Parlavo con un giovane bravo medico che faticosamente lavora da anni in pronto soccorso e che si lamentava con me di perdere troppo tempo in pratiche burocratiche.
Premetto che gli ho dato ragione sul grave problema della scarsità di organico dei medici, e soprattutto di quelli di loro che operano nei pronto soccorso. Gli ho dato pure ragione sul fatto che alcune pratiche non strettamente assistenziali potrebbero essere ottimizzate per evitare inutili ripetizioni e magari rese meno impegnative grazie a un supporto di segreteria che certo non guasterebbe.
Gli ho dato, invece, convintamente torto nel suo definire ogni pratica informativa come pratica burocratica.
Forse è bene chiarire cosa si intenda per burocrazia, per esempio ricorrendo a ciò che si può leggere su Wikipedia:
«Il termine, definito in maniera sistematica da Max Weber indica il “potere degli uffici” (dal francese bureau): un potere (o, più correttamente, una forma di esercizio del potere) che si struttura intorno a regole impersonali ed astratte, procedimenti, ruoli definiti una volta per tutti e immodificabili dall’individuo che ricopre temporaneamente una funzione.
Il termine assume a volte un valore dispregiativo teso ad indicare l’eccessivo iter o vincoli per il raggiungimento di determinati obiettivi personali o statali. I difensori della burocrazia difendono invece tale aspetto giustificandoli con la corretta applicazione di leggi e procedure definite precedentemente da terzi secondo il principio di legalità e uguaglianza».
E allora è bene anche chiarire due cose.
1. Ogni Medico del SSN è anche un dirigente di un sistema complesso e lavorare al buon funzionamento del sistema fa comunque parte dei suoi compiti. La sua attività non può esaurirsi nel rapporto con il singolo paziente, come se svolesse un’attività esclusivamente privata. Ogni medico deve sentirsi responsabile non solo della salute dei singoli, ma anche della salute della collettività. Alcune pratiche preventive possono anche essere di natura individuale, ma la maggioranza deve investire il complesso della popolazione.
2. Inoltre, l’attività di rilevazione informativa che diventa informazione epidemiologica è un aspetto molto rilevante del compito dei sanitari. Come certamente non è burocrazia scrivere una cartella clinica in ospedale, così non è burocrazia raccogliere, classificare e trasmettere informazioni che sono la base per decidere provvedimenti nel campo della salute.
Credo che la mentalità per cui ciò che non è strettamente attività assistenziale con il paziente viene vissuto da alcuni medici come burocrazia nasca purtroppo dagli studi nelle facoltà mediche: si insegna a occuparsi della salute dei singoli e non della salute della collettività! Nei sei anni del corso di laurea in medicina, di sanità pubblica, di gestione del servizio sanitario, di epidemiologia e di prevenzione, se ne parla pochissimo e perlopiù solo in uno o due corsi i cui esami non comportano solitamente molto impegno di studio.
Chi insegna “validamente” epidemiologia? Chi insegna gestione delle attività assistenziali? Chi insegna come si struttura il governo della salute pubblica? Si può immaginare un ingegnere che si occupi solo del singolo ingranaggio e non della sua azienda, o di un veterinario della salute del singolo animale e non dei problemi della salute dell’allevamento?
Certamente, il veterinario che si occupa degli animali da appartamento forse può disinteressarsi dei problemi di carattere più globale, ma forse neppure lui.
Prima della riforma della sanità introdotta con la legge Crispi del 20 marzo del 1888, era solo il sindaco a essere responsabile della salute pubblica dei suoi cittadini e ogni medico esauriva il suo ruolo nel rapporto personale con i suoi pazienti. Con questa legge, molti medici condotti diventarono, invece, anche ufficiali sanitari responsabili non della burocrazia sanitaria, bensì della salute della comunità. Ancor più, con la legge 833 del 23 dicembre 1978 vengono assegnate al Medico del SSN funzioni non solo assistenziali, ma anche preventive e gestionali.
Art. 20. (Attività di prevenzione)
Le attività di prevenzione comprendono:
a. La individuazione, l’accertamento ed il controllo dei fattori di nocività, di pericolosità e di deterioramento negli ambienti di vita e di lavoro, in applicazione delle norme di legge vigenti in materia e al fine di garantire il rispetto dei limiti massimi inderogabili di cui all’ultimo comma dell’articolo 4, nonché al fine della tenuta dei registri di cui al penultimo comma dell’articolo 27; i predetti compiti sono realizzati anche mediante collaudi e verifiche di macchine, impianti e mezzi di protezione prodotti, installati o utilizzati nel territorio dell’unità sanitaria locale in attuazione delle funzioni definite dall’articolo 14;
b. La comunicazione dei dati accertati e la diffusione della loro conoscenza, anche a livello di luogo di lavoro e di ambiente di residenza, sia direttamente che tramite gli organi del decentramento comunale, ai fini anche di una corretta gestione degli strumenti informativi di cui al successivo articolo 27, e le rappresentanze sindacali;
c. L’indicazione delle misure idonee all’eliminazione dei fattori di rischio ed al risanamento di ambienti di vita e di lavoro, in applicazionedelle norme di legge vigenti in materia, e l’esercizio delle attività delegate ai sensi del primo comma, lettere a), b), c), d) ed e) dell’articolo 7;
d. La formulazione di mappe di rischio con l’obbligo per le aziende di comunicare le sostanze presenti nel ciclo produttivo e le loro caratteristiche tossicologiche ed i possibili effetti sull’uomo e sull’ambiente;
e. La profilassi degli eventi morbosi, attraverso l’adozione delle misure idonee a prevenirne l’insorgenza;
f. La verifica, secondo le modalità previste dalle leggi e dai regolamenti,della compatibilità dei piani urbanistici e dei progetti di insediamenti industriali e di attività produttive in genere con le esigenze di tutela dell’ambiente sotto il profilo igienico-sanitario e di difesa della salute della popolazione e dei lavoratori interessati. Nell’esercizio delle funzioni ad esse attribuite per l’attività di prevenzione le unità sanitarie locali, garantendo per quanto alla lettera d) del precedente comma la tutela del segreto industriale, si avvalgono degli operatori sia dei propri servizi di igiene, sia dei presidi specialistici multizonali di cui al successivo articolo 22, sia degli operatori che, nell’ambito delle loro competenze tecniche e funzionali, erogano le prestazioni di diagnosi, cura e riabilitazione. Gli interventi di prevenzione all’interno degli ambienti di lavoro, concernenti la ricerca, l’elaborazione e l’attuazione di misure necessarie ed idonee a tutelare la salute e l’integrità fisica dei lavoratori, connesse alla particolarità del lavoro e non previste da specifiche norme di legge, sono effettuati sulla base di esigenze verificate congiuntamente con le rappresentanze sindacali ed il datore di lavoro, secondo le modalità previste dai contratti o accordi collettivi applicati nell’unità produttiva».
Mi chiedo quanti medici abbiano letto con attenzione la normativa principale riguardante la loro attività e quella del Servizio sanitario per cui operano. Forse sarebbe opportuno che, durante il corso di laurea, ci fosse un momento in cui questo possa avvenire! Purtroppo la mentalità ancor oggi diffusa è che il medico si debba occupare solo della singola persona con cui si sta relazionando e non anche, pur nei rispettivi specifici ruoli, del governo del Servizio sanitario complessivo.
Ho insegnato Economia Sanitaria in Facoltà di Medicina e varie volte mi sono sentito chiedere che ci azzeccasse questo insegnamento. Mi è stato persino chiesto di occuparmi principalmente solo del problema di come insegnare a gestire al meglio i proventi ricavati dalla libera professione! Lo studente di medicina, e il medico che ne nasce, difficilmente riescono a viversi come soggetti operanti in un sistema complesso. La maggioranza di loro continua a viversi come operatori di rapporti individuali isolati dal contesto.
Detto tutto ciò, non guasterebbe, però, se molte pratiche diventassero più snelle e ci si chiedesse sempre a cosa possano servire le singole informazioni richieste. Sarebbe altrettanto importante che i medici potessero sempre ricevere un’informazione di ritorno relativa ai dati che loro hanno collaborato a rilevare e trasmettere. Nulla è, infatti, peggio che lasciar ritenere che tutto ciò che crea loro maggior lavoro di fatto non serva a nulla! E naturalmente impegnarsi perché serva veramente.
Bisogna poi anche considerare che parte dei processi informativi e gestionali potrebbero essere affidati a collaboratori dei medici, i quali però non dovrebbero così scaricare i propri compiti, bensì gestirli congiuntamente. Insomma, in un sistema pubblico, la salute della società si gestisce inevitabilmente, come in tutti i sistemi complessi, con la “crazia del bureau” di cui il medico non deve sentirsi vittima, bensì attore. E i compiti devono essere distribuiti in modo da ottimizzare le attività cui ciascuno è tenuto a svolgere, ottimizzandole non solo nei tempi, ma anche come qualità e consapevolezza.
E, in ogni caso, resta indispensabile che nei servizi ci sia un numero di medici sufficiente in modo che ciascuno possa svolgere al meglio i propri compiti e non solo eseguire le operazioni inderogabili tralasciando le altre. Mi si permetta, però, anche di osservare come sia indispensabile retribuire correttamente la professione potendo così esigere impegno, competenza, disponibilità su tutti i compiti affidati, nessuno escluso. Così, magari, si può riuscire a far della buona epidemiologia diffusa e utile alla salute di tutti, non solo ridursi a fare un’epidemiologia da curriculum accademico, di buon livello, ma spesso ininfluente.
fonte: E&P