Uno dei primi atti del Governo è stato quello di riformare l‘AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco). Una riforma che può minare l’efficacia e l’indipendenza della valutazione sui farmaci svolta dall’Agenzia, e quindi avere riflessi negativi sulla sicurezza dei pazienti e sulla spesa farmaceutica.
La riforma dell’AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco) non è una buona notizia perché rappresenta un passo indietro. Infatti, concentra tutto il potere nel Presidente che in questo modo deve orientare e controllare l’attività dell’AIFA di cui è fondamentalmente anche il decisore, non essendoci più un direttore generale. I due direttori, amministrativo e scientifico, riprodurranno lo schema secondo cui l’amministrativo detterà il cammino dell’AIFA anziché essere al servizio della parte scientifica. Anche l’auspicata unificazione del Comitato scientifico e del Comitato prezzi è insufficiente con solo dieci componenti. Il conflitto di interessi del Presidente non è il solo all’interno dell’AIFA, perché l’Agenzia deve dare un parere tecnico sui protocolli degli studi clinici controllati che, se si occupano di farmaci, ritorneranno poi all’AIFA per i provvedimenti esecutivi. Questi problemi si inquadrano purtroppo nei problemi dell’EMA (European Medicines Agency) a cui l’AIFA partecipa con un suo membro nel Comitato che decide l’approvazione o il rigetto dei nuovi farmaci. Tuttavia l’EMA deve agire secondo la legislazione europea che stabilisce le regole del gioco.
Un farmaco, secondo la legislazione, viene approvato sulla base di tre caratteristiche: “qualità, efficacia e sicurezza”, certamente caratteristiche necessarie ma non sufficienti perché non richiedono un confronto con i farmaci già esistenti. Infatti, purtroppo – in contrasto con l’etica – ancora molti studi vengono effettuati utilizzando come gruppo di controllo il placebo, mentre si dovrebbe utilizzare il miglior trattamento disponibile in armonia con la dichiarazione di Helsinky. I Comitati Etici sono ridotti ad occuparsi del consenso informato e delle assicurazioni mentre dovrebbero occuparsi della parte scientifica imprescindibile dall’etica.
In questo modo si moltiplicano i farmaci per le stesse indicazioni rendendo i cosiddetti ricercatori clinici, solo ben retribuiti procacciatori di pazienti. Sarebbe molto differente la situazione, se la legge europea dicesse: “qualità, efficacia, sicurezza e valore terapeutico aggiunto”. Infatti ciò richiederebbe che un nuovo farmaco per essere approvato debba dimostrare una superiorità rispetto all’esistente. Ma se un farmaco è meglio dell’esistente, quelli meno attivi dovrebbero essere eliminati. Un’altra modifica della legge potrebbe essere la necessità che uno dei due studi di fase 3 necessari per l’approvazione, debba essere realizzato da un ente indipendente, mentre oggi è solo l’industria che può definire e realizzare, con l’aiuto della rete di centri clinici nazionali e internazionali, i due protocolli.
Infine non va dimenticato che la stragrande maggioranza degli studi clinici controllati viene realizzata in soggetti adulti maschi, mentre poi possono essere utilizzati nei bambini e soprattutto nei soggetti anziani con tutte le loro fragilità. Ancora più penalizzate sono le donne che dovrebbero partecipare a specifici protocolli visto che, per la stessa malattia, le donne sono differenti dai maschi per prevalenza, durata ed esiti. Questa mancanza genera una maggiore tossicità dei farmaci nelle femmine rispetto ai maschi. Questi cambiamenti legislativi, a cui si oppone ovviamente la lobby farmaceutica, comporterebbe una maggiore conoscenza dei farmaci perché potrebbero essere almeno la metà dei circa 1200 principi attivi e circa 12.000 confezioni, oggi rimborsati dal Servizio Sanitario Nazionale, con una spesa di circa 22 miliardi di euro, il 17 percento dell’intero bilancio disponibile. All’interno dell’EMA vi sono anche movimenti per rivedere la legislazione, come richiesto anche dal Parlamento Europeo, ma i tempi sono biblici. Occorre realizzare forme di pressione perché la situazione possa migliorare stimolando l’Europa ad operare perché vengano soddisfatti i diritti alla salute degli ammalati delle 7.000 malattie rare a cui nessuno pensa perché non sono redditizie dal punto di vista economico.
Sostenere una imprenditorialità non-profit potrebbe essere una soluzione. Il mercato dei farmaci, e più in generale il mercato della medicina, tende per sua natura ad aumentare certamente non nell’interesse degli ammalati e perciò del SSN. Deve essere perciò frenato dalla legislazione e da una rivoluzione culturale che ponga la prevenzione al centro dell’attenzione perché la maggior parte delle malattie, sono evitabili, non piovono dal cielo.
Silvio Garattini, Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri
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fonte: saluteinternazionale.info