Vaccini, sentenza salutare (ma non basta). di Gavino Maciocco

I No-Vax perdono i ricorsi. La Consulta: giusto l’obbligo di vaccino. Il Governo, spiazzato, non ha un piano per affrontare la pandemia. Il sottosegretario Gemmato e il segretario della FIMMG Scotti concordi contro le Case della Comunità.

La Corte Costituzionale, respingendo tutti i ricorsi, ha stabilito che l’obbligo della vaccinazione anti-COVID introdotto dal legislatore durante il periodo pandemico non era né irragionevole, né sproporzionato, ma è stato legittimamente adottato a tutela della salute di tutti i cittadini.  C’è voluta la sentenza della Consulta (del 1° dicembre 2022) per mettere un punto fermo su una questione – l’indubbia efficacia del vaccino anti-COVID – su cui, con una monumentale quantità di evidenze, la comunità scientifica internazionale si era da mesi espressa.

La Figura 1 ci aiuta ragionare sull’efficacia sia dei vaccini, che delle politiche sanitarie messe in campo nel corso della pandemia.

Figura 1.  Mortalità cumulativa da COVID-19 per milione di abitanti, paesi selezionati. Per mortalità cumulativa si intende la somma di tutti i decessi da COVID-19 dall’inizio della pandemia, 30 gennaio 2020, all’ultima data di osservazione (1° dicembre 2022).

L’efficacia del vaccini.  

Si noti nella Figura 1 l’andamento della curva della Bulgaria, fino all’estate del 2021 condivide le posizioni di testa nella mortalità cumulativa, ma subito dopo spicca il volo e si distacca dal gruppo arrivando a raddoppiare il livello di mortalità cumulativa (6.000 morti per milione rispetto ai 3.000 dei leader maggiori della classifica:  Brasile, USA, UK e Italia). Il motivo del distacco (e dell’esplosivo eccesso di mortalità) della Bulgaria rispetto agli altri paesi sta nell’abissale, differente livello di copertura vaccinale (tenendo presente che le vaccinazioni sono state avviate all’inizio del 2021  e hanno raggiunto livelli soddisfacenti di copertura nella primavera/estate dello stesso anno). Vedi ad esempio nella Tabella 1 il confronto tra Bulgaria e gli altri 4 paesi. Il terribile picco di mortalità che si registra in Bulgaria a partire dall’estate del 2021 è dovuto alla diffusione della variante Delta che ha trovato il paese indifeso a causa dell’insignificante livello di copertura vaccinale.

Tabella 1. Percentuale di popolazione coperta da un ciclo completo di vaccinazione/ da almeno una dose di vaccinazione. Brasile, Italia, USA, UK e Bulgaria. Fonte: Our World in Data.

L’efficacia delle politiche sanitarie

Con un occhio ancora alla Figura 1, Brasile, Stati Uniti, Regno Unito e Italia sono – tra i grandi – i paesi con il più elevato numero di decessi al mondo dall’inizio della pandemia: intorno ai 3.000 morti per milione di abitanti (rispetto ai 1.900 della Germania, ai 1.200 del Canada, agli 800 di Cuba e ai livelli minori, inferiori ai 500, di gran parte dei paesi asiatici).

Brasile, Stati Uniti e Regno Unito, con governi sovranisti di destra, hanno portato avanti politiche sanitarie negazioniste. Brasile e Stati Uniti nella figura dei loro stessi Presidenti, Bolsonaro e Trump, decisamente ostili a ogni misura di contenimento della pandemia, dall’uso delle mascherine ai lockdown, inclini a fornire al pubblico ricette tragicamente stravaganti e assurde per la cura dell’infezione. Il Regno Unito è un caso un po’ diverso, anche se gli effetti sono stati simili; in questo caso infatti i negazionisti stavano nell’inner circle di Boris Johnson (come documentato dalla coraggiosa serie televisiva Sky This England). L’enorme carico di morti degli USA (ben oltre  il milione), del Brasile (689 mila) e del Regno Unito (212 mila) è in larga parte conseguenza delle scelte e dei comportamenti di chi era al timone del governo.

L’eccesso di mortalità da COVID-19 in Italia ha altre motivazioni e radici. All’inizio ha certamente pesato l’effetto sorpresa (essere cioè il primo paese europeo ad essere invaso dal coronavirus, primo focolaio il 23 febbraio 2020), la mancanza di un piano pandemico, l’impreparazione, l’assoluta carenza dei mezzi di protezione individuale, la mancata creazione della zona rossa nella Val Seriana. Ma il 5 marzo a seguito del rapido aggravamento della situazione epidemiologica vengono chiuse scuole e università e tra l’11 e il 22 marzo vengono adottate misure sempre più stringenti di lockdown. Il picco di mortalità (prevalentemente concentrato in Lombardia) si raggiunge agli inizi di aprile con una media giornaliera di 800 decessi. Il lockdown funziona: da metà maggio, a seguito della netta riduzione del numero dei casi di contagio e di morti, vengono progressivamente allentate le chiusure. Da giugno in poi viene riaperto tutto, comprese discoteche e sale da ballo. Ai primi di agosto – complice la stagione estiva e vacanziera – pareva che la pandemia fosse risolta. Ma è un’illusione di breve durata: nella seconda metà di agosto si osserva la ripresa dei casi, in larga parte originati proprio dagli affollati ambienti delle discoteche, che sono infatti le prime a richiudere. È l’inizio di una seconda ondata di contagi, e anche di una terza, che porterà a nuove chiusure e a un elevatissimo di morti: nel periodo 27 ottobre 2020-21 aprile 2021 si conteranno 79 mila decessiLa più elevata concentrazione di morti di tutto il nostro periodo pandemico, che registra al momento 182 mila decessi. Nella prima ondata dal 23 febbraio 2020 al 21 giugno 2020 i decessi furono 34 mila, di cui 16 mila solo in Lombardia.

l nostro sistema sanitario è arrivato stremato all’appuntamento con la pandemia. Debilitato da anni di continui tagli, di blocco degli organici e di attacchi al servizio pubblico. Di tutto ciò abbiamo ripetutamente scritto su questa rivista online e – se qualcuno vuole rinfrescarsi la memoria – ecco i link a sei post pubblicati nel corso del 2020: A mani nudeLettera aperta al Ministro della saluteUn’altra medicina di famigliaImparare dalla pandemiaMedicina di famiglia, questione nazionaleSoli con il saturimetro.

Tutta la filiera assistenziale e dei servizi fu gravemente danneggiata dall’attacco concentrico al SSN, dai servizi di prevenzione alle terapie intensive.  Ma fin dai primi giorni della pandemia risultò evidente che il settore più fragile e compromesso era quello delle cure primarie e della medicina generale.

La rete dei medici di base e dei distretti, cruciale nell’intercettare un paziente all’esordio dei sintomi ed evitare che degenerino, è stata smontata nel corso degli anni – scrivono Milena Gabanelli e Milena Ravizza nell’articolo del Corriere “Perché tanti morti in Lombardia?” del 15 aprile 2020 -. L’arrivo in ospedale di casi già troppo gravi scandisce i racconti delle cronache lombarde degli ultimi 50 giorni. I medici di base sono lasciati andare allo sbaraglio per settimane intere: chi segue scrupolosamente i pazienti lo fa rischiando la vita (e spesso rimettendocela), gli altri lasciano i malati a loro stessi. “. Se nella prima ondata della pandemia tutta l’attenzione è concentrata su ciò che succede in Lombardia (con la stampa internazionale che si chiede “com’è possibile che questa carneficina avvenga nella regione più ricca d’Italia?”), nella seconda ondata, più cruenta della prima (pur senza l’effetto sorpresa e con mascherine a disposizione di tutti) il problema della crisi strutturale delle cure primarie e della medicina generale si ripropone a livello nazionale.

Alla fine di ottobre 2020 presso il Ministero della salute viene raggiunto un accordo con i sindacati dei medici di famiglia per l’esecuzione di tamponi rapidi COVID presso gli studi dei professionisti (con un compenso di 18 € a tampone). Un accordo che resterà lettera morta perché – come spiegherà il presidente dell’Ordine dei medici di Milano – “Non so cosa verrà fatto qui in Lombardia, come ci si organizzerà, ma posso assicurare che in contesti come gli studi nei condomini, specie in realtà urbane come Milano e hinterland o Brescia, questa cosa è semplicemente impossibile”. L’accordo resterà lettera morta in tutta Italia perché – sia che si tratti di studi situati all’interno di civili abitazioni, o ricavati da fondi commerciali, o di locali annessi alle farmacie – la stragrande maggioranza delle strutture dei medici di famiglia italiani non garantisce le necessarie condizioni di sicurezza in corso di evento epidemico, dove è necessario prevedere percorsi separati tra pazienti con una sospetta malattia contagiosa e gli altri pazienti. Una carenza strutturale molto diffusa che è figlia di un’arretratezza organizzativa e culturale della medicina generale altrettanto diffusa. “Il medico il più delle volte lavora da solo e va in tilt, solo alcuni gruppi associati possono permettersi un segretario e un infermiere. Il punto debole è proprio l’assenza di un team professionale”, ammette Claudio Cricelli,  presidente della Società italiana di medicina generale (Simg).

Per cercare di sanare questa situazione e per rafforzare l’intero sistema dei servizi territoriali il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) ha destinato 2 miliardi di euro per la creazione di nuove strutture edilizie per le cure primarie e per la medicina generale: le Case della Comunità. Intese quale “luogo fisico e di facile individuazione al quale i cittadini possono accedere per bisogni di assistenza sanitaria, socio-sanitaria a valenza sanitaria e il modello organizzativo dell’assistenza di prossimità per la popolazione di riferimento. Nella Casa della Comunità lavorano in modalità integrata e multidisciplinare tutti i professionisti per la progettazione ed erogazione di interventi sanitari e di integrazione sociale” (DM 77, 23 maggio 2022).

Come ampiamente illustrato nel post “Verso le Case della Comunità” i due miliardi di euro investiti dal PNRR non sono la soluzione a tutti i problemi dei servizi territoriali (non risolvono ad esempio i problemi della carenza del personale), ma sono un segnale positivo e concreto verso la direzione giusta (peraltro ampiamente sperimentata con le Case della Salute, dove i medici di famiglia hanno potuto gestire la pandemia – eseguendo visite, tamponi e vaccinazioni – in condizioni di sicurezza).

Il governo Meloni non si è ancora formalmente espresso sulla realizzazione degli impegni del PNRR sulla sanità e in particolare sulle Case della comunità.  In attesa, dobbiamo prendere atto della posizione espressa dal Sottosegretario alla sanità Marcello Gemmato, di professione farmacista e responsabile sanità di FdI, secondo cui “Le Case di Comunità non soddisfano l’esigenza di sanità territoriale di cui oggi abbiamo bisogno. Per il sottosegretario la soluzione è quella di puntare sulla rete dei medici di famiglia e delle farmacie che sono già presenti sul territorio e sono strutturati e sono già nella disponibilità del Ssn e per questo non si capisce perché bisogna creare dei duplicati come le Case della Comunità con tutte le criticità che hanno”. Gli fa eco Silvestro Scotti, segretario  generale della Fimmg: “Bene Gemmato su Case della Comunità. La riforma dell’assistenza deve partire dai professionisti e non dalle strutture. La possibilità che la prossimità si mantenga attraverso l’evoluzione del rapporto tra farmacisti e medici di medicina generale, già prevista da norme di legge è il primo mattone per costruire la riforma della medicina territoriale”.

La rappresentazione del medico e del farmacista che si scambiano favori in vista di un reciproco vantaggio commerciale sembrava essere una caricatura, retaggio del secolo scorso. Invece no.

fonte: saluteinternazionale. info

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