La partecipazione delle comunità è considerata ormai diffusamente un requisito fondamentale nell’organizzazione delle Cure Primarie. Ma vi sono modi molto diversi di intendere i concetti di “comunità” e di “partecipazione comunitaria”. L’esperienza della Medicina di Gruppo “Julian Tudor Hart” a Barco, un quartiere della periferia nord di Ferrara.
In un recente articolo[1] abbiamo raccontato l’esperienza della Medicina di Gruppo “Julian Tudor Hart” (da ora “JTH”) a Barco, un quartiere della periferia nord di Ferrara, e fucina di diversi progetti sperimentali orientati dai principi di Primary Health Care. In particolare, ci eravamo soffermate sulle attività del Distretto Geoeducativo legato all’ambulatorio, ovvero un dispositivo di ricerca e di formazione che coinvolge medici/he in formazione, medici/he di Medicina Generale, medici/he igienisti/e e antropologhe, e sul processo di territorializzazione portato avanti nel 2021. Come scrivevamo in quell’occasione, tale processo aveva condotto l’ambulatorio a decidere di avviare un percorso di “partecipazione comunitaria”.
La partecipazione delle comunità è considerata ormai diffusamente un requisito fondamentale nell’organizzazione delle Cure Primarie.[2] Infatti, a partire dalla Dichiarazione di Alma Ata, il concetto di “comunità” è divenuto elemento chiave nelle agende politiche e nei programmi sanitari di tutto il mondo. Nel contesto italiano, il suo utilizzo sembra ancora oggi in espansione (basti pensare al nascente modello di Case “della Comunità”).[3] Tuttavia, come molti contributi hanno già messo in luce, vi sono modi molto diversi di intendere (e dunque anche di operativizzare) i concetti di “comunità” e di “partecipazione comunitaria”: ad esempio, la comunità può essere pensata come un gruppo di persone che vive sullo stesso territorio, oppure come un insieme di soggetti che condividono valori ed obiettivi; il coinvolgimento comunitario può significare chiamare le persone a esprimere la propria preferenza in merito a una specifica decisione, oppure può consistere nel loro essere stabilmente parte di un processo in cui si discute a monte di quali siano le decisioni da prendere; o ancora, la partecipazione può essere uno strumento volto principalmente al contenimento dei costi, oppure alla promozione dell’empowerment e dell’autonomia delle persone.
Orientate dall’approccio di Primary Health Care, le persone che prendono parte alla Medicina di Gruppo JTH e al Distretto Geoeducativo ritengono che la partecipazione comunitaria sia anzitutto da pensare come il terreno di produzione della “publicness” di un servizio e quindi come spazio di esercizio dei diritti di cittadinanza da parte di tutti gli attori coinvolti nel “fare” salute.[4] In questo senso, la partecipazione diviene il mezzo di attuazione di equità, universalità e democrazia in salute, perché contribuisce a produrre una maggiore trasparenza nelle decisioni, una maggiore fiducia nelle istituzioni, una co-responsabilizzazione nell’implementazione di politiche e interventi in salute, oltreché una migliore qualità delle cure e una maggiore efficacia degli interventi.[5]
Con questo approccio e a partire dal mese di marzo di quest’anno, la Medicina di Gruppo JTH, in collaborazione con il Distretto Geoeducativo, ha avviato un “Laboratorio di partecipazione comunitaria”.
Il percorso ha avuto inizio con la costituzione di un gruppo di persone coinvolte dai/lle medici/he dell’ambulatorio, che progressivamente ha allargato la partecipazione a nuovi membri. Le attività consistono principalmente in appuntamenti a cadenza mensile, tenuti in presenza nel quartiere Barco, e facilitati da due dei membri del Distretto Geoeducativo. Con l’idea che per chi legge possano essere più utili e interessanti i nodi critici di questo processo, riportiamo di seguito solo alcune delle tappe essenziali del percorso realizzato sino ad oggi. Innanzitutto, una prima criticità ha interessato la costruzione del gruppo: nei primi appuntamenti, ci siamo a lungo soffermate/i su che cosa significasse costituire un “Laboratorio di partecipazione comunitaria”, chi ne dovesse prendere parte e quale dove essere il criterio di inclusione. Che cos’è, precisamente, una comunità? Come far sì che la comunità del Laboratorio sia (e rimanga) uno spazio aperto, che non riproduce esclusione dando voce solo a chi già gode di rappresentanza o è già attivo/a nell’associazionismo? Occorre invitare solo le persone che consideriamo affini al gruppo che si è già costituito oppure è necessario un coinvolgimento più ampio? Se aumentiamo l’eterogeneità accrescono le possibilità di conflitti? E come fare in caso insorgano dei conflitti?
In risposta a queste tensioni che vivevamo, abbiamo deciso di lavorare prima di tutto sul gruppo neo-costituito, di modo che si potesse riconoscere esso stesso nella definizione di “comunità”. Per questo abbiamo iniziato a produrre una “Carta dei valori, dei principi e degli obiettivi” del Laboratorio. In questo documento (ancora in progress), l’appartenenza al gruppo emerge come slegata dal criterio di residenza (risiedere a Barco o nei territori limitrofi) e da quello di relazione rispetto all’ambulatorio JTH (esserme o meno paziente), ed è fondata sulla condivisione di un macro-obiettivo: quello di sperimentare nuovi modi di produrre salute a Barco. Il gruppo ad oggi conta stabilmente 20 persone[6] e, su suggerimento dei suoi attuali membri, è aperto a coinvolgerne di nuove. Seppur tra gli intenti vi sia quello di sostenere un’adesione ancor più ampia e spontanea al gruppo, abbiamo considerato utile attendere qualche tempo prima di, ad esempio, pubblicizzare l’iniziativa, per far sì che intanto potessero consolidarsi i legami tra le persone già coinvolte. In questo senso, le persone che ad oggi partecipano al Laboratorio rappresentano una piccola comunità delle tante possibili e, fra le attività che ci trovano in questo periodo impegnate/i, vi è la finalizzazione della Carta.
In secondo luogo, un’ulteriore criticità è stata riscontrata nei momenti che abbiamo dedicato a cercare di sviluppare all’interno di questo gruppo una conoscenza condivisa rispetto ai bisogni di “salute” – in un’accezione ampia – del territorio. Infatti, chiederci di quali necessità fossimo portatori/portatrici o spettatori/spettatrici ha significato produrre una lunga lista di bisogni, per la presa in carico dei quali il gruppo non possedeva (e non possiede) le risorse sufficienti. In particolare, i/le medici/he della Medicina di Gruppo JTH, promotori del percorso di partecipazione comunitaria, si sono a lungo domandati/e come poter rispondere alle aspettative che questo processo aveva ingenerato. A quel punto, l’impossibilità di far fronte a tutti i bisogni emersi è stata condivisa all’interno del gruppo con molta chiarezza.
Come ci hanno raccontato, alla lunga lista prodotta nel percorso di partecipazione comunitaria si sommano i bisogni che quotidianamente emergono durante le attività di studio: recentemente alcuni/e assistiti/e hanno infatti riportato delle difficoltà di accesso all’ambulatorio (nel contatto e nella comunicazione telefonica), che creano grande frustrazione per tutto il personale (incluse le collaboratrici di studio), il quale si trova a confrontarsi con una domanda di assistenza in crescita, considerata anche la notevole carenza di medici/he del territorio.
Il gruppo del Laboratorio di Partecipazione Comunitaria ha deciso di farsi carico di questa problematica e attualmente sta concentrando le proprie attività nell’individuare le barriere di accesso all’ambulatorio che vengono riscontrate. L’idea è quella di avviare una negoziazione sulle tempistiche e sulle modalità di accoglienza, prestando una particolare attenzione a sviluppare anche delle pratiche per la gestione collettiva dei conflitti che potrebbero emergere. L’obiettivo finale ad oggi è quello di produrre una Carta dei Servizi co-costruita tra medici/he e persone assistite.
Martina Consoloni è un’antropologa e dottoranda di ricerca in Storie, Culture e Politiche del Globale all’Università di Bologna. Fa parte del Distretto Geoeducativo dell’ambulatorio JTH e del Laboratorio di Partecipazione Comunitaria.
Bibliografia
[1] Barbetta D., Consoloni M., Ghini L. (2022) La medicina generale e la comunità, SaluteInternazionale. Disponibile al link: https://www.saluteinternazionale.info/2022/09/la-medicina-generale-e-la-comunita/ (visualizzato in data 30/10/2022)
[2] Si veda ad esempio il report dell’Organizzazione Mondiale della Sanità del 2008. Disponibile al link https://apps.who.int/iris/bitstream/handle/10665/43949/9789241563734_eng.pdf?sequence=1&isAllowed=y (visualizzato in data 30/10/2022)
[3] Cicognani A., Consoloni C. (2022) Le Case della Comunità, SaluteInternazionale. Disponibile a: https://www.saluteinternazionale.info/2022/05/le-case-della-comunita/ (visualizzato in data 30/10/2022)
[4] Cicognani A., Consoloni C. (2022) Una Campagna per la riforma delle Cure Primarie, Gli Asini. Disponibile a: https://gliasinirivista.org/una-campagna-per-la-riforma-delle-cure-primarie/ (visualizzato in data 30/10/2022)
[5] Panajia A., Barbetta D. (in corso di pubblicazione) Medicina Generale “Julian Tudor Hart”: elementi di gestione a livello di prossimità orientati alla PHC. Sistema Salute.
[6] Al gruppo prendono attualmente parte: persone assistite dall’ambulatorio JTH; persone non assistite ma che risiedono sul territorio o che fanno parte dall’associazionismo locale; soci/e della Cooperativa Castello (la cooperativa che ha messo a disposizione i locali presso cui si trova oggi l’ambulatorio); due persone che fanno parte del Distretto Geoeducativo (un medico igienista e un’antropologa, co-facilitatori del percorso); i/le medici/he, le collaboratrici di studio e alcune delle infermiere che lavorano nel/con l’ambulatorio JTH.
fonte: saluteinternazionale.info