multiculturalità è un aspetto oggettivo della nostra società globale, che descrive l’esistenza di una varietà che può essere compresa e gestita. Numerosi studi mostrano che la varietà può costituire una significativa risorsa per l’innovazione, la crescita e lo sviluppo economico, sociale e culturale.

Come l’anno scorso, dopo gli applausi iniziali, le insegnanti e gli alunni di migliaia di scuole italiane si sono dovuti impegnare per favorire l’accoglienza e l’integrazione di più di 20 mila studenti ucraini nelle classi, così enti locali, nazionali ed europei devono dotarsi di volontà politica e buone pratiche per promuovere l’integrazione nelle comunità locali e una migliore comprensione della varietà di background ed esperienze. Ostacolare il lavoro delle associazioni che accolgono immigrati e richiedenti asilo, per esempio, non fa altro che alimentare paura e diffidenza nella popolazione locale. Le percezioni e le paure rispetto ai flussi migratori, tuttavia, sono spesso alimentate da pregiudizi e convinzioni errate, a loro volta basate su stereotipi e disinformazione. Tocca alle istituzioni investire su una accoglienza diffusa, condivisa e di qualità, che comprenda sia la formazione dei nuovi arrivati sia l’educazione e l’interazione interculturale nelle comunità. Se c’è una cosa che l’esperienza ucraina mostra è che ciò è materialmente possibile.

fonte: lavoce.info

DSC_0025Mariapia Mendola è professore ordinario di Economia Politica all’Università di Milano-Bicocca, Research Fellow presso l’Institute for Labor Studies (IZA), il Center for European Studies (CefES) e il Centro Studi Luca d’Agliano. Ha conseguito un PhD in Economics presso l’Università di Milano, un MA in Development Economics presso la University of Sussex e una laurea in Discipline Economiche e Sociali all’Università Bocconi. Collabora con numerose istituzioni nazionali ed internazionali. I suoi interessi di ricerca di rivolgono all’economia dello sviluppo e all’analisi dei flussi migratori internazionali.

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