Chi paga l’Irpef. di Bruno Anastasia

Il lavoro dipendente genera mediamente il 55 per cento del gettito Irpef, mentre il contributo dei pensionati è in netta crescita, ora attorno al 30 per cento. Scende invece il gettito da lavoro indipendente, per effetto dei regimi fiscali agevolati.

La riforma mancata

L’Irpef è la principale imposta diretta e la principale fonte di entrate tributarie per lo stato italiano – quasi 200 miliardi nel 2021, un peso sul Pil attorno al 10 per cento – oggetto di promesse continue di revisione per ridurla (per incentivare la crescita) o per renderla più giusta o per perseguire – puntando in alto – entrambi gli obiettivi.

Al di là delle bellicose intenzioni, metter mano all’Irpef è tutt’altro che semplice, come è apparso chiaro anche nella scorsa legislatura. Si era lavorato a una riforma fiscale importante, anche se non stravolgente l’impianto esistente, ma la delega fiscale, passata alla Camera il 25 giugno 2022, non è stata approvata tempestivamente dal Senato e quindi tutto è naufragato, salvo le parzialissime anticipazioni già approvate con la legge di bilancio 2022 – in sostanza il passaggio da 5 a 4 aliquote, alcune conseguenti modifiche alle detrazioni e poco altro.

Come si forma il gettito

In attesa di capire dove si andrà a parare in questa legislatura, è opportuno considerare alcune recenti tendenze nella formazione del gettito Irpef.

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II Ministero Economia e Finanze ha elaborato, a partire dalle singole dichiarazioni individuali dei redditi, una ripartizione del gettito dell’imposta secondo la fonte di reddito per ciascun anno dal 2000 al 2018. È possibile aggiornare tale ripartizione fino all’anno di imposta 2020 utilizzando i dati delle statistiche fiscali sui contribuenti distinti per tipologia di reddito prevalente. Per quanto i due criteri di ripartizione non coincidano esattamente, conducono a risultati analoghi e confrontabili, come si evidenzia in tabella 1 e grafico 1 (per il 2018 sono esposti i risultati ottenuti con entrambe le metodologie).

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Le tendenze di fondo risultano le seguenti per le tre principali tipologie di reddito che generano quasi tutto il gettito dell’imposta (altre fonti – capitale, fabbricati – generano una quota di Irpef sempre inferiore al 4 per cento nell’ultimo decennio):

  1. il lavoro dipendente (inclusi i redditi assimilati al lavoro dipendente) genera mediamente il 55 per cento dell’Irpef, oscillando nei vent’anni considerati in una banda stretta tra il 54 e il 56 per cento: il suo contributo era stabilmente declinato nella fase di crisi post 2008 mentre era ritornato a crescere a partire dal 2014; la contrazione del 2020 è evidentemente ascrivibile alla pandemia;
  2. il contributo dei pensionati evidenzia un trend nettamente crescente: se all’inizio del secolo generavano il 20 per cento dell’Irpef, ora siamo attorno al 30 per cento; ciò è ascrivibile a diversi fattori: fino al 2011 ha contato l’incremento del numero di pensionati; successivamente è stato più rilevante l’incremento medio dei redditi pensionistici e la loro resilienza al ciclo economico;
  3.  il contributo del lavoro indipendente è continuamente sceso: prima della crisi del 2008 valeva il 18-19 per cento dell’Irpef totale, ora vale il 12 per cento a seguito di un’ulteriore contrazione rilevata negli anni più recenti.

In parte, il declino del lavoro indipendente è ricollegabile alle dinamiche occupazionali specifiche che lo segnalano in contrazione ormai da vent’anni: secondo Istat, i lavoratori indipendenti superavano i 6 milioni all’inizio del 2005 e da allora sono diminuiti di oltre un milione di unità. Ma se ci concentriamo sulle tendenze recenti c’è anche dell’altro.

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Il ruolo dei regimi fiscali agevolati

Tra il 2018 e il 2020 i lavoratori indipendenti – così identificati sulla base del reddito prevalente – sono scesi da 3,2 milioni a 2,4 milioni, quasi 800 mila in meno, pari a un quarto del totale (tabella 2). Tale dinamica ha interessato sia gli imprenditori che i lavoratori autonomi che i partecipanti in società. Nel contempo, l’Irpef generata dai lavoratori indipendenti è diminuita di oltre 4 miliardi, passando da quasi 24 miliardi a 19,5. Ciò nonostante l’incremento dell’Irpef media pagata da ciascun contribuente, salita infatti da 7.400 a 8.000 euro. La platea risulta dunque essersi fortemente selezionata: meno contribuenti con maggior reddito medio e maggior imposta media.

La ragione di questo andamento è riconducibile allo scivolamento verso i regimi fiscali agevolati e, segnatamente, verso il regime forfetario, allargato nel 2019 ai redditi fino a 65 mila euro. I contribuenti approdati a tali regimi sono aumentati di quasi 600 mila unità tra il 2018 e il 2020. Il gettito dell’imposta sostitutiva – che sostituisce non solo l’Irpef nazionale ma anche le addizionali regionali e comunali nonché l’Iva – è pari a 2,3 miliardi (tabella 3).

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Dunque, anche tenendo conto del (modesto) contributo erariale dei contribuenti in regime agevolato, il gettito Irpef del complesso del lavoro indipendente nel triennio 2018-2020 risulta comunque diminuito significativamente e non solo per l’effetto della pandemia.

Del resto anche le analisi presentate nella recente Relazione sull’economia non osservata che accompagna la Nadef mettono in risalto la rilevanza del “salto” dal regime ordinario al regime forfetario: nel 2019 vi ha aderito il 74 per cento dei contribuenti considerati come platea di riferimento (era il 36 per cento nel 2018), quota che potrebbe ancora allargarsi perché non tutti i contribuenti con ricavi inferiori a 65 mila sono già transitati. Inoltre. l’analisi statistica – seppur preliminare a maggiori approfondimenti – sugli effetti della soglia di 65 mila euro “sembra confermare per il 2019 un effetto di autoselezione dei contribuenti con ricavi e compensi al di sotto della soglia massima di 65 mila euro al fine di beneficiare dell’agevolazione prevista dal regime forfetario. Tale risultato può dipendere da una riduzione dell’attività produttiva da parte dei contribuenti oppure da una tendenza a sotto-dichiarare i ricavi pur di non superare la soglia dei 65 mila euro”.

Possiamo concludere che il paese si sta affidando troppo significativamente ai pensionati?

fonte: la voce.info

Bruno Anastasia

anastasiaBruno Anastasia si occupa di analisi del mercato del lavoro. Ha diretto fino al 2019 l’Osservatorio sul mercato del lavoro regionale di Veneto Lavoro. Dal 1994 al 2001 è stato presidente del Coses di Venezia e dal 2001 al 2006 presidente dell’Ires Veneto. Ha insegnato Economia del lavoro all’Università di Trieste, Corso di laurea in Scienze della Formazione. Dal 2000 al 2006 ha collaborato con il Gruppo nazionale di monitoraggio delle politiche del lavoro istituito presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Dal 2007 al 2009 ha collaborato all’attività della Commissione di Indagine sul lavoro di iniziativa interistituzionale Cnel-Camera dei Deputati-Senato (Commissione Carniti).

 

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