Negli ultimi anni, la salute del cervello e la prevenzione dei disturbi neurologici hanno acquisito crescente rilievo, diventando i temi centrali di numerose iniziative internazionali rivolte ai decisori politici, per rendere l’ottimizzazione della salute cerebrale una priorità di sanità pubblica. Se fino al 2008 il termine “salute del cervello” (brain health) veniva citato in meno di dieci studi scientifici l’anno, nel 2022 l’OMS ha lanciato il “Piano d’azione globale intersettoriale sull’epilessia e altri disturbi neurologici”, che insieme al piano di azione globale del 2017 contro la demenza e la “Decade 2021-2030 per un sano invecchiamento” inaugurata dalle Nazioni Unite, manifesta il ruolo centrale che sta assumendo la salute del cervello nel panorama scientifico attuale.L’Europa non è da meno, con l’Accademia europea di neurologia che propone una strategia per la salute cerebrale e la Commissione europea che la include nella nuova iniziativa contro le malattie non comunicabili. E sono i numeri a dire il perché: secondo le stime del Global burden of diseases, i disturbi neurologici (tra cui ictus e demenza) sono la seconda causa di morte e la prima causa di disabilità nel mondo, con l’incidenza di ictus che è aumentata del 43% dal 1990 al 2019; l’OMS calcola che un terzo della popolazione mondiale svilupperà nel corso della vita una qualche condizione neurologica, e i dati suggeriscono che con l’aumento della longevità, questi numeri rischiano di crescere ulteriormente.
Quale salute?
Nel position paper “Optimizing brain health”, pubblicato a luglio di quest’anno, l’OMS definisce la salute del cervello come “lo stato di funzionamento cerebrale nei domini cognitivo, sensoriale, socio-emotivo, comportamentale e motorio, che permette alla persona di realizzare il proprio pieno potenziale, a prescindere dalla presenza o l’assenza di disturbi”. Non è dunque l’insorgenza di una condizione neurologica a definire la salute cerebrale, quanto la capacità del cervello svilupparsi, creare connessioni, ripararsi e adattarsi, in modo da prevenire o compensare le disfunzioni, rimanendo flessibile ed efficiente.
Come si misura un cervello sano?
Con il riconoscimento dell’impatto della funzionalità del cervello sulla comunità, sono stati coniati i nuovi termini di “impronta cognitiva” e “capitale cerebrale”, a indicare la conoscenza, la capacità creativa e la salute che un individuo accumula nel corso della vita. Tuttavia, nonostante il fiorire di termini e interesse, il carattere multidimensionale della salute del cervello la rende un concetto tanto importante quanto sfuggente: a oggi non esistono metodi diretti per misurare il grado di salute cerebrale; inoltre non esistono scale o test di valutazione cognitiva che siano state validate a livello globale, applicabili tra diverse culture e gruppi etnici. Nonostante alcuni paesi abbiano sviluppato alcune metriche, come la Resilience index and cognitive clock degli Stati Uniti, la comunità scientifica internazionale si affida a misure indirette, come valutazioni cliniche e tecniche di neuroimaging funzionale e strutturale, e quest’anno, la pubblicazione delle prime carte cerebrali umane ha rappresentato una nuova enorme risorsa per le tecniche di imaging, offrendo modelli strutturali di riferimento rispetto allo sviluppo del cervello dell’essere umano, dal concepimento alla morte.
Ossigeno, dieta e ginnastica, gli ingredienti base
Se è vero che vi sono fattori di rischio non modificabili, come la predisposizione genetica o l’età, è anche vero che vi sono altrettante variabili modificabili. Vediamole.
Come la salute del cervello influenza il buon funzionamento del corpo, viceversa un corpo in salute aiuta a proteggere il cervello. In particolare, un sistema circolatorio sano è la chiave. Il cervello infatti consuma da solo il 20% dell’ossigeno e delle risorse energetiche del corpo e un insufficiente apporto di risorse (per esempio in seguito a ictus o emorragia cerebrale) rappresenta una delle principali cause di demenza (demenza vascolare) ed è spesso associato ad altre forme di declino cognitivo, come l’Alzheimer, tanto che negli ultimi anni si sta iniziando a ipotizzare un ruolo centrale del sistema cerebrovascolare nella patogenesi della malattia. Questa relazione tra cuore e cervello fornisce in parte la relazione di causa-effetto tra alcuni fattori e l’insorgenza di disturbi neurologici: in particolare, l’ipertensione, il fumo, l’obesità e l’inattività fisica sono stati associati a un incremento nel rischio di sviluppare una forma di demenza o altri disturbi.
La nutrizione anche assume un ruolo fondamentale: se l’obesità rappresenta un chiaro fattore di rischio, una sana – mediterranea – alimentazione rappresenta una fonte di protezione, probabilmente anche in questo caso attraverso gli effetti sul metabolismo e sul sistema cardiocircolatorio. Diversi studi, sia osservazionali che di intervento, riportano che una dieta ricca di verdura, frutta, legumi, pesce e cereali integrali, e povera di carne e grassi saturi (dieta mediterranea) sia associata a un minor rischio di sviluppare disturbi cerebrali, comprese diverse forme di demenza, tra cui quella dovuta all’Alzheimer. In particolare, a supportare l’ipotesi della mediazione della funzione cardiaca, la dieta DASH, elaborata per diminuire l’ipertensione, e la dieta MIND (una fusione tra mediterranea e DASH, pensata appositamente per il cervello) sembrano rallentare il declino cognitivo e migliorare le funzioni cerebrali dei soggetti coinvolti rispetto ai gruppi di controllo. I risultati ottenuti con gli interventi nutrizionali complessivi non sono riconducibili all’incremento di specifici micronutrienti: l’assunzione delle singole vitamine (A,C,D) o di complessi multivitaminici, e di Omega 3, non ha riportato risultati significativi nel migliorare le prestazioni o lo stato di salute cerebrale.
Al contrario, approcci sempre più integrati come l’intervento multidominio finlandese FINGER, mostrano risultati positivi nel rallentare il declino cognitivo della popolazione adulta. Il modello FINGER tuttavia non si limita all’aspetto nutrizionale, ma prevede interventi anche in altri ambiti (come l’esercizio fisico, il coinvolgimento sociale, e l’attività cognitiva). Oltre al ruolo nel diminuire il tasso di obesità e le relative complicazioni, l’attività fisica infatti è stata associata ad alcuni effetti neuroprotettivi, come il tamponamento generale dell’infiammazione, l’aumento di fattori neurotrofici (BDNF) e la conservazione del volume di determinate aree cerebrali (frontale e temporale). Tuttavia l’attività fisica, e la prestazione muscolare che ne consegue, risulta fondamentale con l’avanzare dell’età anche per un banale obiettivo: non cadere. I traumi cerebrali (TBI o Traumatic Brain Injury) rappresentano un altro fattore di rischio associato a una precoce insorgenza di demenza. Le commozioni cerebrali con perdita di coscienza o i ripetuti colpi forti alla testa, possono causare piccole lesioni che a loro volta peggiorano la salute del cervello, incrementando il rischio di epilessia, ictus o condizioni neurodegenerative. Esperienze di violenza domestica o di comunità, di guerra o conflitto, di incidenti stradali o sport di contatto senza le adeguate protezioni, possono avere un impatto diretto sulla salute del cervello.
Se non ci sente il cervello invecchia di più
Negli ultimi anni è emerso tra i fattori di rischio un ulteriore aspetto che riguarda la salute fisica, ovvero la deprivazione sensoriale, in particolare la perdita dell’udito. Diversi studi riportano come questa disfunzione sia associata a un incremento nel rischio di sviluppare una forma di demenza e al contempo mostrano che l’utilizzo di apparecchi acustici riduce drasticamente questo rischio associato. Nonostante le cause non siano state del tutto svelate, si ipotizza che la perdita dell’udito causi una diminuzione del volume della corteccia temporale, dove risiede la corteccia uditiva, che riceve ed elabora gli input sonori. Questa riduzione coinvolgerebbe l’ippocampo e la corteccia entorinale – strutture implicate nei processi mnemonici e cognitivi – entrambi parte della corteccia temporale.
Infine, una corretta igiene del sonno (che tra i 60 e i 70 anni significa non meno di sei ore a notte) diminuisce del 30% il rischio di sviluppare condizioni neurodegenerative e ictus, effetto probabilmente dovuto alla funzione di pulizia delle scorie neuronali che svolge il cervello durante il riposo notturno.
Il Sudoku non serve, ma la socialità e compiti cognitivi complessi sì
Ma la salute fisica non basta, o almeno non è l’unico determinante per un cervello efficiente e resiliente. Nonostante i meccanismi sottostanti non siano ancora stati chiariti, è da tempo noto che gli anni di educazione, la rete sociale e il coinvolgimento in attività cognitive impegnative siano degli elementi fondamentali per preservare la salute cerebrale. Da questi aspetti dipende infatti la costruzione di una “riserva cognitiva”, ovvero la capacità del cervello di svilupparsi, creare connessioni efficienti e dinamiche, e adattarsi, rimanendo flessibile e resiliente nel tempo. L’ipotesi della riserva cognitiva spiegherebbe l’impatto positivo anche nell’adulto di varie attività che stimolano i processi cerebrali, ma che non si limitano al semplice “usare” il cervello per non perderne la funzione, riassunto nel classico detto inglese “use it or lose it”. Sembra infatti che attività come il sudoku e le parole crociate non siano associate a un rallentamento del declino cognitivo nella popolazione anziana e a oggi i diversi studi riguardo training cognitivi di vario tipo hanno sempre fornito risultati contrastanti, non confermati o minimi. Secondo l’OMS però, è la complessità, e lo stimolo che questa provoca, a contare: imparare una lingua, suonare uno strumento e altre attività cognitivamente impegnative, anche nella vita adulta, sono associate a un incremento della salute cerebrale. Allo stesso modo, le interazioni sociali, soprattutto nell’anziano, sembrano esercitare una funzione protettiva contro il declino cognitivo e i comportamenti di isolamento che spesso si riscontrano in soggetti che sviluppano una forma di demenza, non sembrano essere un sintomo precoce della condizione, ma un fattore che concorre all’insorgenza.
L’inquinamento spegne i neuroni
Infine, l’ambiente. Fin dal pre-concepimento, lo stato di salute fisica e mentale della madre influenza le caratteristiche dell’ambiente intrauterino, come l’esposizione a tossine, sostanze d’abuso e agenti infettivi, che a loro volta hanno un profondo impatto sul neurosviluppo del bambino. Anche durante il corso della vita, soprattutto nei periodi critici di infanzia e adolescenza, l’esposizione a sostanze neurotossiche come alcuni pesticidi o solventi industriali peggiora la salute del cervello. Di recente l’inquinamento dell’aria e delle acque è stato identificato come un fattore di rischio per l’insorgenza di disturbi neurologici e demenza. Anche in questo caso, la relazione di causa effetto non è chiara, tuttavia si ipotizza che siano coinvolti meccanismi infiammatori, di stress ossidativo e, nuovamente, il sistema circolatorio: il particolato atmosferico, soprattutto il fine PM 2.5, riesce a raggiungere il sistema circolatorio, dove può causare l’ostruzione dei vasi, portando a un incremento nel rischio di aterosclerosi, infarto e ictus. Anche il diossido di azoto e il monossido di carbonio presenti nell’atmosfera rappresentano un pericolo per la salute del cervello. Se alcuni fattori “modificabili” dipendono effettivamente dai comportamenti dell’individuo, altri, come l’inquinamento dell’ambiente, richiedono interventi comunitari di cui solo i decisori politici e la società civile nel suo insieme può farsi carico.
Nel 2022, la comunità scientifica ha richiamato l’attenzione sulla crescente importanza che sta assumendo la salute del cervello per il benessere degli individui; nel futuro, l’obiettivo sarà di sviluppare e implementare strategie di prevenzione e cura che interessino il cervello; ma nel frattempo, ognuno di noi potrebbe scegliere qualche fattore “da modificare” e inserirlo nella lista dei buoni propositi dell’anno nuovo.
immagine in copertina: BrainChain, Willem den Broeder, acrilico su tela, 80 x 120cm, 2001 (tagliata)
fonte: scienza in rete
Camilla Orlandini. Classe 95′, è laureata in Neurobiologia presso Sapienza Università di Roma perché “il suo cervello era curioso di conoscersi”. Dopo un lavoro di tesi sperimentale sui circuiti cerebrali coinvolti nei meccanismi istintivi di difesa ha capito che la scienza, più che farla, le piaceva raccontarla. Attualmente frequenta il Master “La scienza nella pratica giornalistica” della Sapienza e scrive per il magazine online d’ateneo Stoccolma a Roma.