Il fenomeno riguarda anche l’Italia, dove 2,2 milioni di famiglie sono in difficoltà. I risultati di un’indagine Spi Cgil e Fondazione Di Vittorio.
Quando si sente parlare di povertà energetica il pensiero va subito ai Paesi in via di sviluppo, si immaginano bambini intenti a raccogliere legna per scaldarsi, donne che cucinano con fuochi di fortuna, interi villaggi che al calar della sera rimangono al buio. Secondo i dati forniti dalle Nazioni Unite, nel mondo una persona su cinque non ha accesso a moderni mezzi elettrici, 3 miliardi dipendono da legno, carbone, carbonella o concime animale per cucinare e per scaldarsi.
Fenomeno anche italiano
Ma questo fenomeno interessa anche un Paese evoluto come l’Italia. Per indagarlo, capirne i contorni e trovare gli strumenti per contrastarlo, lo Spi Cgil, il sindacato dei pensionati, in collaborazione con la Fondazione Di Vittorio, ha promosso e condotto un’indagine focalizzata sulle aree periferiche ed ultra-periferiche, selezionate con procedura casuale, anche per metterlo in relazione alle disparità.
Definire il problema
“Abbiamo voluto contribuire a una definizione della povertà energetica, che manca in Italia come in Europa – spiega Serena Rugiero, responsabile dello studio –. E l’abbiamo connessa al tema dei servizi fondamentali della cittadinanza, salute, scuola, accesso all’energia, in ambiti mai presi in considerazione, le aree marginali e interne, che rappresentano porzioni ampie del nostro territorio, dove ci sono molti abitanti nonostante lo spopolamento generalizzato e dove c’è un importante patrimonio naturale e culturale”.
I poveri energetici sono coloro che si trovano in condizione di difficoltà ad acquistare un paniere minimo di servizi energetici o sono vincolati a un’eccessiva distrazione di risorse famigliari, con effetti sul mantenimento di un standard di vita dignitoso, sulla salute delle persone e il loro benessere. I vulnerabili energetici sono invece quei nuclei che, oltre alla condizione di disagio economico potenziale, sono anche esposti a una situazione di fragilità per via di un’abitazione non efficientata, diversi dai vulnerabili esclusivamente economici, cioè con un abitazione efficientata dal punto di vista energetico.
Emergenza nazionale
Quello che è emerso dagli 824 questionari somministrati a persone con più di 64 anni è una mappa dettagliata. Nel 2021 in Italia c’erano 2,2 milioni famiglie in povertà energetica, pari all’8,5 per cento del totale. “Le condizioni di disagio economico ed energetico evidenziano una geografia non del tutto associata alle disparità Nord-Sud, con situazioni di disagio anche nelle aree più ricche del Paese – aggiunge Rugiero -. Prova che la povertà energetica è un’emergenza nazionale”.
Da soli, vedovi, donne
Dalla rilevazione risulta una differenza tra le persone coniugate o conviventi e quelle che vivono da sole: la maggior parte degli intervistati in stato economico non di disagio è sposata o convivente (il 73,1 per cento), i poveri energetici sono in maggioranza vedovi, il 61,4 per cento è donna. Anche il titolo di studio è un indicatore: tra i poveri e i vulnerabili è particolarmente diffuso la licenza elementare, il 10 per cento non ha conseguito alcun titolo, mentre gli intervistati non in condizione di disagio sono la classe in cui si concentrano il diploma di istruzione superiore o la laurea.
Altre caratteristiche
Alla condizione di povertà energetica si associano più frequentemente rispetto agli altri gruppi l’assenza della casa di proprietà, il vivere in abitazioni monofamiliari e bifamiliari cielo/terra, o in alloggi di dimensioni ridotte. L’80,7 per cento e il 77,7 rispettivamente dei poveri e dei vulnerabili energetici abita in una casa costruita prima del 1970, a differenza dei nuclei familiari in condizioni di non disagio (42), ma anche dei poveri (41,3) e dei vulnerabili esclusivamente economici (44,3). Inoltre, spese di efficientamento sono state affrontate da circa il 65 per cento degli intervistati, ma questa percentuale scende drasticamente tra i poveri (25) e tra i vulnerabili energetici (35).
L’indagine rivela poi che questi ultimi si riscaldano prevalentemente con il camino tradizionale a legna, che le tipologie di riscaldamento legate alle energie rinnovabili sono praticamente assenti e che più di 10 nuclei familiari su 100 (tra i poveri e i vulnerabili energetici) dichiara di non usufruire di un impianto di riscaldamento. L’incidenza percentuale di intervistati che dichiara buone condizioni di salute è particolarmente alta tra chi non ha disagi, all’opposto cattive condizioni sono preponderanti tra poveri e vulnerabili.
Le tante dimensioni della povertà
“La povertà energetica è fenomeno multidimensionale – riprende la ricercatrice della Fondazione Di Vittorio -. I poveri energetici sono un gruppo che rivela una maggiore fragilità socio-economica per quanto riguarda le condizioni materiali, per lo stato dell’abitazione e per le condizioni di vita più in generale: maggiore isolamento, scarsa interazione sociale, poca informazione verso le opportunità dei bonus, limitata conoscenza del dibattito sui temi energetici, atteggiamenti meno sostenibili dal punto di vista ambientale. Insieme ai vulnerabili energetici, rappresentano una porzione della popolazione non trascurabile, che richiede politiche mirate”.
Il ruolo del sindacato
Secondo lo studio, quindi, il sindacato può ricoprire un ruolo importante, mettere in campo azioni congiunte capaci di alleggerire i costi energetici, contribuire alla costruzione delle comunità energetiche, rafforzare la contrattazione sociale e territoriale nella lotta alla povertà e nella realizzazione di una transizione ecologica giusta.
“In questo senso particolare rilievo assumono gli accordi finalizzati a favorire la democratizzazione della produzione e della gestione dell’energia – conclude Rugiero -. Un interesse sempre maggiore hanno, anche da parte sindacale, le comunità energetiche rinnovabili che, oltre a contribuire all’azione per il clima e alla autonomia energetica, possono diventare un concreto strumento per il contrasto alla povertà energetica, mentre contribuiscono allo sviluppo del territorio e alla rigenerazione urbana”.
fonte: Collettiva