In Cina cala la natalità e la vita si allunga: il paese dovrà presto fare i conti con l’invecchiamento rapido della popolazione. Aumenterà ancora il risparmio, già enorme, che compensa la mancanza di welfare. Quali saranno le conseguenze sulla crescita.
La transizione demografica in Cina
Secondo i dati pubblicati il 18 gennaio dall’Ufficio nazionale di statistica cinese, nel 2021 ci sono state 10,6 milioni di nascite nel paese, 1,4 milioni in meno rispetto all’anno precedente. Per cinque anni consecutivi la crescita della popolazione è rallentata e l’anno scorso il numero di decessi, pari a 10,1 milioni, si è avvicinato a quello delle nascite, suggerendo che la popolazione potrebbe presto iniziare a ridursi.
La transizione demografica in Cina potrebbe avere conseguenze rilevanti sulla traiettoria della crescita e di conseguenza anche sul ruolo del paese asiatico nell’ordine economico internazionale. Se l’economia cinese si allontana rapidamente dall’iniziale eccedenza di manodopera, è evidente la necessità di porre l’accento sulle condizioni per sostenere la crescita attraverso l’accumulazione del capitale e il progresso tecnico. Altrimenti, il paese potrebbe correre il rischio di restare nella cosiddetta trappola del reddito medio. D’altra parte, se le condizioni di eccedenza di manodopera persistono, una transizione industriale verso settori ad alta intensità di capitale e tecnologia (come programmato dal piano industriale Made in China 2026) e il trasferimento all’estero di industrie ad alta intensità di manodopera potrebbero ostacolare il processo di spostamento dei lavoratori dai settori tradizionali, solitamente dall’agricoltura, al settore manifatturiero, mettendo in pericolo la capacità di generare un tasso di disoccupazione accettabile.
In passato, la forte crescita economica della Cina si è associata a un forte calo della fecondità. Il tasso di fecondità totale (Tft, numero medio di figli per donna), che negli anni Cinquanta e Sessanta era superiore a 6 (tranne nel periodo dal 1959 al 1965), è rapidamente sceso a meno di 3 figli con l’attuazione della politica del figlio unico (in vigore dal 1982 al 2015), si è mantenuto tra 1 e 2 dopo il 1990 e nel 2020 era di 1,28 nascite per donna (figura 1). Il calo della fecondità ha ridotto l’indice di dipendenza totale in Cina (figura 2) e migliorato la qualità della manodopera. Infatti, come documentato dalla letteratura sulla transizione demografica e la crescita economica, nelle prime fasi dello sviluppo economico di un paese, i vantaggi di una fecondità più bassa si manifestano attraverso il meccanismo di trade-off tra quantità e qualità dei bambini (nella misura di un maggior investimento in istruzione possibile con un minor tasso di fecondità). Pertanto, oggi è naturale chiedersi quanto sia importante il cambiamento demografico in corso per la crescita futura della Cina.
Figura 1 – Tasso di fecondità in Cina – Confronto con Stati Uniti e Giappone
Figura 2 – Indice di dipendenza totale in Cina (1950-2010)
L’attuale basso tasso di fecondità, associato all’aumento della longevità, costringerà la Cina ad affrontare presto l’invecchiamento rapido della popolazione: l’indice di dipendenza degli anziani aumenterà di 5 volte, passando da circa il 10 per cento nel 2010 al 50 per cento nel 2100.
Figura 3 – Indice di dipendenza dei soli anziani (1950-2100)
Il calo della fecondità è dovuto a un insieme di fattori, compresi un gender gap al contrario (cioè il basso numero di donne in età fertile) e l’elevato costo dei figli lungo l’intero arco della vita (maternità, abitazioni, istruzione). Lo stesso allungamento della vita è una determinante, dal momento che i dati suggeriscono che il Tft diminuisce leggermente con l’allungamento della speranza di vita. I genitori sono incentivati ad aumentare il numero di figli che possono sostenerli nella vecchiaia (in Cina non si può fare affidamento su un sistema pensionistico), ma la maggiore necessità di risparmio per un più lungo periodo di vita dopo il ritiro dal lavoro distoglie risorse per l’istruzione dei figli. D’altra parte, la longevità rende più vantaggioso l’investimento in istruzione, poiché i lavoratori qualificati guadagnano di più di quelli non qualificati e possono risparmiare di più durante la loro vita lavorativa per finanziare la pensione. Poiché i genitori si preoccupano dei loro figli, sono più disposti a investire nell’istruzione in una società che invecchia. L’allungamento della vita porta ad accrescere il risparmio e rende più interessanti gli investimenti nell’istruzione, con effetti positivi sulla crescita. Pertanto, il livello di capitale umano nell’economia tende ad aumentare con l’innalzamento della longevità. Tuttavia, l’elevato e crescente costo dell’istruzione terziaria impegna una quota più alta di risparmio, e quindi disincentiva la quantità dei figli.
Le conseguenze dell’invecchiamento della popolazione
L’impatto dell’invecchiamento della popolazione sull’economia è almeno duplice. In primo luogo, la percentuale di popolazione in età lavorativa diminuirà, riducendo l’offerta di lavoro. Ciò aggraverà il problema della carenza di manodopera nelle province costiere della Cina, che si manifesta già da almeno due decenni, esacerbato dalla politica delle residenze volta a evitare sia lo spopolamento delle aree rurali, sia l’ulteriore congestione nelle zone urbane.
In secondo luogo, una maggior quota di anziani porterà a un aumento del risparmio, dal momento che non è previsto un sistema pensionistico pubblico universale. Il crescente costo della vita, delle abitazioni e della spesa sanitaria in età avanzata sarà un ulteriore motivo di risparmio, e un ostacolo a un aumento del consumo.
L’influenza complessiva dell’invecchiamento della popolazione dipende dall’entità relativa di ciascun effetto e non è necessariamente negativa per la crescita economica. Certo è che in Cina l’enorme mole di risparmio privato motivata dall’esigenza di compensare la mancanza di welfare potrebbe aumentare ulteriormente, deprimendo la crescita. L’assenza di uno stato sociale, snobbato da Pechino come deriva dei paesi democratici verso la decadenza e la pigrizia, potrebbe rivelarsi un vero e proprio boomerang.
fonte: la voce.info
Alessia Amighini – Professore associato di Politica economica presso l’Università del Piemonte Orientale e Associate Senior Research Fellow nel programma Asia dell’ISPI. E’ stata visiting scholar presso il Department of International Business and Economics dell’Universita’ di Greenwich ed economista presso la United Nations Conference on Trade and Development. Ha pubblicato numerosi articoli sull’economia cinese e sull’espansione delle imprese cinesi all’estero su riviste accademiche internazionali quali China Economic Review, China and the World Economy, International Economics, World Development, World Economy. Tra i libri: L’economia della Cina nel XXI secolo (con F. Lemoine), Il Mulino, 2021; L’économie de la Chine au XXIè siècle (con F. Lemoine), La Découverte (in corso di pubblicazione); China Dream: Still coming True?, ISPI, 2016; Xi Jinping’s policy gambles: The bumpy road ahead (con A. Berkofski), ISPI, 2015 e L’economia della Cina (con S. Chiarlone), Il Mulino, 2006.