Dall’Indice sull’uguaglianza di genere 2022 emergono in modo chiaro gli effettivi negativi generati dalla pandemia sulla condizione delle donne in tutta Europa. Anche in Italia i progressi riguardano solo la sfera del potere, grazie a leggi specifiche.
L’Indice sull’uguaglianza di genere 2022
L’Indice sull’uguaglianza di genere 2022 (Gender Equality Index 2022), recentemente pubblicato dall’European Institute for Gender Equality (Eige) e aggiornato per monitorare lo stato dell’uguaglianza di genere in Europa, evidenzia chiaramente gli effetti negativi che la pandemia ha generato sulla condizione delle donne. L’Indice elabora dati raggruppati in sei domini di vita degli uomini e delle donne: lavoro, denaro, conoscenza, tempo, potere e salute, ed è composto da 31 indicatori. Riflette un punteggio su una scala da 1 a 100, in cui 1 corrisponde a una totale disparità e 100 alla totale parità di genere. Quest’anno, il punteggio medio dell’Unione europea si attesta sui 68,6 punti. Dal momento che molti indicatori si basano su dati 2020, la lieve crescita rispetto al risultato dello scorso anno (+ 0,6 punti) può senz’altro essere stata frenata della pandemia. In generale, i passi in avanti fatti e il lento percorso di avvicinamento agli obiettivi europei (solo +5,5 punti dal 2010), nonché a quelli dell’Agenda 2030, non forniscono i segnali positivi auspicati.
Entrando nel merito dei singoli domini a livello europeo, segnali piuttosto negativi arrivano da quello del lavoro, dove il basso tasso di partecipazione femminile risente fortemente di lunghi periodi di assenza dal mercato del lavoro con evidenti effetti sui percorsi di carriera e sulle prospettive di pensionamento. Subiscono una battuta di arresto, se non un arretramento, i già bassi tassi di partecipazione alle attività formative (formali e non formali) che assumono toni ancora più preoccupanti, se messi in rapporto con le nuove sfide in termini di competenze che la transizione verde e digitale richiedono e su cui l’Europa sta investendo. La situazione non sembra essere migliore neanche nel dominio della salute dove la pressione esercitata dalla pandemia ha ulteriormente ridotto l’accesso ai servizi, ancora più difficile per la parte di popolazione femminile più fragile (anziane, migranti). L’unico dominio che ha registrato una crescita in termini di pari opportunità è quello legato al potere. In questo caso, la presenza delle donne nei processi decisionali è significativamente cresciuta. Ciò anche grazie al positivo effetto prodotto dalle quote introdotte per legge nei diversi stati membri, risultato che evidenzia l’importanza della cosiddetta direttiva “Women on boards”, approvata dal Consiglio dell’Ue il 17 ottobre 2022 e che mira a promuovere una rappresentanza di genere più equilibrata nei consigli di amministrazione delle società quotate in tutta l’Ue.
La situazione in Italia
L’Italia non si distacca da questo quadro complessivo. Con un punteggio di 65 punti su 100, il nostro paese si colloca al quattordicesimo posto nell’Unione europea, con 3,6 punti in meno rispetto alla media dell’Ue.
Figura 1
Come per la maggior parte degli altri paesi europei, anche per l’Italia il mantenimento delle posizioni e la leggera crescita registrata si deve principalmente al dominio del potere, dove il punteggio migliora di 4,7 punti rispetto allo scorso anno (+ 31,7 punti dal 2010). La “buona performance” va attribuita principalmente ai sottodomini del processo decisionale politico (+6 punti) e del processo decisionale sociale (+5,2 punti). Infatti, grazie all’introduzione delle quote di genere nel nostro Parlamento nazionale (40 per cento dei posti nelle liste per uno dei due generi, legge 163/2017), la presenza femminile nei processi decisionali politici è notevolmente aumentata negli ultimi anni. Anche per quanto riguarda le quote nei consigli di amministrazione delle imprese (legge Golfo-Mosca, n. 120/2011), il nostro paese ha visto un cambiamento molto positivo: dal 2010 nel sottodominio decisionale economico, il punteggio dell’Italia è aumentato di 48,9 punti.
Figura 2
Vale la pena notare, inoltre, che a seguito delle ultime elezioni politiche, l’Italia vede per la prima volta una donna ricoprire la carica di presidente del Consiglio. Tuttavia, altri segnali mostrano come i risultati raggiunti siano estremamente fragili. Nel Parlamento appena eletto la presenza di donne è inferiore alla legislatura precedente (circa il 31 per cento contro il 34 per cento), così come è diminuita la presenza di donne nel neonato governo Meloni rispetto ai due esecutivi precedenti.
La lieve crescita del punteggio dell’Indice sull’uguaglianza di genere 2022 non deve comunque fare dimenticare che l’Italia è ancora stabilmente all’ultimo posto in Europa nel dominio del lavoro, con tassi di occupazione femminile al mercato del lavoro fra i più bassi in Europa. Così come persistono i divari salariali, con una differenza nelle retribuzioni mensili di circa il 16 per cento inferiore per le donne rispetto agli uomini.
Le responsabilità di cura
Come ogni anno, accanto al calcolo dell’Indice, Eige conduce approfondimenti tematici che in questa occasione erano volti ad analizzare il peso delle responsabilità di cura delle donne e degli uomini durante la pandemia. La ricerca, condotta nell’estate del 2021, rivela che il lavoro di cura ha particolarmente pesato sulle donne rispetto agli uomini (39 per cento delle donne ha speso almeno 4 ore giornaliere per la cura dei/delle figli/e, contro il 19 per cento degli uomini). Inoltre, il 48 per cento delle donne, contro il 29 per cento degli uomini, ha dichiarato di essersene presa cura completamente o per lo più da sola nel corso della pandemia.
L’Italia ha inserito nella propria strategia nazionale per la parità di genere 2021-2026 l’aumento di cinque punti nel ranking dell’Indice sull’uguaglianza di genere: i dati raccolti per ciascun dominio evidenziano che l’obiettivo, oltre a rimanere ancora lontano, appare pericolosamente squilibrato. I passi in avanti sembrano infatti riguardare una ristretta parte della popolazione femminile, laddove invece le segregazioni nel mercato del lavoro, gli squilibri nell’educazione, nella salute e nella conciliazione lavoro-famiglia sottolineano, se non peggiorano, i vecchi gender gap.
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fonte: lavoce.info