Telemedicina e responsabilità civile in ambito sanitario: gli aspetti giuridici. di Mirko Faccioli

Le scarse conoscenze relative ai profili giuridici della telemedicina, in particolare delle responsabilità cui possono andare incontro i medici e le strutture sanitarie che la praticano, costituisce uno dei principali ostacoli alla concreta diffusione di questa modalità di erogazione delle cure. In realtà, non vi è dubbio che la telemedicina rientra a tutti gli effetti nell’ambito dell’attività sanitaria ed è quindi sottoposta alle disposizioni legislative (nonché deontologiche) che riguardano quest’ultima, da quelle generali contenute nel Codice civile fino a quelle specificamente dettate per i professionisti sanitari dalla legge n. 24/2017.

La questione è capire se e fino a che punto tali disposizioni, finora studiate e sperimentate nei tribunali con esclusivo riguardo alla medicina tradizionale, si possano adattare al nuovo fenomeno delle cure prestate a distanza, vale a dire in situazioni nelle quali il paziente e un professionista (o due o più professionisti) non sono fisicamente presenti nello stesso luogo e interagiscono grazie all’utilizzo delle tecnologie dell’informatica e della comunicazione.

La responsabilità del medico

Iniziando dalla responsabilità individuale del professionista sanitario, occorre innanzitutto riconoscere che, per quanto la telemedicina possa incrementare l’accuratezza e l’efficacia del suo intervento, anche in questo ambito dovrebbe rimanere ferma la tradizionale concezione che considera l’obbligazione del medico un’obbligazione “di mezzi” e non “di risultato”, vale a dire un’obbligazione che non impegna il medico a garantire gli obiettivi della guarigione/miglioramento delle condizioni di salute del paziente, ma soltanto a porre in essere un’attività adeguata a raggiungerli in quanto conforme al parametro della diligenza professionale enunciato dall’art. 1176, comma 2, cod. civ. e alle c.d. linee guida e buone pratiche clinico-assistenziali menzionate dall’art. 5 della legge n. 24/2017.

Sotto un secondo punto di vista, è necessario chiarire se l’impiego della telemedicina comporti il ricorrere di quei «problemi tecnici di speciale difficoltà» in presenza dei quali l’art. 2236 cod. civ. limita ai soli casi di dolo o colpa grave la responsabilità del prestatore d’opera professionale. Se una risposta positiva al quesito potrebbe desumersi dalla considerazione della complessità, dell’innovatività e della sofisticatezza delle tecnologie utilizzate in telemedicina, dev’essere rilevato che, secondo la nostra giurisprudenza, il presupposto di applicazione della norma in esame dev’essere sempre effettivamente riscontrato nel caso concreto, non essendo sufficiente, per il suo operare, la potenziale prospettabilità di problemi di speciale difficoltà desunta da categorie astratte e predefinite: ciò significa, ripudiando ogni automatismo, che le prestazioni sanitarie eseguite con la telemedicina potranno o meno comportare l’applicazione dell’art. 2236 cod. civ. a seconda delle caratteristiche del caso concreto sottoposto all’attenzione del magistrato.

Un altro aspetto problematico, conseguente alla partecipazione di una pluralità di operatori con diverse specializzazioni che la telemedicina frequentemente comporta, attiene alla individuazione e alla ripartizione delle responsabilità dei vari professionisti coinvolti. Esclusa l’attendibilità di una soluzione che facesse semplicisticamente ricadere l’intera responsabilità solamente sul medico che ha operato a contatto diretto con il paziente, può qui farsi utilmente riferimento alle regole elaborate con riguardo all’attività sanitaria svolta in équipe: in forza del c.d. principio di affidamento, quindi, ogni sanitario sarà di regola chiamato a rispondere solamente della propria condotta, con l’eccezione delle ipotesi in cui egli non ponga rimedio ad errori altrui evidenti e non settoriali, rilevabili ed emendabili con l’ausilio delle comuni conoscenze scientifiche del professionista medio, oppure rivesta, all’interno dell’équipe, un ruolo apicale comportante un dovere di controllo, direzione e coordinamento dell’operato dei colleghi.

Nelle ipotesi, poi, in cui il cattivo esito delle cure sia dovuto a inadeguatezza o malfunzionamento dei macchinari e/o dei servizi telematici impiegati nella telemedicina, un addebito di responsabilità potrà essere mosso, oltre che ai soggetti che hanno realizzato e fornito gli apparati e le tecnologie di cui si discute, anche in capo al medico che conosceva, o avrebbe potuto conoscere con una verifica eseguita secondo l’ordinaria diligenza professionale, il deficit dei mezzi tecnici a propria disposizione.

Un ultimo profilo di responsabilità può, infine, insorgere in capo al sanitario che abbia deciso di fare ricorso alla telemedicina per approcciare un caso clinico nel quale sarebbe stato invece preferibile il trattamento tradizionale e, in conseguenza di tale scelta, abbia cagionato al paziente un pregiudizio che una prestazione erogata in presenza avrebbe consentito di evitare: in caso di dubbio fra le due alternative si dovrebbe, infatti, comunque prediligere quest’ultima ed evitare l’impiego della telemedicina, specialmente qualora si tratti di esaminare il malato al fine di formulare la diagnosi.

La responsabilità della struttura sanitaria

Così come nella medicina tradizionale, anche in telemedicina la responsabilità della struttura sanitaria si articola lungo due direttrici.

In virtù della prima, la struttura risponde della malpractice degli esercenti la professione sanitaria dei quali si è avvalsa per erogare prestazioni di telemedicina, anche se questi sono stati scelti dal paziente e sebbene non siano dipendenti della struttura stessa, ma fatto sempre salvo l’assoggettamento del medico alle azioni di rivalsa e di responsabilità contabile per danno erariale nell’ambito della pubblica amministrazione.

Nel caso in cui il danno subito dal paziente sia riconducibile all’inadeguatezza o al malfunzionamento dei mezzi tecnici impiegati nell’esercizio della telemedicina, la struttura potrebbe poi andare incontro, oltre e anche a prescindere dalla responsabilità indiretta per le condotte del personale medico, ad una diretta e autonoma responsabilità per c.d. difetto di organizzazione discendente dall’inadempimento dell’obbligo di predisporre un contesto organizzativo di livello adeguato nel quale accogliere i malati. In questo scenario, gli enti nosocomiali sono infatti tenuti a sottoporre il proprio equipaggiamento tecnico sia a generali procedure periodiche di controllo e di manutenzione sia a verifiche ad hoc prima di ogni concreto utilizzo, la loro responsabilità rimanendo esclusa soltanto per i danni dovuti a difetti di fabbricazione e funzionamento non rilevabili con un’ispezione diligente: in quanto esercente un’attività imprenditoriale, la struttura sanitaria (sia pubblica che privata) sopporta infatti il rischio dell’inadempimento derivante da tutte le anomalie che si possano verificare nell’ambito del proprio apparato organizzativo fino al limite dell’impossibilità sopravvenuta non imputabile.

Il nesso causale tra l’errore medico e il danno subito dal paziente

Nella materia che ci occupa, potrebbe presentarsi particolarmente complessa la ricostruzione del nesso eziologico fra l’errore medico e il danno subito dal paziente, essendo plausibile che emergano difficoltà di non poco momento nello stabilire se il danno in discorso sia stato o meno cagionato da una inadeguatezza o da un malfunzionamento dei mezzi tecnici impiegati per le cure. Nella telemedicina, in altri termini, parrebbe potersi presentare anche con una certa frequenza il problema probatorio della c.d. causa ignota, argomento che la nostra giurisprudenza affronta con l’indirizzo secondo cui il paziente è tenuto a provare, anche attraverso presunzioni, il nesso di causalità materiale tra la condotta del medico e l’evento dannoso, consistente nella lesione della salute o nell’aggravamento della situazione patologica o nell’insorgenza di una nuova malattia, mentre è onere della controparte, ove il paziente abbia dimostrato il suddetto nesso di causalità materiale, provare – di avere esattamente adempiuto, oppure – che l’inadempimento della prestazione sanitaria è dipeso da impossibilità della prestazione derivante da una causa non imputabile. Pertanto, se rimane ignota la causa del danno riportato dal paziente sarà quest’ultimo a subirne le conseguenze vedendo la propria azione risarcitoria respinta, mentre se rimane ignota la causa che ha impedito ai medici e al nosocomio la corretta esecuzione della prestazione sanitaria saranno questi ultimi a farne le spese, vedendosi condannati al risarcimento.

Sempre sul piano del nesso causale, la responsabilità sanitaria in telemedicina potrebbe, poi, sollevare questioni attinenti al concorso di colpa del paziente rilevante, ai sensi dell’art. 1227 cod. civ., quale fattore di diminuzione del risarcimento dovuto al danneggiato. Rispetto alla medicina tradizionale, questa modalità di erogazione delle prestazioni mediche infatti si caratterizza per prevedere, non di rado, una più intensa compartecipazione attiva del paziente, al quale potrebbe essere addebitata la corresponsabilità per il fallimento delle cure nelle ipotesi in cui, per esempio, egli abbia adoperato in maniera scorretta i dispositivi di telemonitoraggio collocati sul suo corpo e/o nella sua abitazione, oppure abbia trascurato la manutenzione dei suddetti, o, ancora, non abbia rispettato le istruzioni ricevute in merito all’utilizzo di apparecchiature impiegate in un’attività di televisita o teleassistenza. Non è inoltre da escludere che, in applicazione dei principi generali della responsabilità civile, il comportamento del paziente possa anche arrivare a sollevare da ogni responsabilità il medico e la struttura impegnati nella telemedicina, ciò che dovrebbe per la precisione accadere qualora il suddetto comportamento sia tale da elidere la rilevanza casuale della condotta dei sanitari nella produzione dell’evento lesivo subito dal malato.

La responsabilità per violazione del consenso informato

Come in tutte le forme di svolgimento dell’attività sanitaria, anche in telemedicina potrà infine configurarsi una responsabilità per lesione del diritto all’autodeterminazione del paziente alla quale dovrebbero poter trovare applicazione i principi elaborati dalla giurisprudenza in materia di responsabilità per violazione del consenso informato con riguardo alla medicina tradizionale. Il consenso informato al trattamento eseguito tramite la telemedicina è peraltro connotato da alcune peculiarità che meritano di essere messe in rilievo.

Al riguardo si precisa che tale pratica va esplicitamente autorizzata dal paziente, al quale è riconosciuta la facoltà di rifiutarla, in favore della prestazione sanitaria tradizionale, con l’eccezione delle sole ipotesi in cui la seconda sia indisponibile a causa delle condizioni dei luoghi e dell’organizzazione dei servizi sanitari (si pensi, per esempio, ad un presidio di guardia medica collocato in un’isola o in un territorio montano temporaneamente irraggiungibili).

Al fine di poter esercitare consapevolmente la propria libertà di autodeterminazione terapeutica, il paziente ha inoltre diritto di ottenere tutte le informazioni previste dalla disciplina generale del consenso ai trattamenti sanitari contenuta nell’art. 1, comma 3, della legge n. 219/2017, con particolare riguardo agli specifici rischi innescati dalla telemedicina, quali: la possibilità che il trattamento si interrompa o comunque non vada a buon fine a causa del malfunzionamento dei sistemi operativi; i limiti dell’indagine connessi alla mancanza del contatto fisico e dello sguardo clinico del medico, con l’eventuale ulteriore avvertenza circa il pericolo che ciò si possa tradurre in un’errata diagnosi; l’impossibilità di una visita completa e di un intervento immediato in caso di urgenza; la presenza di carenze e inadeguatezze, anche solo temporanee, nell’apparato organizzativo e strumentale che verrà utilizzato per l’esecuzione del trattamento; e così via. In ogni caso rimane fermo anche per la telemedicina il principio, riconosciuto dall’art. 1, comma 6, della legge sopra menzionata, che nelle situazioni di emergenza o di urgenza non solo consente, ma anzi impone al medico di assicurare le cure necessarie all’individuo che non sia in grado di pronunciarsi al riguardo.

Conclusioni

Alla luce di quanto finora detto, si può concludere che la responsabilità sanitaria in telemedicina dovrebbe poter essere governata in modo soddisfacente senza introdurre un’apposita disciplina legislativa della materia e avvalendosi degli strumenti che già appartengono all’attuale quadro normativo e giurisprudenziale della medical malpractice. Con la prevedibile, futura diffusione di questa pratica si verrà plausibilmente a sviluppare un contenzioso che darà occasione alla giurisprudenza di elaborare appositi e più specifici orientamenti al riguardo; nel frattempo, sembra che si possa senz’altro condividere l’idea che suggerisce di giudicare le fattispecie di responsabilità civile in telemedicina con il criterio che impone al medico di essere particolarmente prudente quando impiega metodi di lavoro innovativi rispetto alle pratiche ordinarie e consolidate.

È da ultimo opportuno evidenziare, in conclusione, che le riflessioni sopra sviluppate si inscrivono in quel generale fenomeno di incremento del contenzioso in tema di responsabilità sanitaria, ormai ben noto anche al di fuori di quanti si occupano da vicino di questo settore della responsabilità civile, che nel corso del tempo ha assunto dimensioni via via sempre più imponenti fino a scatenare l’altrettanta conosciuta questione della c.d. medicina difensiva: nel settore di nostro interesse, questi problemi parrebbero tra l’altro potersi presentare in termini anche più grave rispetto al contesto generale della medical malpractice, perché l’utilizzo delle soluzioni tecnologiche avanzate proprie della telemedicina potrebbe innalzare le aspettative dei pazienti e conseguentemente aggravare il sentimento di frustrazione che, nel caso di mancato raggiungimento del risultato sperato, spinge gli utenti dei servizi sanitari ad agire in giudizio per pretendere il risarcimento del danno asseritamente subito.

fonte: AgendaDigitale.eu

l’Autore Mirko Faccioli è Professore associato di Diritto privato Università degli Studi di Verona – Dipartimento di Scienze giuridiche

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