Grazie ai progressi nelle condizioni di vita e nella medicina le nostre società occidentali sono invecchiate e la loro aspettativa di vita continua ad allungarsi. Questo fatto spinge i regimi pensionistici a rimanere sostenibili, spostando in avanti l’età pensionabile. Cosa si sa sull’effetto sulla salute e sul lavoro delle riforme pensionistiche degli ultimi anni in Italia? Cosa significa per la salute continuare a lavorare nei dintorni dell’età pensionabile? E, soprattutto, siamo sicuri che ancorare automaticamente l’età pensionabile al miglioramento della speranza di vita non introduca nuove disuguaglianze tra i lavoratori?
La ricerca della Fondazione CARIPLO ha indagato queste domande di ricerca partendo da quanto già noto in letteratura sul fatto che i lavoratori meno qualificati si ammalano e perdono capacità funzionali di più e prima di quelli più qualificati, approdando a disuguaglianze sociali significative nella longevità e nell’aspettativa di vita in buona salute. Rispondere a queste domande è un compito non facile poiché tra gli esperti non c’è consenso se sia più importante il fatto che il lavoro possa compromettere la salute o il fatto che l’esperienza di malattia possa impedire il progresso nella carriera lavorativa, e quindi non si sa a chi imputare la responsabilità di evitare le disuguaglianze lavorative di salute tramite le politiche del lavoro o di compensarne le conseguenze disuguali tramite le politiche pensionistiche. In effetti entrambi i meccanismi sono in azione in una catena complessa di nessi causali che si succedono nel corso della vita lavorativa interagendo tra loro in modo ricorsivo e con effetti eterogenei anche in ragione dei differenti contesti lavorativi. Questa complessità dell’oggetto di studio non scoraggia però la ricerca scientifica dal comprendere la natura e l’importanza di alcuni meccanismi per fornire spunti utili a chi formula le politiche.
Nella sua parte descrittiva la ricerca CARIPLO ha mostrato che le riforme pensionistiche che si sono succedute negli ultimi vent’anni hanno fatto crescere il numero di lavoratori italiani che continuano a lavorare oltre ai sessant’anni, una fascia di età in cui aumentano i lavoratori affetti da malattie croniche e non diminuisce la frequenza con cui sono esposti a fattori di rischio e di gravosità del lavoro. Questo significa che l’aumento dell’età pensionabile interessa lavoratori con diminuita capacità lavorativa che sono addetti a mansioni e posti di lavoro la cui gravosità non sa adeguarsi a questa loro particolare vulnerabilità.
In questo quadro di particolare vulnerabilità dei lavoratori anziani, la ricerca CARIPLO ha mostrato che le politiche di allungamento dell’età pensionabile si accompagnano a significativi effetti sfavorevoli sulla salute mentale in molti studi passati in rassegna; e che in Italia l’aumento improvviso dell’età pensionabile introdotto tra le donne nel 2012 ha aumentato significativamente alcuni disturbi fisici e mentali soprattutto tra le lavoratrici portatrici di cattive condizioni di salute.
Infine sempre la ricerca CARIPLO mostra che questi lavoratori arrivano alle soglie di pensione con differenze maschili nella aspettativa di vita di circa due-tre anni sia che si considerino le differenze tra i lavoratori più o meno qualificati sia quelle dei lavoratori con più o meno retribuzione, una disuguaglianza che si traduce in disuguali anni di pensione, che poi finiscono per ridistribuire risorse dai più poveri ai più ricchi.
Quali implicazioni per le politiche possono avere questi risultati? Come si potrebbero evitare questi effetti negativi dell’allungamento dell’età pensionabile, sia quelli sfavorevoli sulla salute sia quelli regressivi sul tempo e sul beneficio pensionistico?
Non bisogna abbassare la guardia sulla prevenzione di quelle condizioni di lavoro e di quelle condizioni materiali che causano la longevità disuguale tra i lavoratori ancor prima che diventino anziani. Sicurezza e igiene dei luoghi di lavoro e delle mansioni continuano ad essere il presidio più importante che la prevenzione ha a disposizione per tutelare la salute del lavoro manuale e meno qualificato. Ad esse si dovrebbe affiancare con maggiore convinzione e investimenti quella promozione dei comportamenti salubri che tanta importanza ha nel mantenere una adeguata capacità lavorativa e che può essere molto facilitata dal contesto lavorativo con la sua organizzazione e le sue relazioni sociali.
Abbiamo visto che di fronte all’aumento dei lavoratori anziani che consegue all’allungamento dell’età pensionabile i lavoratori diventano più vulnerabili nella salute e probabilmente anche nella produttività, soprattutto quelli affetti da malattie croniche. In questo caso i luoghi e i posti di lavoro dovrebbero adattarsi meglio alle diminuite capacità lavorative degli addetti, ma è noto che le imprese difficilmente sono disposte ad adeguare l’organizzazione e i processi produttivi ad una forza lavoro più anziana e preferiscono delegare allo scivolamento verso la pensione o alla invalidità la soluzione del problema.
Infine rimane la necessità di compensare gli effetti regressivi disuguali sui trattamenti pensionistici, legati alla disuguale longevità. Da un lato la disciplina dell’età pensionabile dovrebbe essere resa più flessibile per quei lavori con cui il lavoratore anziano ha difficoltà a convivere; è la soluzione che è già stata recepita con la disciplina del ricorso all’APE sociale per i lavori gravosi, ma che non è ancora stata trasformata in una misura strutturale in una prossima tornata di riforma dei regimi pensionistici. In quella circostanza sarebbero anche da rivedere gli altri dispositivi che sono usati non raramente dai lavoratori anziani per aspettare l’età pensionabile fuori dal lavoro, che sono le pensioni di invalidità e i sussidi di disoccupazione. Dispositivi perequativi della disuguale longevità alternativi alla flessibilizzazione dell’età pensionabile potrebbero agire sul beneficio pensionistico o sulla progressività della tassazione delle pensioni, come una monetizzazione della disuguale longevità; in effetti la reversibilità al coniuge dei benefici pensionistici agisce già in questo senso, ma la sua capacità perequativa è limitata dal fatto che anche la longevità dei coniugi è di norma socialmente disuguale, riproducendo la stessa necessità perequativa per cui sarebbe invocata.
L’esame del rapporto tra politiche previdenziali e salute è un ottimo esempio di come dovrebbe funzionare l’approccio di Salute in Tutte le Politiche: ogni politica dovrebbe essere sottoposta a scrutinio sistematico dei possibili effetti che essa potrebbe avere sulla salute, in modo da identificare i meccanismi causali che sottendono a questi effetti per poter aggiustare la politica in modo da massimizzare gli effetti positivi e minimizzare quelli negativi.
Accedi al full text dell’articolo Ardito C, Costa G. Could a fairer retirement age mitigate health inequalities? Evidence and decision-making. Front Public Health. 2022 Sep 30;10:965140
Su questo sito. Quando andare in pensione? Una questione di equità. Febbraio 2022 a cura di Chiara Ardito
A cura Chiara Ardito (1) e Giuseppe Costa (2)
(1) Servizio di Epidemiologia ASL TO3 e Università di Torino – chiara.ardito@unito.it
(2) Università di Torino –giuseppe.costa@unito.it
fonte: Disuguaglianze di Salute