Le cure primarie e, in primis, la medicina di famiglia sono state travolte dalla pandemia. E a causa di ciò la mortalità da COVID-19 in Italia è tra le più alte al mondo. Un ottimo motivo per rinnovare in profondità – nella cultura e nell’organizzazione – tutta la rete dei servizi territoriali.
Immagina di entrare nell’ambulatorio di cure primarie che ha appena aperto vicino casa. Un ingresso luminoso e arieggiato si apre davanti a te e il personale di segreteria ti accoglie e ti dà il benvenuto. Un tabellone grande quanto l’intera parete riporta i nomi di tutto lo staff. Noti che, rispetto allo studio medico che avevi visitato in precedenza, il nome del tuo medico di base è solo uno dei tanti professionisti del nuovo ambulatorio. Il tabellone riporta nomi di infermieri, fisioterapisti, assistenti sociali e psicologi. È elencato anche il personale amministrativo. Sulla parte alta del tabellone campeggia una scritta: “Benvenuti nel nuovo Ambulatorio di Cure Primarie”. Ti accomodi in sala d’attesa e attraverso la porta socchiusa di uno dei tanti ambulatori, intravedi un medico di medicina generale che impugna un fonendoscopio e si destreggia tra elettrocardiogrammi ed esami di laboratorio: “Signora, si metta sul lettino che la voglio visitare”. Chiude la porta dietro di sé. In attesa del tuo turno, ti accorgi che è appena entrato in ambulatorio un membro dello staff in divisa sanitaria che si rivolge al personale di segreteria: “Ho fatto il giro di tutte le case del quartiere: c’era chi aveva la pressione alta, a cui ho dovuto ricordare di prendere la terapia anti-ipertensiva, chi voleva informazioni su come ottenere l’esenzione per l’infarto appena avuto…e oggi c’era anche l’incontro tra i pazienti diabetici. Ma lo sai che sono tutti contenti di questa nuova figura, il community health worker?!”.
Arriva finalmente il tuo turno. Entri nello studio e ti accomodi. Davanti a te si presenta un giovane dal sorriso accogliente: “Buongiorno, mi chiamo Michele e sono l’infermiere di comunità del nuovo Ambulatorio di Cure Primarie. Come posso esserle utile?”. Legge la sorpresa nei tuoi occhi: “Ebbene sì, finalmente abbiamo un nuovo sistema di cure primarie! La pandemia ci ha portato a riflettere sul modo con il quale il sistema sanitario risponde ai bisogni di ognuno di noi. Sono state introdotte o ripensate alcune figure, come la mia, ovvero quella di infermiere di comunità. Ci occupiamo della gestione di casi infermieristici e della prevenzione ed educazione sanitaria della comunità, soprattutto in tema di preparazione alle emergenze. È stata introdotta anche la figura dei community health workers, che, opportunamente formati, vanno di casa in casa e si occupano dei pazienti più vulnerabili, come quelli allettati o affetti da patologie croniche, garantendo così continuità di servizio. Raggiungono anche quelli che abitano molto lontano, per esempio in comunità rurali o montane, cercando di sensibilizzarli e di migliorare il loro grado di preparazione alle emergenze. Sono professionisti che parlano diverse lingue per poter comunicare in modo efficace coi membri delle varie comunità. Ci riuniamo tutti di frequente assieme agli altri membri del sistema di cure primarie di zona: le case di riposo, il servizio di sanità pubblica, le farmacie e le organizzazioni non governative locali, in quanto tutti insieme rappresentiamo il primo punto di riferimento sanitario per i cittadini. Di recente è stato anche installato un sistema gestionale nuovo di zecca che riporta le schede cliniche di ogni paziente e classifica i pazienti in base al grado di vulnerabilità medica e sociale. Così facendo, tutto lo staff sanitario conosce i bisogni e le vulnerabilità degli individui della nostra comunità. Abbiamo anche del personale amministrativo, che si occupa di tutti gli adempimenti burocratici e di tenere in ordine il nostro magazzino, così abbiamo tutto il materiale pronto per ogni emergenza. In questo modo, noi lavoratori ci sentiamo tutti più protetti. E se ci trovassimo di nuovo di fronte a un’emergenza come il COVID? Ognuno di noi ha il proprio ruolo. E siamo anche formati mediante corsi specifici in cui simuliamo una risposta alle varie emergenze che potrebbero presentarsi.”
“… e il medico?” “Fortunatamente, con la pandemia si è capito che le cure primarie non sono rappresentate unicamente dal medico! Con questa nuova organizzazione, il medico non è più lasciato solo a rispondere ai bisogni socio-sanitari dell’intera comunità e può tornare a esercitare a pieno la sua professione: visitare i pazienti e fungere da ‘direttore d’orchestra’ che coordina il percorso di cura di ogni individuo. Nel caso in cui ritenga che un paziente debba essere ospedalizzato, per esempio, prende contatti direttamente con l’ospedale di riferimento. E il paziente viene inviato in ospedale anche grazie ad un accordo con alcune società di ambulanze. Questa nuova organizzazione delle cure primarie contribuisce a evitare il sovraffollamento degli ospedali, che devono servire, soprattutto in momenti delicati come un disastro, a gestire i pazienti più gravi!”
Torniamo adesso alla realtà e ripercorriamo insieme ciò che è successo in Italia durante la pandemia di COVID-19 [1].
I medici di base, investiti fin da subito da un carico di lavoro straordinario, si sono trovati impreparati a rispondere ai bisogni della popolazione. Molti di loro, ignari dei principi della medicina dei disastri – disciplina a lungo trascurata da parte delle scuole di medicina – non si sentivano né pronti né adeguatamente equipaggiati per far fronte all’aumento di contagi e per gestire dal punto di vista clinico una malattia ancora poco conosciuta. L’impreparazione si è presto tradotta in un’impennata di contagi tra il personale sanitario. L’aumento di contagi ha fatto sì che il sistema di cure primarie venisse completamente assorbito dalla gestione dell’emergenza pandemica, causando l’interruzione di cure per i pazienti cronici o bisognosi di assistenza continua, nonché l’interruzione quasi totale dei servizi di prevenzione. Molti pazienti hanno riscontrato difficoltà a contattare il proprio medico, spesso irraggiungibile telefonicamente. Scarsi sono stati i servizi di supporto alla gestione domiciliare del paziente. Sebbene siano stati istituiti servizi di continuità assistenziale (es. USCA) in alcune regioni, questi sono stati poco integrati al sistema di cure primarie. Tutto ciò si è tradotto in una riduzione del 13% delle nuove diagnosi di malattie croniche nel 2020 rispetto al 2019 e in una diminuzione di circa 2 milioni di screening, con 13.000 tumori non diagnosticati tra febbraio e giugno 2020 [2-3].
La pandemia ha poi aumentato il divario tra il territorio e i sistemi ospedalieri. In assenza di un sistema di cure primarie che fungesse da filtro, gli ospedali sono diventati l’unico punto di riferimento per le cure e si sono ben presto sovraffollati. Il sistema di cure primarie ha inoltre riscontrato gravi lacune di personale amministrativo a supporto dei professionisti sanitari, soprattutto se si considera la mole burocratica che ha caratterizzato il periodo pandemico. I medici di base si sono trovati costretti a sacrificare l’attività clinica a favore di mansioni di natura burocratica e amministrativa, rispondendo continuamente al telefono e lavorando al di fuori dell’orario lavorativo. Il repentino aumento del carico di lavoro è andato a discapito della loro salute mentale, con un innalzamento dei livelli di stress e il conseguente aumento delle richieste di supporto psicologico. Stress e ridotta sicurezza sul lavoro sono anche una conseguenza del fatto che la maggior parte di loro ha dovuto provvedere autonomamente all’acquisto dei dispositivi di protezione individuale per adeguarsi alle normative di sicurezza, a discapito delle proprie finanze personali. Diverse difficoltà sono anche state riscontrate anche quando si è trattato di adeguare gli spazi degli ambulatori e delle cliniche alle norme di sicurezza COVID, spesso non riuscendoci poiché si disponeva di spazi troppo piccoli o sale d’attesa anguste che non permettevano il distanziamento, mettendo in pericolo la salute di pazienti e professionisti.
Rari sono stati i tentativi di integrare le cure primarie con il terzo settore. Le comunità vulnerabili sono state spesso abbandonate o unicamente considerate da parte delle organizzazioni non governative. La settorialità della risposta all’emergenza si è tradotta in disuguaglianze nell’accesso alle cure e nello stato di salute della popolazione. Gli individui più vulnerabili sono stati penalizzati poiché sistematicamente esclusi dal sistema sanitario a causa di determinanti strutturali quali la lontananza dai centri di cura, il loro status legale (es: la mancanza di cittadinanza italiana) o la loro vulnerabilità sociale e marginalità.
Non si può negare che il collasso del sistema territoriale alle prese con un disastro sia imputabile ai progressivi tagli sui finanziamenti sanitari avvenuti negli ultimi decenni e alle politiche sanitarie che hanno dato priorità a un sistema di cure specialistiche a discapito della sanità territoriale [4]. Ma tutto ciò è anche dovuto ad una scarsa considerazione delle cure primarie da parte di coloro che si occupano di disastri, molto più spesso orientati ad investire su una risposta “ospedalocentrica”. Sebbene all’interno di un documento redatto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità nel 2019 si parli di preparazione al disastro da parte del sistema di cure primarie, provvedimenti pratici volti a rafforzare questo sistema e prepararlo adeguatamente non sono mai stati presi [5].
In considerazione del prevedibile aumento dei disastri causati da pericoli naturali nei prossimi anni è fondamentale farsi trovare preparati a gestirli con prontezza.
In considerazione del prevedibile aumento dei disastri causati da pericoli naturali nei prossimi anni, principalmente legato al cambiamento climatico, è fondamentale farsi trovare preparati a gestirli con prontezza. Oltretutto, è proprio durante queste emergenze che gli individui di una comunità hanno maggior bisogno di avere un punto di riferimento sanitario. Tali bisogni (es: la necessità di continuità di cure per i pazienti cronici, la gestione del disagio sociale e psicologico) si protraggono ben oltre l’evento emergenziale e perdurano per giorni, mesi, e anni dopo l’evento stesso, e il sistema di cure primarie deve essere preparato a intercettarli e a fronteggiarli con efficacia (Figura 1). Solo in questo modo il sistema ospedaliero può concentrarsi sulla gestione di pazienti acuti che necessitano di cure avanzate.
Figura 1. Diagramma che raffigura i bisogni sanitari che emergono dopo un disastro [6].
Il tentativo di riformare le cure primarie è evidente. La strada intrapresa con il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza e l’istituzione delle Case di Comunità fa ben sperare. Serve, però, uno sforzo ulteriore, ovvero quello di rendere più efficiente il sistema di cure primarie attraverso l’istituzione di politiche nazionali che lo integrino nella risposta a qualsivoglia evento emergenziale. Uno studio recente del nostro Centro di Ricerca ha identificato in letteratura le caratteristiche principali grazie alle quali il sistema di cure primarie può essere efficace ed efficiente nella gestione di una calamità (Figura 2) [7]. Lo scenario descritto all’inizio di questo articolo non deve più apparire un’utopia, ma deve diventare la nuova normalità. Solo integrando un sistema di cure primarie che sia preparato a fronteggiare un disastro si può evitare che l’intero sistema ospedaliero e d’urgenza venga sovraccaricato, assicurando così una risposta ai bisogni di tutti. La Universal Health Coverage passa proprio da qui.
Figura 2. Caratteristiche principali che rendono un sistema di cure primarie preparato ai disastri [7].
Alessandro Lamberti-Castronuovo e Martina Valente: CRIMEDIM – Centre for Research and Training in Disaster Medicine, Humanitarian Aid and Global Health – Dipartimento per lo Sviluppo Sostenibile e la Transizione Ecologica – Università del Piemonte Orientale – Novara – Saluteglobale.it, Associazione di Promozione Sociale, Brescia, Italy
Bibliografia
- Lamberti-Castronuovo A, Parotto E, Della Corte F, Hubloue I, Ragazzoni L, Valente M. The COVID-19 pandemic response and its impact on post-corona health emergency and disaster risk management in Italy. Front Public Health. 2022 Oct 31;10:1034196. doi: 10.3389/fpubh.2022.1034196. PMID: 36388364; PMCID: PMC9659979.
- Ciriello C. Cittadini e cura delle cronicità: quale accesso dopo la pandemia? [Internet]. Cittadinanzattiva una organizzazione, fondata nel 1978. [cited 2022 Nov 30]. Available from: https://www.cittadinanzattiva.it/notizie/14408-cittadini-e-cura-delle-cronicita-quale-accesso-dopo-la-pandemia.html
- Zappa PM Francesca Battisti, Paola Armaroli, Pamela Giubilato, Leonardo Ventura, Manuel Zorzi, Jessica Battagello, Priscilla Sassoli de Bianchi, Carlo Senore, Marco. Ritardi maturati dai programmi di screening oncologici ai tempi del COVID-19 in Italia, velocità della ripartenza e stima dei possibili ritardi diagnostici [Internet]. www.epiprev.it. [cited 2022 Nov 30]. Available from: https://epiprev.it/articoli_scientifici/ritardi-maturati-dai-programmi-di-screening-oncologici-ai-tempi-del-covid-19-in-italia-velocita-della-ripartenza-e-stima-dei-possibili-ritardi-diagnostici
- Filicaia MG da. Un’altra sanità territoriale è possibile! [Internet]. www.epiprev.it. [cited 2022 Nov 30]. Available from: https://epiprev.it/editoriali/unaltra-sanita-territoriale-e-possibile
- (2019). Health emergency and disaster risk management framework. World Health Organization. https://apps.who.int/iris/handle/10665/326106. License: CC BY-NC-SA 3.0 IGO
- 2012: Secondary Surge Capacity: A Framework for Understanding Long-Term Access to Primary Care for Medically Vulnerable Populations in Disaster Recovery American Journal of Public Health 102, e24_e32, https://doi.org/10.2105/AJPH.2012.301027 ,
- Lamberti-Castronuovo A, Valente M, Barone-Adesi F, Hubloue I, Ragazzoni L. Primary health care disaster preparedness: A review of the literature and the proposal of a new framework. International Journal of Disaster Risk Reduction [Internet]. 2022 Oct 15 [cited 2022 Nov 30];81:103278. Available from: https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S2212420922004976
fonte: saluteinternazionale.info