Salvare i bambini non è un affare. di Dagmar Rinnenburger

Negli USA c’è carenza di posti in terapia intensiva pediatrica. Come può succedere in un paese così avanzato in cure e tecnologie? La risposta è nel minore guadagno. Curare i bambini non è un affare e i grandi ospedali investono in altri settori.

Non fa scandalo se malati, e bambini in particolare, rimangono senza cure appropriate nella maggior parte del mondo: purtroppo siamo abituati a scenari di questo genere. Faceva scandalo quando si scopriva che, a casa nostra, la ricca Lombardia non aveva abbastanza capienza ospedaliera per far fronte alla pandemia Covid all’inizio del 2020 e che i rianimatori dovevano scegliere tra le persone da avviare alle terapie intensive. I difensori dei diritti proclamavano ad alta voce che sempre tutti devono avere tutte le cure necessarie. Ma con molto stupore e una triste commozione ho visto un video pubblicato il 6 gennaio 2023 dal New York Times (1) con il titolo: ”Salvare i bambini non è un affare”. È una denuncia forte. Non solo il NYT se n’è occupato: c’è un lungo articolo anche nel Washington Post. Il giornalista del breve film racconta i suoi tre giorni in terapia intensiva pediatrica, l’arrivo dell’elicottero con un bambino critico e la fretta di tutti di metterlo in sicurezza.  Intervista infermieri esausti, genitori disperati che devono affrontare il fatto che il proprio figlio possa morire, mostra un bambino piccolo che reagisce poco in ventilazione meccanica non invasiva, coglie la preoccupazione di tutti che potrebbe non farcela.

È un documentario emozionante, che riesce a scuotere. In questi giorni c’è un afflusso maggiore di bambini nei Pronto Soccorso e nelle terapie intensive pediatriche negli Stati Uniti  e in Europa, proprio per la concomitanza di infezioni da influenza, RSV (virus respiratorio sinciziale) e Covid, la tridemia. Un bisogno maggiore che si scontra con una riduzione di posti letto di terapie intensive pediatriche negli USA.  Si è costretti a trasferire i piccoli pazienti in altri stati, lontano da casa.  Perché?, ci  si chiede; come può succedere in  un paese come gli USA, il più avanzato per tante cure e tecnologie? Una delle risposte è quella del guadagno minore. I bambini hanno bisogno di cure meno complesse, perciò il ricovero viene rimunerato di meno; in più la maggior parte viene rimborsato tramite il “Medicaid”, che paga troppo poco: ecco perché non è un affare e i grandi ospedali investono in altri settori. Il problema non riguarda solo le infezioni virali respiratorie, ma tante altre condizioni cliniche come il politrauma.

I letti in terapia intensiva pediatrica hanno avuto una riduzione del 20% dal 2018 negli Stati Uniti; terapie intensive pediatriche sono state chiuse. Una parte della riduzione era dovuta alla trasformazione dei letti di terapia intensiva per bambini in letti per adulti durante la pandemia di Covid e tali sono rimasti. Durante gli anni della pandemia in America 230.000 operatori sanitari si sono dimessi; negli anni precedenti un 10 % da quando c’è la pandemia il 20% (2), un trend che vediamo anche in Europa. Quando i letti di terapia intensiva sono pochi, i malati tanti e gli operatori pochi, inizia un circolo vizioso. Gli operatori sanitari assistono i piccoli pazienti, ma anche il nucleo familiare è estremamente sofferente. Le poche infermiere sono esauste, i turni incerti, impossibile prevedere pasti regolari e sani, il sonno disturbato. La vita privata familiare ne soffre. In più la sofferenza psicologica, la pressione morale e alla fine il burnout che porta a lasciare la professione.

La situazione in Italia, che ancora non ha portato a titoli cubitali nei giornali come i malati per terra nei Pronto Soccorso della capitale, non è tanto meglio. Le terapie intensive neonatali in Italia sono 116. Le terapie intensive pediatriche solo 23. “ I letti di terapia intensiva pediatrica in Italia sono circa 202 con una media di 3 posti letto per 1 milione di abitanti, ben al di sotto della media europea pari a 8. Questa differenza diventa ancora più evidente se valutiamo ciascuna regione: qui si va dai 2 letti ogni milione di abitanti della Puglia ai 10,6 della Liguria, passando per alcune regioni che non hanno alcun posto letto di terapia intensiva pediatrica (Valle d’Aosta, Trentino Alto Adige, Umbria, Abruzzo, Sardegna Molise, Basilicata)” (3): così  Rinaldo Zanini, pediatra, già direttore del dipartimento Materno infantile dell’Azienda ospedaliera di Lecco, in un comunicato della SIP del congresso del 2020.

Durante il Covid abbiamo assistito a commenti cinici del tipo: ne muoiono solo i vecchi che comunque sarebbero morti, oppure all’estenuante discussione se morti di o con Covid. Dimenticando che forse senza sarebbero probabilmente ancora vivi. Ma se i morti non assistiti sono bambini, i più piccoli? Manca la preparedness: e sembra di ripetere quello che è successo tre anni fa. Non si può andare avanti sempre nella modalità dell’emergenza. Le terapie intensive non possono ”rendere”, ma fanno parte di un sano robusto  sistema sanitario pubblico.

Vale la pena ricordare che in questi giorni ci troviamo in mezzo a un’ondata di tre virus respiratori importanti: sempre il Covid 19, l’influenza come tutti gli anni e il RSV  (virus respiratorio sinciziale). In inglese chiamano questa situazione la “Tridemic”. Più del 90% dei bambini incontrano il virus sinciziale nei primi due anni di vita nei tempi “normali”, non pandemici. IL RSV è un’infezione che porta a una bronchiolite molto temuta e di difficile cura.  Se l’infezione è grave e il piccolo paziente è in difficoltà respiratoria ci vuole un ricovero in terapia intensiva o in un posto che può affrontare l’insufficienza respiratoria in modo appropriato, con la ventilazione meccanica non invasiva oppure in stadi avanzati con l’intubazione. Ci siamo abituati a vedere pazienti adulti con il cosiddetto casco per superare la crisi respiratoria, oppure con la maschera da ventilazione non invasiva o con un apparecchio che è stato particolarmente utile nella pandemia: quello dell’ossigeno ad alto flusso. Lo stesso può essere necessario per i bambini. Il RSV può colpire anche persone anziane e fragili. Sembrano crisi asmatiche, ma non rispondono alle cure con cortisone e broncodilatatori come l’asma. Chi ne è colpito si può trovare in gravi difficoltà respiratorie in poco tempo. Il RSV circola di più in questi mesi e il rischio di un aumentato fabbisogno di posti letto per uno dei tre virus della tridemia è alto, con un’incidenza di malattie tra gli operatori sanitari (4). Al momento non c’è un vaccino; è disponibile qualche cura monoclonale per i bambini a rischio.

Un lavoro del Lancet (5) del 2019 riporta circa 100.000 bambini morti all’anno per il RSV nel mondo (52 milioni i bambini morti tra 0-60 mesi, per tutte le cause); la maggior parte in paesi con basso reddito, dove le statistiche spesso sono difficili. Decisamente di più dei morti di Covid 19 (i dati Unicef fino a giugno 2022 dicono che dei 4 milioni di morti per Covid il 0.4% erano bambini e adolescenti sotto i 20 anni, cioè  17.200). L’influenza colpisce tra il 5-15% delle persone adulte e tra il 20 e il 30% dei bambini, ma tutt’ora è difficile avere cifre certe sulla mortalità in particolare nei bambini:  28.000-111.00 nel 2008 (6).l’OMS consiglia la vaccinazione contro influenza per i bambini sotti i 5 anni. Certo, guardando solo i numeri non si tratta di mortalità alte; tuttavia con le cure giuste nei paesi attrezzati sono bambini salvabili. Il bambino non è un piccolo adulto e ha bisogno di terapie intensive pediatriche, di infermieri e rianimatori specializzati nei piccolissimi. Il materiale deve essere quello giusto per ogni età. La mortalità del bambino che non incontra una realtà superspecializzata per l’insufficienza respiratoria aumenta ben quattro volte. Quest’anno sia influenza che il RSV sono arrivati prima che in altri anni. Si suppone che tanti bambini nati durante la pandemia non abbiano avuto il contatto con il virus per l’uso di mascherine e per il lockdown, mentre con l’apertura nel 2022 molti di più del solito  hanno avuto il primo contatto con il RSV.

Per concludere ricordiamo le parole del Direttore generale dell’OMS, Tedros Adhanom Ghebreyesus (7):

“Una delle lezioni più importanti della pandemia è che tutti i paesi devono rafforzare i propri sistemi sanitari pubblici per prepararsi, prevenire, rilevare e rispondere rapidamente a focolai, epidemie e pandemie. Un sistema di assistenza medica avanzato non è la stessa cosa di un forte sistema sanitario pubblico. Certo, questo virus non scomparirà. È qui per restare e tutti i paesi dovranno imparare a gestirlo insieme ad altre malattie respiratorie tra cui influenza e RSV, che ora stanno circolando intensamente in molti paesi”.

Dagmar Rinnenburger, pneumologa e allergologa.

 

Riferimenti bibliografici

1. https://www.nytimes.com/2023/01/04/opinion/covid-flu-rsv-children-hospitals.html?smid=nytcore-ios-share&referringSource=articleShare

2. https://www.pbs.org/newshour/health/hospital-finances-play-a-major-role-in-the-critical-shortage-of-pediatric-beds-for-rsv-patients

3. https://sip.it/2021/05/26/in-italia-poche-terapie-intensive-pediatriche-con-circa-202-posti/

4.https://www.ecdc.europa.eu/sites/default/files/documents/RRA-20221128-473.pd

5.https://www.thelancet.com/journals/lancet/article/PIIS0140-6736(22)00478-0/fulltext

6.https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/22078723/

  1. https://www.who.int/director-general/speeches/detail/who-director-general-s-opening-remarks-at-the-media-briefing—14-december-2022
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