La custodia cautelare in carcere di Pietro Ioia, garante delle persone private della libertà per l’area della Città Metropolitana di Napoli, è stato un macigno che si è abbattuto su un terreno già disastrato e rischia, dopo quest’ulteriore deterioramento, di precipitare definitivamente nell’abisso del giustizialismo più deleterio. La condanna mediatica, puntualmente giunta a poche ore dall’arresto, con riferimento virgolettato ad intercettazioni e al contenuto di riprese video, sembrerebbe non lasciare spazio alla difesa dell’indagato, che, nell’interrogatorio di garanzia, si è avvalso – vista la mole di documenti da esaminare – della facoltà di non rispondere.
Una prima riflessione va, dunque, fatta, ancora una volta, sulla pubblicazione di stralci di atti relativi alle indagini, che dovrebbero essere riservati, esclusivamente, alle parti e che, invece, diventano patrimonio comune. Nonostante la legge sulla presunzione d’innocenza, che stabilisce l’espresso divieto di indicare pubblicamente come colpevole la persona indagata, finché l’eventuale responsabilità non sia accertata con provvedimento irrevocabile di condanna, i media hanno illustrato, nel dettaglio, la tesi accusatoria, con precisa distinzione dei ruoli che ciascun indagato avrebbe avuto nel commettere l’azione criminale, unitamente alle prove che accertano tali condotte. È un dèja vu, che non si riesce a fermare. Ma il caso Ioia ci porta ad altre valutazioni.
L’augurio è che possa, al più presto, dimostrare la sua innocenza, per se stesso e per quello che egli rappresenta. La sua storia, infatti, è stata, fino a questo momento, un vero e proprio simbolo di riscatto. Ex detenuto, scontata la condanna – 22 anni per narcotraffico internazionale – si è immediatamente dedicato ad attività che potessero sostenere il reinserimento sociale di coloro che avevano lasciato il carcere.
Autore del libro “La cella zero”, poi divenuto opera teatrale. Un viaggio nel mondo sconosciuto della detenzione, con particolare riguardo al sopruso, all’abuso di potere, alla sospensione dei diritti. Da qui la denuncia di quanto avveniva nell’istituto di Poggioreale, in quella stanza luogo di tortura, dove i detenuti venivano vessati da agenti della Polizia Penitenziaria. Il processo, a carico di alcuni agenti della Polizia Penitenziaria, è ancora in corso presso il Tribunale di Napoli. Ieri l’ultima udienza istruttoria. Il 10 novembre prossimo è prevista la discussione del Pubblico Ministero, mentre le difese prenderanno la parola il 22 dicembre, il 5 e il 12 gennaio.
Quello di Ioia è stato un impegno costante, anche quale Presidente dell’Associazione Ex Detenuti Organizzati. Chi lo ha conosciuto, vedeva nei suoi occhi la passione per l’attività di volontariato che svolgeva. La nomina a Garante, voluta dall’allora Sindaco de Magistris e poi confermata da Manfredi, suscitò varie polemiche, proprio per il suo passato. Mentre altri – tra cui chi scrive – sostennero che “era la persona giusta, al posto giusto”. Chi meglio di lui, infatti, poteva conoscere le problematiche relative alla detenzione e quelle dell’effettivo reinserimento sociale, una volta liberi? È presto per dire se avevamo sbagliato, in quanto la verità sarà accertata nell’unica sede possibile, quella giudiziaria. Intanto la notizia di quanto accaduto ha immediatamente aperto il dibattito sui criteri di scelta dei Garanti nominati dagli Enti Locali e sulla stessa loro utilità.
La Lega, che già in passato aveva criticato la figura dei Garanti, si è affrettata ad emanare un comunicato in cui afferma che “al di là del nome del ministro, la Lega avrà certamente un ruolo nel dicastero della Giustizia guidato dal centrodestra.
Tra i primi dossier da affrontare, anche alla luce dell’arresto del garante dei detenuti del Comune di Napoli, la necessità di un garante per le donne e gli uomini in divisa che lavorano nelle carceri italiane, troppo spesso in condizioni inaccettabili”.
Ma la Polizia Penitenziaria non ha già i Sindacati – peraltro molto attivi – a tutelare i loro diritti? Tale dichiarazione, proveniente da un partito della coalizione di maggioranza che si accinge a governare il Paese, è l’ulteriore prova – semmai ce ne fosse stato bisogno – che, in materia di Giustizia ed in particolare di Esecuzione Penale, non vi sarà alcuna possibilità che vengano pienamente rispettati i principi costituzionali.
Per questo, se davvero Pietro Ioia fosse colpevole, la sua azione criminale colpirà non solo la sua persona, ma, come in realtà già sta avvenendo, darà forza a quella deriva giustizialista che ai detenuti nulla vuole concedere, neanche i loro diritti. La sua colpevolezza rappresenterebbe, inoltre, per coloro che in lui hanno creduto e ne hanno ammirato la volontà di riscatto, un vero e proprio tradimento.