Fabbisogni personale SSN: scenari per la salute mentale. di Fabrizio Starace

Con l’Intesa sancita il 21 dicembre scorso sulla “nuova metodologia per il calcolo dei fabbisogni di personale del Ssn” si è finalmente posto rimedio alla discussa assenza della Salute mentale dal disegno di riorganizzazione dell’assistenza territoriale definito col Dm 77/22. In attesa della sua adozione da parte del Ministero Salute e della sua effettiva entrata in vigore, vediamo quali sono le novità più interessanti che introduce. Queste riguardano sia aspetti organizzativi (con l’individuazione di quattro livelli assistenziali, da quelli relativi all’assistenza primaria, in cui si declina il rapporto tra Dipartimenti di Salute Mentale e Case della Comunità, al livello delle reti specialistiche di area vasta, regionali o inter-regionali) che strutturali (la rete ospedaliera dei Servizi Psichiatrici Diagnosi e Cura). Di rilievo ancora maggiore, l’identificazione di standard minimi di personale necessari per il funzionamento a regime del sistema di salute mentale di comunità.

Ricordiamo che l’applicazione degli standard di cui all’Intesa sarà propedeutica per gli anni 2022-2024 alla fruizione del 5% di incremento del Fsn per sopperire alle carenze di personale del Ssn evidenziate dal calcolo del fabbisogno mediante la metodologia di cui all’Intesa.

Rinviando alla lettura del documento tecnico integrale per una più articolata analisi, richiameremo di seguito gli standard organizzativi, strutturali e quantitativi per la Salute mentale, simulandone l’applicazione a regime nel contesto attuale.

Se si considera che per la maggior parte delle questioni affrontate il riferimento generale risaliva al Dpr 1.11.99 – prima cioè delle modifiche costituzionali in senso regionalista – con cui veniva approvato il P.O. “Tutela Salute Mentale 1998-2000”, si tratta di un indubbio passo avanti che prova a chiarire (non senza contraddizioni, come vedremo) l’annosa questione del fabbisogno di personale e a promuovere il superamento delle disuguaglianze inter-regionali in un’area della sanità pubblica che nell’ultimo decennio è stata segnata da un progressivo impoverimento, a fronte di un incremento della domanda di cura reso esponenziale dagli effetti che pandemia, conflitti e crisi economica hanno prodotto.

Sebbene in premessa si specifichi che “quanto definito nel presente documento deve essere raggiunto nell’arco temporale di attuazione del Pnrr, ovvero entro il 2026”, le analisi che in questa sede proponiamo mostrano che il vincolo economico è tutt’altro che insormontabile, anche nel breve termine. L’applicazione a regime degli standard indicati comporterebbe infatti una spesa complessiva per la Salute Mentale che dal 3,0% si sposterebbe al 3,6% del Fsn. Anche la carenza di personale specializzato, come abbiamo discusso in un recente articolo, potrà essere affrontata con successo attraverso rigorose quanto necessarie riforme strutturali.

STANDARD ORGANIZZATIVI
L’assistenza in materia di salute mentale – recita l’Intesa – è assicurata in ciascuna regione dall’insieme dei servizi territoriali sanitari e socio-sanitari e attraverso servizi specialistici di quattro livelli:
1-Livello di consultazione e assistenza primaria: la funzione viene garantita all’interno delle Case di Comunità in stretta collaborazione con i Mmg e con tutti gli operatori che garantiranno le attività di individuazione precoce e di primo intervento secondo le modalità organizzative che le Regioni individueranno in attuazione del Dm 77/2022. Comprende valutazioni specialistiche in loco con possibilità di diagnosi ed intervento precoce, e garantisce appropriatezza di invio ai livelli superiori di trattamento;
2-Livello di presa in carico per episodio di cura o per progetti terapeutico-riabilitativi individualizzati a lungo termine, assicurati da Centri di salute mentale (Csm);
3-Livello di assistenza specialistica in ambito ospedaliero o residenziale, garantito dai Servizi ospedalieri di Diagnosi e Cura (Spdc) dalle strutture residenziali terapeutiche specifiche, dai presidi nelle case circondariali;
4-Livello delle reti specialistiche di Area Vasta, regionali o interregionali, comprendente servizi sovra zonali per i Disturbi dell’alimentazione e della Nutrizione, le Residenze per la Esecuzione delle Misure di Sicurezza (Rems).

Gli aspetti più interessanti e potenzialmente più innovativi di tale suddivisione per livelli riguardano il rapporto tra Dipartimenti di Salute Mentale e assistenza primaria, strettamente connesso a una compiuta realizzazione delle Case di Comunità quale primo livello di accesso ai servizi sociosanitari. Non si intende, a nostro avviso, individuare nelle CdC una “sede decentrata” del Centro di Salute Mentale, che inevitabilmente attiverebbe meccanismi di delega per la gestione dei disturbi psichiatrici comuni, quanto piuttosto assicurare la stabile consultazione di psicologi e professionisti sanitari del Dsm con i Mmg e i Pls per garantire diagnosi e percorsi terapeutici efficaci (non necessariamente farmacologici), individuazione precoce dei disturbi più gravi ed avvio in collaborazione dei trattamenti in un contesto certamente meno stigmatizzante, eventuale invio ai livelli superiori per interventi più articolati e complessi.

Dalla capacità di organizzare al meglio il rapporto tra Dsm e assistenza primaria dipende anche la possibilità di un governo adeguato della salute fisica nelle persone con disturbi psichiatrici gravi e persistenti, che come è noto costituisce obiettivo prioritario per alleviarne gli effetti sulla ridotta speranza di vita.

Sul piano organizzativo, è questo il livello che dovrà esprimere la più elevata “plasticità” in funzione delle risorse professionali concretamente disponibili. Laddove permanessero le gravi carenze di personale che oggi contraddistinguono in molte Regioni i Dipartimenti di Salute Mentale, non sarebbe evitabile un più o meno esplicito “downgrade” sul modello che caratterizza i Paesi a basso/medio reddito in cui le funzioni della Salute mentale sono in larga parte svolte dalle cure primarie e da ampi ospedali psichiatrici (oltre che da un fiorente mercato privato, limitato alle fasce più abbienti della popolazione). L’auspicio, naturalmente, è che non si giunga a un ridimensionamento di questo genere, peraltro già evidente in alcune Regioni. Sta di fatto però che le buone intenzioni manifestate a ogni livello hanno bisogno per realizzarsi di scelte precise, come quelle relative all’adeguamento degli standard strutturali e di personale che l’Intesa prevede.

STANDARD STRUTTURALI: SPDC
Le attività ospedaliere per la salute mentale, ovvero quelle afferenti ai Servizi psichiatrici Diagnosi e Cura (Spdc) vengono definite individuando la presenza di almeno 1 Spdc ogni 300.000 abitanti. Il rispetto di questo criterio corrisponderebbe a circa 200 Spdc su tutto il territorio nazionale.
Occorre evidenziare che l’ultima rilevazione dello stesso ministero della Salute relativa al 2021, riporta un numero di Spdc attivi pari a 329 con 4.039 posti letto complessivi per ricoveri ordinari e per Tso (in media 12,3 p.letto per Spdc), ai quali si aggiungono 294 posti letto di day hospital. Vengono inoltre censite 18 strutture ospedaliere convenzionate / accreditate che erogano attività di assistenza psichiatrica, con un totale di posti letto per degenza ordinaria pari a 764 (in media 42,4 p.letto per struttura). Il tasso di p.letto ordinari per ricoveri psichiatrici (pubblici e privati accreditati) è quindi pari a 9,6 per 10.000 abitanti adulti, pur con eclatanti differenze inter-regionali.

Applicando lo standard minimo di 1 Spcd ogni 300.000 abitanti risulterebbe un numero minimo di Spdc sul territorio nazionale (abitanti adulti al 1.1.21: 49.885.100) pari a 166 e, in considerazione del numero massimo di 16 p.letto per Spdc, un totale non superiore a 2.656 corrispondente a 0,53 p.letto per 10.000 abitanti.
Considerando che il Progetto Obiettivo “Tutela della salute mentale 1998-2000” (DPR 1.11.99) individua in 1 p.letto per 10.000 abitanti il fabbisogno tendenziale di assistenza ospedaliera, il rispetto dello standard minimo indicato determinerebbe a una significativa riduzione dei p.letto ospedalieri pubblici per la salute mentale, per i quali l’Italia già si attesta sui valori minimi nel confronto internazionale, come documentato dall’Oecd.

Se questo è l’intento del programmatore, allora ci si sarebbe attesi una dettagliata analisi di scenario relativa alle ipotesi alternative per dare risposta alle acuzie sintomatologiche oggi assistite in Spdc: ad esempio il rafforzamento della residenzialità sanitaria intensiva o l’estensione delle esperienze di ricovero presso i Csm 24ore. In assenza, vi sono solo due strade percorribili sul piano organizzativo: 1) si rispetta l’indicazione di 1 Spdc per 300.000 abitanti ma se ne “forza” il limite di 16 p.letto, raddoppiandolo, per raggiungere il fabbisogno di 1 p.letto per 10.000 abitanti per Spdc ; 2) si rispetta l’indicazione di 1 Spdc per 300.000 abitanti ed il limite di 16 p.letto, ma per garantire la presenza di almeno 1 p.letto per 10.000 abitanti si attinge all’offerta convenzionata / accreditata; in altri termini, si opera un significativo ridimensionamento dell’offerta ospedaliera pubblica a favore di quella privata.

La prima ipotesi, oltre a confliggere con la normativa vigente, si scontrerebbe con la materiale indisponibilità degli spazi necessari per operare l’ampliamento dei p.letto. La seconda invece appare più concreta, e come segnala il Rapporto Salute Mentale del Ministero Salute, è già ampiamente utilizzata in alcune Regioni: innanzitutto Veneto (372 p.letto), Emilia-Romagna (213 p.letto) e Sicilia (109 p.letto), ma anche Toscana (54 p.letto) e Puglia (16 p.letto). L’acquisto di alcune funzioni sanitarie, secondo alcuni causata dal tetto imposto alla spesa per il personale del ssn e dal conseguente spostamento – sotto la voce “acquisto di servizi” – di attività e prestazioni largamente vincolate alla spesa per il personale necessario a svolgerle, presenta particolari criticità nel caso dei p.letto ospedalieri per ricoveri psichiatrici. In primo luogo, questi reparti non rispettano il limite dei 16 p.letto, configurando di fatto concentrazioni in un unico plesso di decine di persone in acuzie sintomatologica, anche se l’espediente dei moduli multipli rende possibili questi numeri. Essi inoltre vengono accreditati sulla base di standard di personale medico ed infermieristico inferiori rispetto ai servizi pubblici. Anche reclutamento e salario del personale seguono modalità differenti, determinandosi talvolta una vera e propria concorrenza tra strutture pubbliche e private convenzionate / accreditate per l’assunzione di specifiche figure professionali. Infine, questi posti letto sono il più delle volte collocati in strutture mono o pauci-specialistiche, rendendo più difficile la diagnostica differenziale e più rischiose eventuali condizioni critiche e/o complesse. Infine, ciò che rende più evidente la diversa natura dell’offerta ospedaliera pubblica e privata è il meccanismo di remunerazione dei ricoveri, nel primo caso “a Drg”, nel secondo “a tariffa giornaliera”, con differenze profonde sia in termini quantitativi che di comportamenti indotti per massimizzare la produttività del ricovero (in termini di minore o maggiore durata della degenza).

In definitiva, preferiamo pensare che l’indicazione di “almeno 1 Spdc ogni 300.000 abitanti” sia stata prevista per rafforzare la rete dei servizi ospedalieri pubblici di psichiatria, ad esempio nelle aree interne o montane, e non per ridimensionarne il numero.

In tutti i casi, prima di prendere in considerazione ipotesi di ridimensionamento dell’offerta pubblica a favore di quella privata, occorrerebbe rendere omogenee le condizioni nelle quali i due sistemi operano o, in alternativa, qualificarne / quantificarne le differenze verificandone la rispondenza al fabbisogno stimato in sede di programmazione.

STANDARD STRUTTURALI: CSM
Le attività territoriali per la salute mentale, ovvero quelle afferenti ai Centri di Salute Mentale (Csm) vengono definite individuando la presenza di almeno 1 Csm per unità territoriale di non più di 80-100.000 abitanti (corrispondente al bacino d’utenza di due Case di Comunità), con apertura per almeno 12 ore al giorno, 6 giorni alla settimana. In particolari contesti territoriali è possibile prevedere 1 Csm per 40-50.000 abitanti (bacino d’utenza di una sola Casa di Comunità). Secondo l’ultima rilevazione del Ministero della Salute relativa al 2021 le strutture territoriali attive sul territorio nazionale sono 1.112, ossia 2,2 per 100.000 abitanti adulti. Pur non essendo le stesse corrispondenti a Csm, ma talvolta a Centri Diurni o ambulatori decentrati per facilitare l’accesso alle persone che vivono in aree interne o montane, è possibile assumere che il primo standard (Csm x pop. residente) sia rispettato. I dati pubblicati dal Ministero non consentono invece di verificare il criterio dell’apertura H-12, 6 giorni su 7.

PERSONALE: L’AREA OSPEDALIERA
Una prima significativa indicazione relativa agli standard di personale per le attività per la Salute Mentale è contenuta nel paragrafo relativo alla definizione dei “valori massimi del personale medico per le attività di degenza”: esso prevede per ciascun Spdc la presenza di almeno 5 medici psichiatri Tpe.

Applicando questa indicazione agli attuali 329 Spdc si ottiene un numero di medici psichiatri pari a 1.645, che – anche se non incardinato direttamente nell’Uo Spdc, perché ad esempio le modalità organizzative del Dipartimento di Salute Mentale prevedono una rotazione di tutto il personale medico presso il Spdc – costituisce il fabbisogno minimo di personale medico necessario per le attività di diagnosi e cura ospedaliere.
Vengono inoltre forniti i parametri per la definizione del numero di infermieri e operatori sociosanitari necessari per le attività di degenza in aree omogenee, tra cui la Salute Mentale.

Su queste basi è stato possibile effettuare la stima del personale necessario, tenendo conto dei 329 Spdc con 4.039 posti letto attualmente censiti sul territorio nazionale (mantenendo quindi immutata la quota di p.letto acquistata dal privato accreditato). La somma dei p.letto considerata è stata 12,3 (corrispondente al numero medio di p.letto per Spdc); le giornate equivalenti – prevedendo un tasso di occupazione al 90% – risultano quindi 4.040. Per il calcolo dei minuti di assistenza è stato utilizzato il valore mediano di Hub , sia per il personale infermieristico che per gli operatori sociosanitari (rispettivamente: 290 e 95). La conversione in ore e in personale Tpe fornisce i seguenti risultati: infermieri = 13,46; Oss = 4,41 per un totale di 17,87. In sostanza, in un Spdc medio italiano il valore di riferimento per le professioni sanitarie è pari a 18. Applicando questo valore di riferimento agli attuali 329 Spdc si ottiene un numero di infermieri e Oss pari a 5.922 cui vanno aggiunti i coordinatori nella misura di 0,50 per Spdc, cioè 164, per un totale di 6.086 operatori.

Nell’ipotesi di una ottimizzazione della distribuzione dei p.letto attuali in reparti Spdc con 16 p.letto è stata condotta un’analisi di sensibilità assumendo questo valore come somma dei p.letto; le giornate equivalenti – prevedendo un tasso di occupazione al 90% – risultano in questo caso 5.256. Per il calcolo dei minuti di assistenza sono stati utilizzati i medesimi valori mediani di Hub sopra riportati. La conversione in ore e in personale Tpe fornisce i seguenti risultati: infermieri = 17,5; Oss = 5,7 per un totale di 23, cui va aggiunto 1 coordinatore. Applicando questo valore di riferimento (24) ai teorici 252 Spdc derivanti dall’ottimizzazione degli attuali 4.039 p.letto in reparti da 16 p.letto, si ottiene un numero di infermieri e OSS pari a 6.048, ossia un numero inferiore di sole 38 unità Tpe.

È opportuno ricordare che a oggi gli oltre 6.000 operatori necessari al funzionamento del segmento ospedaliero dei Dipartimenti di Salute Mentale costituiscono quota parte del personale complessivo incardinato nei Dsm. È pertanto inesatto considerare questo personale interamente dedicato alle attività territoriali.

PERSONALE: L’AREA TERRITORIALE
Procediamo ora al calcolo delle risorse umane per le attività territoriali del Dsm, facendo riferimento agli standard indicati nel documento tecnico dell’Intesa, che così recita:

“La dotazione organica per la operatività minima ai fini della assistenza dei livelli 1 e 2, così come definita nel Dpr 1/11/99, è pari ad almeno un operatore ogni 1.500 abitanti ¬≥ 18 anni, ossia 67 unità TPE per 100.000 abitanti ¬≥ 18 anni, articolato come segue:
medico psichiatra: 1 per 10.000 abitanti ¬≥ 18 anni;
psicologo psicoterapeuta: 0,5 per 10.000 abitanti ¬≥ 18 anni;
professioni sanitarie (infermieri, educatori professionale, tecnici della riabilitazione psichiatrica) e assistenti sociali: 5 per 10.000 abitanti ¬≥ 18 anni;
altro personale (incluso personale amministrativo): 0.2 per 10.000 abitanti ¬≥ 18 anni.
In ogni caso la somma degli standard deve corrispondere a non meno di 6,7 operatori/10.000 abitanti e non comprende le risorse umane necessarie per i livelli 3 e 4”.

Per disporre di un confronto con la situazione attuale del personale incardinato nei Dipartimenti di Salute Mentale, ricavata dal Conto Annuale – Tabella 1D al 31/12/2020 e riportata nel più recente Rapporto Salute Mentale del Ministero Salute, è stata considerata la popolazione al 1.1.21 di età > 18 a., pari a 49.885.100 abitanti.

Applicando lo standard di 6,7 operatori per 10.000 si ottiene un organico su base nazionale corrispondente a 33.423 operatori.

I dati forniti dal Ministero Salute segnalano che la “dotazione complessiva del personale all’interno delle unità operative psichiatriche pubbliche, nel 2021, risulta pari a 29.785 unità, di cui 5.321 medici, 2.058 psicologi, 20.038 operatori delle professioni sanitarie, 833 tra sociologi e amministrativi e 1.535 unità di personale del quale non è nota la qualifica”. Questi numeri andrebbero peraltro sottoposti ad attenta verifica nei singoli contesti aziendali, sia per accertarsi della reale attribuzione del personale alle attività dei Dipartimenti di Salute Mentale, sia per chiarire la qualifica della rilevante quota di personale classificata “altro”. Un’indagine dell’Iss su un campione di 37 Dsm condotta in un periodo di rilevazione sovrapponibile, ha fornito, in effetti, risultati significativamente inferiori.

Anche senza considerare il personale impegnato nelle attività ospedaliere, che come abbiamo visto raggiunge la ragguardevole quota di 6.086 unità TPE, rispetto allo standard per le attività territoriali mancano all’appello 3.638 operatori.

Infine, l’Intesa definisce gli standard di personale per garantire l’assistenza psichiatrica nei presidi penitenziari: per ogni 350 detenuti è prevista l’attività di 1 medico psichiatra, 1 psicologo, 1 professionista sanitario. Al 31.12.21, i detenuti maggiorenni incarcerati in Italia erano 54.134, distribuiti in 192 istituti. Considerando una presenza media di 282 detenuti per istituto ed applicando quindi lo standard all’80% per i 192 istituti del Paese, si ottiene un fabbisogno per questa specifica funzione pari a 153 medici, 153 psicologi e 153 professionisti sanitari.

PERSONALE: LE DOTAZIONI ORGANICHE A REGIME
Sulla scorta di quanto sinora descritto, è possibile stimare la differenza tra le dotazioni organiche attuali e quelle previste a regime per garantire, come recita il testo dell’Intesa, “unitarietà degli interventi, integrazione dei servizi e continuità terapeutica”.
Nella tabella allegata vengono riportate per qualifica le unità di personale in servizio al 1.1.21, quelle calcolate sulla base degli standard per le attività territoriali, quelle per le attività ospedaliere degli Spdc e infine quelle per l’assistenza psichiatrica nelle carceri.

A regime, il sistema di cura per la salute mentale in Italia dovrà contare su 41.448 operatori ossia di 83 unità Tpe per 100.000 abitanti.
Rispetto alla situazione attuale e ipotizzando una appropriata collocazione per le 1.535 persone delle quali non è nota la qualifica, mancano 13.198 operatori: circa 11.000 delle professioni sanitarie, 1.465 medici, 589 psicologi.
I risultati di questa simulazione non stupiscono. Una nostra precedente analisi, condotta calcolando i tempi necessari a soddisfare le necessità assistenziali degli utenti “reali” in contatto con i Dsm, aveva già documentato che i Dsm erano in grado di rispondere correttamente solo al 55,6% del fabbisogno.

PERSONALE: LA SPESA
L’adozione di questo atto, unanimemente approvato da tutte le Regioni, segnala la diffusa consapevolezza che per mantenere e adeguare la capacità operativa del sistema di cura per la Salute Mentale è certo necessario un investimento strutturale ed organizzativo, come quello imponente previsto dal Pnrr, ma che senza l’apporto della “tecnologia umana”, ossia operatori in numero sufficiente, non si risolveranno gli annosi problemi che affliggono la sanità pubblica italiana. Si tratta di una questione ampiamente dibattuta: il Pnrr infatti finanzia opere strutturali e non il costo del personale necessario per garantirne il funzionamento.

La spesa aggiuntiva che graverebbe sui bilanci della Salute Mentale può essere stimata utilizzando i costi unitari medi annui desumibili dal Conto Annuale 2019 (Mef). Si tratta di una spesa aggiuntiva pari a circa 785 mln.

Purtroppo, il più recente Rapporto del Ministero Salute non riporta il dato di spesa per la Salute Mentale relativo al 2021. Nel 2020 questo era di 3.386.704.000, pari al 3% del Fsn, con ampie differenze inter-regionali, come si evidenzia dall’analisi SIEP.
Ipotizzando la stabilità del dato di spesa 2020, ne deriverebbe una spesa complessiva pari a 4.171.704.000, corrispondente al 3,6% del Fsn , ben al di sotto del 10% considerato adeguato per i Paesi a Alto Reddito tra i quali l’Italia si colloca (ma anche del 5%, che è il livello suggerito per i Paesi a Basso/Medio Reddito).

La soglia del 3.6% del Fsn appare dunque essere quella minima sufficiente, sul piano nazionale, per garantire il rispetto degli standard di personale indicati nell’Intesa, lasciando ancorate alla spesa storica le altre voci in bilancio. Nelle singole Regioni la situazione è in linea di massima riconducibile a 4 condizioni (relativamente a spesa e standard di personale), che richiedono scelte gestionali differenti (si veda pdf allegato).

Le condizioni di maggiore interesse sono quelle (quadrante 2 della figura nell’allegato) delle Regioni o PP.AA. che pur destinando alla SM una quota >3.6% del Fsr non raggiungono gli standard di personale (es.: Sicilia e Sardegna) e quelle (quadrante 4) delle Regioni o PP.AA. che dedicano alla Sm una quota insufficiente del Fsr, che si riflette sulla carenza di personale (es.: Campania e Basilicata). Nel primo caso sarà opportuna una revisione della spesa interna alla Sm, individuando quali voci di bilancio incidano in modo tale da non consentire un adeguamento delle dotazioni di personale. L’acquisto di servizi residenziali e semiresidenziali dal privato sociale e imprenditoriale costituisce in molti contesti la voce di spesa più elevata e sul piano nazionale assorbe oltre il 50% della spesa totale.

Nel secondo caso la revisione della spesa dovrà riguardare l’intero bilancio sanitario, alla ricerca delle motivazioni che hanno storicamente relegato la SM a condizioni di inagibilità operativa.

CONCLUSIONI
L’aspetto più vantaggioso del rendere espliciti i parametri per valutare lo “stato di salute” della Salute Mentale alla luce di standard organizzativi, strutturali e di personale definiti, risiede nel fatto di essere questi strumenti essenziali per consentire a ciascuno di verificare l’effettiva erogabilità/esigibilità del diritto alla cura. Il rapporto fiduciario tra servizi/operatori e cittadini/utenti, drammaticamente incrinato, nei primi, dal progressivo venir meno delle condizioni per un sereno esercizio delle competenze professionali; nei secondi, della reale possibilità di trovare risposte adeguate alla complessità dei bisogni, potrà rinsaldarsi – a nostro avviso – solo garantendo un pieno diritto alla conoscenza delle cose, la reale possibilità di comprendere, di confrontarsi e in definitiva di scegliere, a partire da concreti dati di fatto. Sarà possibile, ad esempio, uscire dalla retorica di un sistema di cura totipotente e individuare un numero definito di azioni prioritarie compatibili con i livelli di risorse necessarie a perseguirli. O, all’inverso, chiedersi cosa ci si possa realisticamente permettere con i livelli di risorse disponibili.

L’analisi che abbiamo qui proposto è certamente meno attraente della narrazione, da tempo in voga, di “buone pratiche” (che rischiano di porsi come gratificanti eccezioni ad una regola poco edificante), ma può divenire strumento di costruttivo confronto tra cittadini che reclamano accesso ad interventi di qualità, operatori che chiedono di poter esercitare al meglio le proprie competenze professionali, vertici aziendali stretti tra obiettivi di eccellenza e mezzi insufficienti, decisori politici chiamati ad assumere le scelte più opportune a garanzia dell’interesse comune.

fonte: sanità24-ilsole24ore

Fabrizio Starace Presidente Società Italiana di Epidemiologia Psichiatrica (Siep)
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