In ambito scientifico, per le donne è ancora più difficile, rispetto che per i colleghi maschi, firmare gli articoli (soprattutto come prime autrici) e superare il processo di peer review; ancora, le citazioni risultano inferiori per le donne. E i fattori alla base sembrano essere culturali e difficili da eradicare.
Il discorso sulla parità di genere negli ambienti di lavoro è diventato sempre più centrale nel dibattito pubblico e politico, e l’accademia, così come la ricerca scientifica, non è rimasta immune, né per quanto riguarda l’effettiva attuazione di una maggiore parità di genere (ma più in generale il concetto può essere esteso a discriminazioni come quelle etniche, religiose o nei confronti delle disabilità), né nel campo di studi scientifici correlati alle statistiche e agli aspetti socio-economici di questa disparità.
Nonostante l’interesse per la materia stia crescendo di anno in anno, ci sono ancora pochi dati effettivi su a quanto ammonti effettivamente il gap di genere e ancora meno risultano esplorati più approfonditamente i problemi dietro questo divario e le possibili soluzioni.
Per quanto riguarda le materie STEM e in generale la ricerca scientifica nei campi delle scienze matematiche, fisiche e naturali, la comunità internazionale si sta impegnando negli ultimi anni in una campagna massiccia di sensibilizzazione sull’argomento, con l’istituzione della giornata internazionale delle ragazze e delle donne nella scienza, promuovendo progetti dedicati a colmare il divario di genere fin dalle scuole e cercando di analizzare statisticamente il numero di donne che si dedicano alla ricerca.
Un esempio significativo è rappresentato dal report della Royal Society of Chemistry (RSC) Is publishing in the chemical sciences gender biased? pubblicato nel 2020, che ha seguito Diversity Landscape of the Chemical Science e Breaking the Barriers, in cui si era dapprima appurata la scarsità di donne fra le pubblicazioni afferenti alla RSC e si tentava di esaminarne le cause.
Il report del 2020 invece si concentra sulla peer review e sul genere di ogni autore pubblicato fra il 2020 e il 2018 sulle riviste della RSC, da cui emerge che ogni step dell’interim di pubblicazione è affetto da bias.
Il report della Royal Society of Chemistry
Nel report del 2018 Diversity landscape of the chemical science si evidenziava come fosse per le donne più difficile progredire nella scala gerarchica della ricerca e come ancora poche donne fossero presenti nelle posizioni di maggior responsabilità in strutture di ricerca e accademiche, anche se il numero di donne menzionate fra gli autori dei vari paper pubblicati era solo leggermente inferiore. Successivamente, nel report Breaking the Barriers si attribuiva questa difficoltà per le donne nell’arrivare in posizioni più elevate nella gerarchia accademica a una cultura ancora fondamentalmente poco inclusiva e alla maggiore difficoltà nel conciliare lavoro e vita familiare in particolare riguardo la cura dei figli.
Secondo il report, le donne che risultano come autrici di articoli scientifici pubblicati sono significativamente di meno rispetto agli uomini, in particolare se si va a guardare il numero di prime autrici, che sono solo il 36,9% – dato che indica come le donne che avanzano verso posizioni senior siano molte di meno rispetto agli uomini e rispetto al numero complessivo di donne scienziate. Inoltre le donne vengono chiamate dagli editori per essere revisori in numero molto minore rispetto ai colleghi uomini, risultando essere il 24,5%.
Quando si compara il numero di autrici donne che sottomettono il loro articolo al processo di revisione con il numero complessivo di donne nella comunità scientifica, si vede che in generale le donne hanno meno probabilità di sottoporre un proprio articolo a riviste con un impact factor molto alto e che soltanto il 19,6% di articoli pubblicati con un unico autore vede un’autrice come firma. Inoltre risulta più probabile che una donna pubblichi in un gruppo composto da altre donne e in ogni caso in gruppi di cinque e meno autori la presenza di donne fra loro è minore.
Per quanto riguarda la revisione, dal report risulta che autrici donne hanno una probabilità di veder rigettato il loro articolo maggiore rispetto agli uomini, o che comunque devono passare da un numero maggiore di revisioni prima di essere pubblicate. In ogni caso la probabilità di vedere il proprio articolo accettato aumenta quando la revisione è effettuata da altre donne.
Infine i dati indicano che, una volta pubblicati, gli articoli che hanno fra gli autori principali delle donne, vengono citati significativamente di meno rispetto agli articoli i cui autori sono uomini, contribuendo quindi alla difficoltà per le donne di poter accedere a posizioni senior nella ricerca.
Le donne nella quarta rivoluzione industriale e l’imbuto verso posizioni senior
Un ulteriore report, stilato dall’UNESCO, affronta la questione della disparità di genere attraverso o una lente maggiormente utilitaristica, concentrandosi sul contributo in termini economici delle donne in quella che possiamo chiamare Quarta Rivoluzione Industriale. Dei bambini che in questo momento entrano nelle scuole, il 60% di loro farà un lavoro che attualmente non esiste ancora. In questo scenario puntare su una maggiore inclusività e parità è fondamentale per poter rimanere al passo dei tempi e garantire il progresso tecnologico. Uno studio del 2018 del PISA (Program for International Student Assessment), citato nel report, rivela che è ancora presente un gap di genere quando si parla di aspettative di carriera fra ragazzi e ragazze, con un numero molto maggiore di ragazzi che si dirige verso discipline scientifiche e STEM rispetto alle ragazze, con addirittura meno del 2% di ragazze intenzionate a intraprendere una carriera in ingegneria o in scienze informatiche.
Tuttavia, tutte le evidenze concordano nel considerare auspicabile una maggior partecipazione femminile alla scienza, tanto che uno studio del 2017 citato nel report afferma che la diminuzione del gap di genere nelle discipline STEM ha provocato un aumento del benessere economico nell’Unione Europea.
Se si prende in considerazione la pandemia di Covid-19, infatti, si vede come il contributo femminile nei vari campi della medicina, della biologia e in generale della scienza legata al virus, siano stati fondamentali, nonostante siano state più spesso le donne a risentire del carico di lavoro familiare, in particolare relativo alla cura dei figli, con un gran numero di loro che ha dovuto ridurre le proprie ore di lavoro o anche lasciare il proprio lavoro durante e dopo la pandemia.
Questi dati sottolineano come la diminuzione del gap di genere sia ancora legata soprattutto a fattori culturali non sempre facili da eradicare.
Da questo punto di vista uno studio interessante e che apparentemente sembra andare in una direzione diversa è quello pubblicato su Science Advances da ricercatori di Milano. Analizzando 145 riviste scientifiche appartenenti a diversi campi di studio non hanno trovato una significativa differenza fra numero di articoli passati al vaglio della revisione scritti da donne o da uomini, anzi, nella loro ricerca hanno trovato una leggera probabilità maggiore di essere accettati per gli articoli scritti da donne rispetto a quelli scritti da uomini. In particolare questo era evidente negli ambiti relativi alla biomedicina, alle scienze della salute e alle scienze sociali, mentre era meno significativo nelle materie STEM.
Tuttavia il numero di articoli scritti da donne presentati in totale era comunque significativamente inferiore rispetto al numero di articoli scritti da uomini.
Gli autori e le autrici concludono quindi che nonostante le percentuali da loro trovate rispetto alla positività della revisione, persiste un gap di genere nelle pubblicazioni scientifiche e ipotizzano che questo sia dovuto a bias ancora presenti in ambito accademico, soprattutto quando si arriva nelle posizioni senior in cui si trova una presenza di donne molto minore rispetto agli uomini.
Draw a scientist: la rappresentazione delle scienziate nei media
Se il problema del gender gap ha radici nella rappresentazione di genere ancora pesantemente influenzata da bias di stampo patriarcale, il lavoro per poter portare alla diminuzione e possibilmente all’azzeramento di questo dislivello non può che iniziare nelle scuole.
Molti studi hanno affrontato la rappresentazione che le donne scienziate hanno avuto nei media e nella società, in particolare con il cosiddetto test draw a scientist: se nei decenni passati l’immaginario dello scienziato era quello di un uomo bianco di mezza età, impegnato in laboratorio con provette e ampolle, oggi le cose sono molto cambiate e sempre più iniziative dedicate alle donne nella scienza hanno portato a una rappresentazione molto diversa: se negli anni 60-70 solo l’1% delle bambine disegnava una donna scienziata, oggi questa percentuale è salita al 58%; tuttavia, man mano che bambini e bambine crescono, i numeri delle ragazze che disegnano scienziate donne diminuisce drasticamente.
Tuttavia, nei media siamo ancora lontani da una rappresentazione realistica delle donne scienziate e per quanto riguarda i numeri, queste risultano essere ancora meno rappresentate rispetto ai loro colleghi uomini.
Una maggiore e più accurata rappresentazione di donne, ma anche di diverse tipologie etniche, religiose e di genere, nei media, è fondamentale nell’avvicinare ragazze e ragazzi alla scienza e a immaginare se stessi in una carriera nella scienza e può essere importante anche nell’eliminare l’imbuto che si crea nell’accesso a posizioni senior.
Per questo motivo le iniziative volte alla rappresentazione delle donne scienziate e al coinvolgimento di bambine e ragazze nell’immaginare una carriera nella scienza sono sempre di più. Il mese di febbraio è tradizionalmente dedicato a questo scopo con l’International Women Day e la Global Women Breakfast promossa dalla IUPAC (International Union of Pure and Applied Chemistry), iniziative che cercano di portare nelle scuole e nei luoghi della cittadinanza, una rappresentazione veritiera delle donne che lavorano nella scienza.
fonte: Scienza in Rete
Crediti immagine: Diane Serik/Unsplash
l’Autrice: Chiara D’Errico
Laureata in chimica alla Sapienza, si occupa prevalentemente di divulgazione scientifica sul web, con una predisposizione nell’unire cultura scientifica e cultura umanistica, senza disdegnare un bel po’ di cultura pop. Ha frequentato il Master in comunicazione della scienza alla SISSA di Trieste.