Attacco al SSN. Svegliamoci! di Marco Geddes da Filicaia

Se i Governi Conte/Draghi avevano di fatto eliminato la sanità pubblica dal tetto delle priorità, con il Governo Meloni la musica non cambia, la tendenza si conferma e, per alcuni aspetti, si accentua. Stanno scippando al popolo italiano una delle più importanti conquiste sociali – l’istituzione di un servizio sanitario pubblico, universale e gratuito – e nessuno protesta.

Il nostro sistema sanitario è arrivato stremato all’appuntamento con la pandemia. Debilitato da anni di continui tagli, di blocco degli organici e di attacchi al servizio pubblico (vedi A mani nude). E di riflesso si era levata una prepotente, unanime, richiesta «Mai più tagli al nostro Servizio sanitario nazionale!». Si era ipotizzato un investimento di 30 miliardi di euro per rimettere in piedi il settore che con la pandemia aveva dimostrato essere il punto di maggiore fragilità del sistema, quello dei servizi territoriali. Ma a questi, alla fine, arriveranno solo briciole dalla torta del PNRR e quasi niente per il personale. A proposito di personale, non è stato rimosso neppure il vincolo che, dal 2011, impediva alle Regioni di spendere più di quanto esse avevano speso nel 2004 (meno 1,4%). I Governi Conte/Draghi hanno di fatto eliminato la sanità pubblica dal tetto delle priorità.

Con il Governo Meloni la musica non cambia, la tendenza si conferma e, per alcuni aspetti, si accentua. Il disegno di legge sul bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2023 e sul bilancio pluriennale per il triennio 2023-2025 non comporta, come evidenziato da molteplici fonti fra cui l’Ufficio parlamentare di Bilancio, alcun potenziamento del servizio sanitario. Anzi, diciamolo chiaramente, questo provvedimento si colloca in uno scenario complessivo di smantellamento del nostro SSN; la metafora della rana bollita, cioè di un indebolimento lento affinché non emerga consapevolezza e contestazioni, sta oltrepassando velocemente (o lo ha già superato?) il punto di non ritorno[1]. Questo non solo perché il finanziamento nel 2023 in termini assoluti cresce solo di 526 milioni rispetto al 2022 (a fronte di un aumento di spesa, stimato dalla FIASO, di 500 milioni solo per il caro energia) [2], ma, per quanto si delinea per il successivo biennio, prevedendone una riduzione in termini assoluti, che porta il finanziamento al 6.1% rispetto al Pil (Tabella 1).

Tabella 1. Evoluzione della spesa sanitaria (milioni di euro)[3] – [NEDEF = Nota di Aggiornamento del Documento di Economia e Bilancio; DDLB = Disegno di Legge di Bilancio; FSN = Fondo Sanitario Nazionale].

Si conferma così la collocazione del nostro Paese nettamente al di sotto della media europea – fanalino di coda, assai distanziato, dei Paesi del G7 di cui fa parte – sia in termini di spesa pro capite che percentualmente rispetto al Pil. “Si ripropone quindi il gap mai risolto – afferma la Corte dei Conti – tra le risorse dedicate nel nostro Paese al sistema sanitario e quelle dei principali partner europei. Una differenza resa più grave dagli andamenti demografici; […] rilevanti i fabbisogni di personale riconducibili a carenze strutturali e, in prospettiva, alla riforma dell’assistenza territoriale”[4].

Il problema più drammatico per la tenuta del nostro SSN è rappresentato pertanto dalla carenza di personale medico e infermieristico. Per quest’ultima categoria di professionisti stiamo andando verso un record negativo a livello internazionale (6.6 x 1.000 abitanti rispetto a una media OCSE di 8.6) e con un rapporto infermieri – medici assolutamente anomalo (Figura 1).

Figura 1. Rapporto Medici – Infermieri nei Paesi UE e in alcuni Paesi extra UE

Si assiste inoltre a fughe di medici e infermieri verso la sanità privata e verso gli altri paesi, in particolare dai settori più usuranti (e che si prestano in misura minore ad attività libero professionale), quali terapie intensive e il pronto soccorso. Le ragioni sono molteplici: l’assoluta cecità dei governi degli ultimi decenni nel programmare la formazione dei professionisti; la ridotta progressione di carriera; l’età media avanzata; i livelli stipendiali fra i più bassi d’Europa sia per medici che per infermieri, anche rispetto a paesi quali Spagna, Polonia, e perfino, (extraeuropeo) la Turchia! A fronte della situazione di collasso dei pronto soccorso il Governo ha messo in atto un provvedimento urgente: un incremento della indennità di pronto soccorso che sarà attivato… nel 2024 (sic!).

Il Ministro Orazio Schillaci nei giorni scorsi ha presentato alle Commissioni di Camera e Senato (Affari sociali – Sanità e lavoro) le linee programmatiche del ministero della Salute. Un programma articolato e il Ministro ha avuto buon gioco (ma anche faccia tosta) nell’affermare – senza tenere conto delle previsioni 2024 e 2025 e della riduzione dei finanziamenti rispetto al Pil – che vi era una “inversione di tendenza, considerato che dal 2013 al 2019 il fondo sanitario è sempre stato definanziato da tutti i governi che si sono succeduti in quegli anni”.  Tuttavia è il quadro complessivo della politica di welfare che configura questa legge di bilancio come un tassello nella strategia di attacco al SSN, all’universalismo in sanità. Strategia contro la quale i partiti “di sinistra” attualmente all’opposizione non hanno certo eretto, durante il passato decennio adeguate difese, né sul piano normativo né su quello della cultura politica. Da ciò ne deriva una perdita di credibilità non facilmente e rapidamente recuperabile, incapaci di “approfittare” durante la “stagione pandemica” del diffuso favore della opinione pubblica che ha espresso grande apprezzamento verso il nostro Servizio sanitario nazionale e conseguente disponibilità a sostenerne il suo strutturale rafforzamento.

I fattori che, nei programmi delle attuali forze di maggioranza rappresentano fattori di indebolimento del welfare e della sua componente sanitaria, sono molteplici:

  1. L’autonomia regionale differenziatanormativa barattabile, nel quadro dei rapporti fra le forze politiche che sostengono il governo, con il presidenzialismo; si intravedono così norme di autonomia regionale che risultano eversive rispetto al Servizio sanitario nazionale: una maggiore autonomia legislativa, amministrativa ed organizzativa in materia di istituzione e gestione di fondi sanitari integrativi che darebbe l’avvio a una equivalenza fra pubblico e privato; la richiesta di contrattazione integrativa regionale per i dipendenti del SSN; una autonomia in materia di gestione del personale e di regolamentazione dell’attività  libero professionale mettendo così in atto una concorrenza fra Regioni con la fine della contrattazione collettiva a livello centrale e l’esistenza degli stessi sindacati su base nazionale.
  2. Il trattamento fiscale previsto dalla legge di Bilancio indebolisce ulteriormente gli incentivi a lavorare nel SSN, favorendo in misura rilevante forme professionali a partita IVA (per le quali si prevede una imposta forfettaria al 15% fino a 85.000€); in tale categoria rientrano anche i cosiddetti medici gettonisti che operano all’interno delle strutture ospedaliere!
  3. L’assenza di qualsiasi ipotesi di ridefinizione della formazione dei Medici di medicina generale e del loro rapporto con il SSN, finalizzato a un loro adeguato inserimento – anche in termini convenzionali – nei Distretti e nelle case di Comunità.
  4. L’evidente intento di ridiscutere il PNRR su alcuni punti specifici, non solo e non tanto per le difficoltà connesse all’incremento dei costi di realizzazione delle strutture previste (Case e Ospedali di Comunità), ma per la diffusa opposizione alla loro realizzazione, come dimostra la dichiarazione del Sottosegretario alla sanità Marcello Gemmato al congresso SIMMG: “Le Case di Comunità non soddisfano l’esigenza di sanità territoriale di cui oggi abbiamo bisogno”; affermazione che  ha subito trovato l’approvazione del segretario generale della Fimmg.

In tale contesto i LEA (Livelli Essenziali di Assistenza) aggiornati con Dpcm del 19/1/2017 non rappresentano certo una garanzia di accessibilità e uguaglianza per i cittadini. Sussistono infatti una serie di problematiche  nell’iter di applicazione: il controllo effettuato dal Comitato permanente per la verifica dell’erogazione dei Lea prevede 88 indicatori, ma il monitoraggio avviene solo su 22; molti Lea non sono operativi (ad esempio nella assistenza specialistica ambulatoriale e protesica) mancando  il decreto interministeriale che definisce le tariffe aggiornate; le Regioni con piani di rientro non possono impiegare risorse proprie per garantire prestazioni aggiuntive che ritengono prioritarie.

Tuttavia il problema fondamentale consiste non nel “cartaceo diritto”, ma come, dove e quando le prestazioni vengono erogate. In altri termini di fronte a un indebolimento progressivo del sistema pubblico (norme inadeguate e sottofinanziamento) con una conseguente crescita della sanità  privata e ad una ulteriore frammentazione del SSN (Autonomia differenziata) i Lea sono destinati ad essere un mero elenco di diritti esigibili di prestazioni sanitarie non disponibili.

Malinconici, spaventati, rassegnati: è il ritratto degli italiani che emerge dal Rapporto Censis del 2022Una popolazione sempre più povera e più vecchia, preoccupata sia dal presente che dal futuro ma restia a cambiare. Cresce il malcontento per le diseguaglianze sociali, ma non si registrano fiammate conflittuali o intense mobilitazioni collettive: invece di attivarsi, gli italiani si chiudono. E come non scendono in piazza, non vanno nemmeno a votare: l’astensionismo elettorale registratosi quest’anno è il più ampio nella storia della Repubblica.

Anche per questo, la tecnica della rana bollita citata in precedenza sta funzionando: stanno scippando al popolo italiano una delle più importanti conquiste sociali – l’istituzione di un servizio sanitario pubblico, universale e gratuito – e nessuno protesta.

 Qualcuno, in verità, protesta. Il 15 dicembre è prevista la mobilitazione di tutti i sindacati medici che manifesteranno a Roma contro: 

  • il definanziamento ulteriore della sanità pubblica previsto nei prossimi anni, che costringerà molti cittadini a doversi pagare le cure di tasca propria e ne spingerà tanti altri nel limbo già oggi molto affollato di coloro che non possono pagarsele;
  • le briciole concesse dalla legge di bilancio 2023 al personale della sanità pubblica;
  • il disinteresse della politica nei confronti degli “angeli” e degli “eroi” che hanno evitato al Paese una caporetto sanitaria ed economica;
  • l’assenza di un piano programmatico di riforma e di rilancio complessivo del SSN da parte delle forze politiche che superi la spinta alla privatizzazione;
  • la regionalizzazione delle cure e la creazione del nuovo mercato sanitario tra nord e sud.

Nell’ottica di un risveglio delle coscienze esce in questi giorni al cinema un forte film di denuncia “C’era una volta in Italia. Giacarta sta arrivando”. Il film parte da Cariati, in Calabria, dove un manipolo di ribelli di ogni età decide di protestare come nessuno ha mai osato fare, occupando l’ospedale con l’obiettivo di ottenerne la riapertura. Nel frattempo alcuni dei più importanti intellettuali, medici, esperti e attivisti italiani e internazionali (fra cui Michael Marmot, Kean Loach e Roger Waters) ci svelano le vere responsabilità locali e globali dell’attacco alla salute pubblica.

Insomma, non lasciamoci bollire come le rane.

[1] Nerina Dirindin, La metafora della rana bollita: schizziamo fuori dalla pentola prima che sia troppo tardi, Epidemiologia& Prevenzione, 2022, 46 (3) maggio – giugno, p.121-122

[2] https://www.dire.it/15-03-2022/715546-caro-energia-500-milioni-in-piu-di-spesa-per-asl-e-ospedali/

[3] Ufficio Parlamentare sul Bilancio. Audizione nell’ambito dell’esame del DDL di bilancio per il 2023 – Sintesi, Dicembre 2022

[4] Corte dei Conti. Audizione sul bilancio di previsione dello stato per l’anno finanziario 2023 e bilancio pluriennale per il triennio 2023-2025 (a.c. 643) . Dicembre 2022.

fonte: saluteinternazionale.info

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