Il restante è invece gestito da privati, enti religiosi, Onlus, Fondazioni e cooperative. A livello economico convengono le strutture pubbliche, le cui rette massime nel 46% dei casi non superano i 60 euro al giorno (circa 1.800 euro al mese). In quelle private invece la spesa economica da sostenere è più elevata e può arrivare (nel 39%) oltre gli 80 euro giornalieri (circa 2.500 euro al mese).
Tra quelle private quelle più costose sono quelle riferite all’area profit (54% ha rette superiori agli 80 euro giornalieri), seguite da quelle gestite da cooperative, dalle Fondazioni e dagli enti religiosi. Più basse le rette nelle strutture gestite da Onlus e da Associazioni. Le rette massime riguardano principalmente le strutture che si occupano di persone non autosufficienti e le strutture di grande dimensione, basse solo nel 17% dei casi mentre nel 45% superano gli 80 euro giornalieri.
Se il 68% delle strutture private comunica informazioni sul personale impiegato e il 77% ha un sito web sono solo il 38% quelle che pubblicano la Carta dei servizi. Va decisamente meglio in quelle pubbliche, che nell’ 86% dei casi danno informazioni più o meno dettagliate. Poco più della metà di quelli che gestiscono strutture residenziali per anziani fornisce informazioni a fronte del 68% delle cooperative, il 69% delle aziende private di mercato, il 76% delle Onlus e il 74% delle Fondazioni.
Ma per capire la dimensione del problema riguardante il rispetto della dignità degli anziani ospitati, basterebbe leggere l’ultimo rapporto dei Nas reperibile sul sito del ministero della Salute. Hanno ispezionato, sull’intero territorio nazionale, 351 strutture, tra residenze assistenziali assistite (Rsa), case di riposo, comunità alloggio e case famiglia, individuandone 70 irregolari, pari al 20% degli obiettivi controllati, contestando 127 sanzioni penali e amministrative, per oltre 40 mila euro.
Tra le violazioni più ricorrenti, carenze strutturali ed organizzative delle strutture come la presenza di un numero superiore di anziani rispetto alla capienza massima autorizzata, spesso collocati in ambienti eccessivamente ristretti e situazioni di minore assistenza delle persone ospitate, riconducibili a un numero ridotto di operatori per turno di servizio, in alcuni casi privi di adeguata qualifica e professionalità.
In un caso particolare, il Nas di Udine ha deferito all’Autorità giudiziaria un’operatrice socio assistenziale di una casa di riposo, responsabile di aver cagionato lesioni ad un 91enne ospite della struttura, rovinandogli addosso mentre lo accudiva perché ubriaca. Ulteriori inosservanze hanno interessato la normativa anti- infortunistica e di prevenzione degli incendi.
Al riguardo, presso una comunità alloggio per anziani di Palermo, il Nas ha accertato la totale assenza del sistema antincendio. Anche le modalità di preparazione dei pasti per gli ospiti sono state oggetto di controllo, con casi eclatanti relativi a due Rsa della provincia di Pavia, nelle cui cucine è stata riscontrata la presenza di animali infestanti e blatte.
Le Rsa fanno gola ai privati. Secondo una ricerca di Pio De Gregorio di Ubi Banca, in Italia stanno vivendo un vero boom trainato dalla domanda. Nel 2035 gli anziani non autosufficienti in Italia saranno circa 560mila e la domanda di posti letto nelle Rsa crescerà tra le 206mila e le 341mila unità che richiederanno un investimento complessivo tra i 14,4 e i 23,8 miliardi.
Il settore fa gola perché le Rsa sono un investimento “assicurato”, anticiclico rispetto all’economia e assai redditizio: nelle strutture private al crescere delle dimensioni cresce la redditività. Invece altri Paesi vanno verso forme di residenzialità differenti, con appartamenti protetti e strutture più piccole dove si privilegia la qualità dei servizi e l’alto livello di umanità. Ma in Italia c’è anche il problema delle case famiglia.
Come emerge dallo studio della Sps – Cgil, per avviare questa particolare attività commerciale basta una semplice dichiarazione (la Dia) e non c’è bisogno di un’autorizzazione preventiva al funzionamento. In questo modo anche persone senza competenze e conoscenza del settore dell’assistenza socio-sanitaria agli anziani possono aprire e gestire una struttura residenziale. A rimetterci sono gli ospiti anziani, ma anche gli operatori. Turni massacranti, tanto da provocare il burnout e con la conseguenza che possono sfociare con degli sfoghi contro gli anziani. Non è un caso che le notizie di cronaca sui maltrattamenti agli anziani, la maggior parte riguardano proprio le case famiglia.
È tutto nero? No, ci sono esempi. Prendiamo ad esempio la Casa di Vela, periferia di Trento. Il progetto è stato avviato nel 2014 e si occupa di cohousing intergenerazionale. Le persone che risiedono negli appartamenti sono anziani parzialmente autonomi e studenti dell’Università di Trento: cinque persone over 80 e sei studenti tra i 20 e i 30 anni. A questi si aggiungono due assistenti familiari che supportano i residenti non autonomi.
La rete di supporto include inoltre servizi di trasporto, animazione culturale e sociale, e operatori sanitari. Nel 2015 il progetto “Casa alla Vela” è stato menzionato in una pubblicazione dell’Onu tra le migliori 11 buone prassi europee nel campo delle politiche sociali e, nello specifico, tra le strategie di cura innovative per la popolazione anziana. Forse è questo da valorizzare, prima che sia troppo tardi.