Torna a riaccendersi il dibattito sulla commerciabilità delle infiorescenze di canapa da fibra disciplinate dalla L. 242/16. Subito dopo l’emanazione di questa legge nel nostro paese si era sviluppata una fiorente attività di produzione delle infiorescenze di canapa da fibra e si era accesso il dibattito sulla loro commerciabilità.
Alcuni tribunali ritenevano che le infiorescenze rientrassero tra le possibili produzioni autorizzate dall’art 2 della Legge 242/2016 ritenendole rientrare nella categoria delle coltivazioni destinate al florovivaismo di cui alla lettera g di tale articolo.
In tali termini ad esempio la Corte di Cassazione VI sezione penale del 29 novembre 2018 (dep. 31 gennaio 2019), n. 4920 aveva stabilito la liceità della commercializzazione delle infiorescenze di cannabis sativa L laddove abbiano un principio attivo di thc inferiore allo 0,6% di thc e rientrino tra le varietà di cui al Catalogo di cui all’articolo 17 della direttiva 2002/53/CE del Consiglio.
Dopo pochi mesi da tale pronuncia ed in forza di un contrasto giurisprudenziale formatosi tra diverse sezioni della Cassazione è però intervenuta la Cassazione a sezioni unite la quale, con sentenza 30895 del 2019, ha stabilito il principio della non commerciabilità delle infiorescenze di cannabis non ritenendole rientrare tra le possibili produzioni abilitate dalla L. 242/16.
La cassazione ritiene pertanto che “la commercializzazione al pubblico di cannabis sativa L ed in particolare di foglie, infiorescenze, olio resina ottenuti dalla predetta pianta non rientra nell’ambito della L. 242/16 ….ed è pertanto condotta soggetta alla normativa sugli stupefacenti anche a fronte di un contenuto inferiore allo 0,6% salvo che risulti in concreto priva di ogni efficacia drogante.
Dopo questa sentenza vi è stata un forte contrazione del settore della commercializzazione delle infiorescenza anche a causa di alcuni sequestri a produttori e rivenditori verificatesi a macchia di leopardo sul territorio nazionale da cui sono scaturiti alcuni processi.
In questi giorni si è anche assistito a numerose perquisizioni a tappeto nei tre giorni della fiera Canapamundi a Roma con sequestri ai produttori ai fini di sottoporre le infiorescenze ad analisi onde verificarne il contenuto di principio attivo.
La questione sottoposta e decisa dal Tar del Lazio sembra però riaprire le porte alla commerciabilità di tali prodotti. Il ricorso introduttivo è stato posto da alcuni produttori e da associazioni di settore avverso il decreto ministeriale sulle piante officinali del 21 gennaio 2022 per contrasto alla normativa internazionale, comunitaria e nazionale di riferimento nella misura in cui riteneva rientrare nell’ambito della L. 242/16 solo i semi e i loro derivati e non anche le restanti parti della pianta tra cui fiori e foglie riportando così la coltivazione di tali parti della pianta nell’ambito disciplinato dal Testo unico degli stupefacenti.
Il ricorso impugnava altresì la qualificazione del principio attivo cbd quale sostanza attiva a uso medicinale e come tale sottoposta ad un regime autorizzativo piuttosto rigido per la sua coltivazione e produzione.
Nel ricorso si sostiene che la convenzione di New York del 61 impone un sistema di controllo sulle sole sostanze stupefacenti che fa salva la possibilità di impiego della canapa a fini industriali, che il decreto viola l’art.38 del TFUE e i regolamenti UE 1307/13 e 1308/13 ovvero il regime di libera commerciabilità dei prodotti agricoli all’interno dell’Unione.
Il TAR del Lazio con la sentenza 2613/2023 ha accolto il ricorso: in estrema sintesi, dall’esame della normativa e della giurisprudenza unionale emerge che, a livello sovranazionale, nell’istituire un mercato unico della canapa non viene operata alcuna distinzione tra le parti della pianta della canapa che possono essere impiegate nella filiera produttiva, limitandosi a definire la “canapa” nel suo complesso quale “prodotto agricolo” e “pianta industriale”. Questo in quanto si stabilisce che, ai fini della qualificazione come pianta industriale, la canapa deve soddisfare due condizioni: provenire da varietà iscritte al Catalogo Comune delle varietà delle specie delle piante agricole di cui all’art. 17 della direttiva 2002/53/CE; avere un livello di THC inferiore o uguale allo 0,2% (i.e. 0,3% da partire dal 1 gennaio 2023)
Si stabilisce altresì che ai fini di introdurre eventuali restrizioni agli scambi sui prodotti per tutela della salute pubblica, sulla scorta della decisione Khanavè C 663-18 CGUE sez. IV del 19.12.2020 che analogamente aveva condannato la Francia ritenendo improprie le restrizioni alla commercializzazione dell’olio al cbd, occorra rappresentare e documentare adeguatamente itali rischi e che così non è stato fatto nel caso di specie in relazione al cbd – nonostante fosse stato richiesto dal TAR con ordinanza di settembre 2022 – stante anche la sussistenza di valutazioni dell’Unione europea che hanno ritenuto le varietà di canapa inferiori allo 0,3% non pericolose per la salute o comunque non tali da giustificare un divieto generale e assoluto della loro commercializzazione e pertanto conclude annullando il decreto.
Tale decisione sembra poter riaprire il dibattito sulla commercializzazione delle infiorescenze anche davanti alla Corte di cassazione.
fonte: Fuoriluogo