Nel “nostro” mondo, quello che ruota attorno a QS, non c’è certo bisogno di spiegare perché il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) per essere salvato e rilanciato abbia bisogno di partire da un aumento del suo finanziamento pubblico e da una rimozione/modifica del tetto di spesa del personale (molti sono per una sua rimozione e io più per un suo innalzamento “controllato”). Merita a mio parere invece un approfondimento il peso che esercita la politica sui costi del SSN e sull’utilizzo appropriato del suo personale.
Quello degli sprechi e inefficienze del SSN è un tema che la Fondazione GIMBE affronta da anni in modo organico e ne parla in diversi passaggi anche nel suo ultimo V Rapporto sul Servizio Sanitario Nazionale dell’ottobre 2022 in cui li elenca così: sovra-utilizzo di prestazioni sanitarie inefficaci, inappropriate o dal basso value, sottoutilizzo di prestazioni sanitarie efficaci, appropriate o dal value elevato, frodi e abusi, acquisti a costi eccessivi, complessità amministrative, inadeguato coordinamento. Sempre secondo la Fondazione GIMBE queste sei categorie – in base alle stime riportate nel suo documento per festeggiare i primi 40 anni del SSN – si traducono in circa € 21 miliardi (± 20% della spesa sanitaria pubblica) spesi senza alcun miglioramento in termini di salute. Al di là della attendibilità di questa cifra, è interessante notare che la tassonomia degli sprechi elaborata da Antonino Cartabellotta di GIMBE nel 2015 sulla falsariga di quella elaborata nel 2012 da Donald M. Berwick per la sanità degli USA include soprattutto quelli di origine organizzativa e professionale. Probabilmente perché il modello di riferimento utilizzato da GIMBE nasce in un contesto, quello della sanità USA, molto diverso da quello italiano in termini di peso diretto esercitato dalla politica nelle scelte programmatorie e organizzative.
Marco Geddes da Filicaia nel suo “La salute sostenibile” (Il Pensiero Scientifico Editore, 2018) uscito per il 40esimo compleanno del SSN riprende, commenta e in qualche modo integra l’analisi della Fondazione GIMBE sottolineando tra l’altro l’importanza che l’approccio al controllo e alla riduzione degli sprechi sia “incentivato da normative, che non applicano indistintamente tagli lineari ai servizi e promuovono innovative modalità di gestione” e sia supportato ad esempio da un piano di investimenti nei servizi territoriali. Anche se in entrambi gli approcci, quello di GIMBE e quello di Geddes da Filicaia, prevedono un ruolo della politica nel determinare possibili sprechi, in particolare nel sostegno interessato alla componente ospedaliera dell’offerta di servizi e nel contestuale disinvestimento sulla assistenza territoriale, questo ruolo rimane in qualche modo sullo sfondo.
Nel commentare l’approccio GIMBE alcuni rappresentanti dell’ANAAO alcuni anni fa hanno sollevato qui su QS in modo articolato diversi dubbi sull’approccio GIMBE alla quantificazione degli sprechi concludendo così la loro analisi: “Parlare di sprechi senza fornire cifre attendibili è politicamente pericoloso perché rischia di spalancare le porte a chi vuole definanziare il SSN.
In particolare invocare ulteriori efficientamenti sulla base di confronti con sistemi sanitari completamente differenti è metodologicamente non corretto.” E concludono che anche per l’economia sanitaria dovrebbero valere le parole usate dagli statistici: “in God we trust; all others must bring evidence” (peraltro, non per fare il pignolo, nella formulazione originale al posto di evidence, c’è data come si può leggere anche qui, e la differenza non è da poco).
Premesso che la attenzione agli sprechi e alle inefficienze non deve distogliere l’attenzione dalla urgenza di aumentare in modo consistente il finanziamento pubblico del SSN e chiarito che il miglioramento sia della appropriatezza dei processi clinici ed organizzativi che della qualità dei processi gestionali è decisivo nel contrasto agli sprechi e alle inefficienze in coerenza con il modello Berwick, rimane da (ri)lanciare il tema del ruolo diretto della politica che governa le sanità regionali nel determinare sprechi e inefficienze. Perché ovviamente questi non si dissolveranno se il finanziamento del SSN come doveroso aumenterà a sua volta e se verranno rimossi tout court alcuni vincoli economici come quello relativo al tetto di spesa del personale.
La politica che governa le sanità regionali influisce sia direttamente che indirettamente sull’impiego appropriato del Fondo Sanitario. In attesa che qualcuno riesca a fare di questo tema una elaborazione strutturata a tipo Berwick, suggerisco qui solo alcuni esempi. La politica è innanzitutto direttamente responsabile degli sprechi e delle inefficienze legate al mantenimento di una rete ospedaliera dispersa e non in rete. Mi viene facile ancora una volta l’esempio della Regione Marche, vera cornucopia quando si tratta di illustrare cosa è in grado di fare la cattiva politica al buon governo della sanità, una Regione che prevede per un milione e mezzo di abitanti tra i 12 e 13 ospedali con un DEA di primo livello oltre a uno con DEA di secondo livello e 6 emodinamiche. Una Regione che mantiene 4 Centrali Operative 118 con quattro modelli organizzativi diversi di sistemi di emergenza territoriale. La politica è inoltre direttamente responsabile del sottoutilizzo delle tecnologie ad alto costo o della arretratezza dei processi di digitalizzazione quando come nella Regione Marche le competenze dedicate a livello centrale e aziendale sono scarsissime.
In una Regione come le Marche governata così che garanzie ci sono di un utilizzo appropriato delle ulteriori risorse economiche e umane? Non è un caso che la Regione Marche stia mal impiegando i fondi del PNRR utilizzati ad esempio per sostenere quella rete ospedaliera dispersa (e ovviamente incoerente col DM 70) che prima ho sinteticamente descritto e per costruire strutture territoriali in una sanità territoriale priva di risorse e di innovazioni organizzative. Peraltro alla recentissima valutazione fatta con gli indicatori del Nuovo Sistema di Garanzia commentata qui su QS le Marche sono risultate tra le Regioni migliori nel 2020, al sesto posto per l’area della prevenzione e quella ospedaliera e al quinto per quella distrettuale, con un punteggio addirittura altissimo per quest’ultima (91,68). Credo che sulla validità delle indicazioni che emergono dal NSG ci sia da ragionare alla svelta in tempi di forte spinta alla autonomia regionale differenziata.
Il messaggio finale è duplice ed integrato: il SSN ha bisogno di riconoscere e controllare inefficienze e sprechi della politica e non è al momento con gli strumenti di cui dispone in grado di farlo.
fonte: Quotidiano Sanità