Il Piano nazionale d’Azione sulle Dipendenze (PAND) un’occasione persa. Ma non completamente. di Stefano Vecchio

Il Piano Nazionale d’Azione sulle Dipendenze (scarica qui), appena licenziato dalla Ministra Dadone, si presenta come una occasione mancata in quanto realizza un forte ridimensionamento delle indicazioni della Conferenza Nazionale sulle Droghe. La Conferenza fortemente voluta dalla Ministra Dadone dopo 13 anni di latitanza, si era caratterizzata anche per l’apertura di un dialogo produttivo con la società civile organizzata nella Rete nazionale per la riforma delle Politiche sulle droghe. Un dialogo che ebbe un ulteriore sviluppo nel fuoriconferenza organizzato a Genova. Grazie a questo dialogo la Ministra concordò l’istituzione nella Conferenza di un tavolo specifico sulla Riduzione del Danno, un LEA inattuato dal 2017, e uno con e sulle Persone che Usano Droghe (PUD) orientato a riconoscere il protagonismo delle PUD e a individuare strumenti concreti per disattivare gli stigmi diffusi tra logiche penali ed etichettamenti patologici.

Su questa linea il tavolo della Conferenza sui servizi aveva previsto di ridisegnare il sistema degli interventi ridefinendone gli orientamenti con la nuova denominazione di Tutela della Salute delle Persone che Usano Droghe e a rischio di Dipendenze (questa era la formula di compromesso) spostando l’asse dalle dipendenze ai modelli di consumo di droghe, “internalizzando” la Riduzione del Danno (oggi prevalentemente esternalizzata nelle poche regioni che la finanziano). E avevamo chiaramente indicato che tale processo richiedeva un cambio del modello di accreditamento del Terzo Settore seguendo la logica, indicata dalla normativa specifica, della coprogettazione e coprogrammazione e della piena integrazione anche nella cogestione degli interventi. In questa nuova prospettiva si inseriva a pieno titolo la RdD nel sistema pubblico dei servizi e si riconosceva, coerentemente con le risultanze del tavolo sulle PUD, che – come già previsto per la salute Mentale, la Salute delle donne etc. – il primo obiettivo di un sistema socio-sanitario pubblico nell’ottica territoriale sancita dalla L. 833/78, è quello di promuovere e tutelare la salute dei cittadini, rimuovendo lo stigma della “dipendenza” e sostituendolo con il diritto alla salute. Su questa linea si era mosso anche il tavolo sul carcere, il quale partiva dalla critica al modello penale della legge vigente e dalla necessità di modificarla, per spostare, già nell’immediato, l’orizzonte del circuito penale verso le misure alternative al carcere, allargando l’area delle custodie attenuate, inserendo la RdD nelle carceri, ampliando i programmi di inclusione sociale verso l’istituzione di un’area penale esterna non solo terapeutica. Infine, il tavolo sull’inclusione sociale e lavorativa che ha elaborato indicazioni per progetti, a partire dai budget di salute, non vincolati all’astinenza e quindi in sintonia con tutta la logica del riconoscimento delle “Persone” e del loro protagonismo al centro delle elaborazioni dei tavoli citati prima. Queste importanti acquisizioni andavano a bilanciare quei tavoli della Conferenza che avevamo criticato fin dall’inizio: ad esempio la sovrabbondanza dello spazio dato alla Prevenzione con il rischio di riproporre processi di stigmatizzazione, la determinazione di non parlare di depenalizzazione della coltivazione per l’uso personale della cannabis introducendo modelli analoghi ai cannabis social club, scegliendo di affrontare il tema della cannabis medica che non può essere argomento di una Conferenza sulle droghe.

Il processo attivato successivamente per l’ elaborazione del Piano Nazionale Attuativo avrebbe dovuto avere l’obiettivo di mettere a punto una strategia per  realizzare le indicazioni della Conferenza nazionale individuando chiaramente gli obiettivi e le priorità e soprattutto definendo i dispositivi istituzionali attuativi primi tra tutti la stesura di Atti di Indirizzo della Conferenza Stato Regioni con la partecipazione della Società civile, delle PUD e degli operatori sia per i LEA RdD che per i Dipartimenti per la Tutela della Salute delle PUD e per un nuovo e più adeguato modello di accreditamento del Terzo Settore. Certo nessuna scelta politica tesa a cambiare sul serio la legge, ma si tracciava la strada per crearne le condizioni modificando i contesti istituzionali con tutte le implicazioni sociali e culturali connesse.

Ma tutto il processo di messa a punto del Piano è stato gestito in modo ambiguo, nonostante la nostra Rete aveva segnalato alla Ministra i limiti dell’impostazione scelta per la sua stesura indicando alcuni correttivi sia sul piano organizzativo che relativi alla scelta degli obiettivi e delle priorità. Ma non siamo stati ascoltati per cui alla conclusione il testo finale risulta decapitato delle parti più innovative!

In particolare è stata modificata la prospettiva dei Servizi facendo marcia indietro dalla Tutela della Salute delle PUD ritornando alle Dipendenze, la RdD pur ampiamente trattata rimane fuori del sistema pubblico ordinario dei servizi, disattivato il riconoscimento delle PUD riducendo tutti i loro comportamenti e diritti all’etichetta patologica della dipendenza, compromettendo sostanzialmente anche tutte gli altri principi innovativi riportati nelle schede sulle carceri e sull’inclusione sociale. A quanto pare sarebbero state le Regioni a porre il problema ma non è chiaro in quale veste ufficiale o ufficiosa: Conferenza Stato-Regioni o altro organismo o rappresentanza?

Certo un compromesso al ribasso in quanto alle Regioni si poteva chiedere almeno la contropartita di un Atto di Indirizzo per la Riduzione del Danno invece che prevedere delle semplici e improbabili Linee Guida, tra l’altro già approvate dal Ministero della Sanità da oltre 20 anni e mai attuate. E alla fine si comprende come mai non si sia voluto accettare la proposta di Forum Droghe di ridefinire il Piano “in materia di droga” come indica l’Europa ma si sia scelto di limitarsi a denominarlo Piano di Azione Nazionale sulle Dipendenze.

I segnali della nuova maggioranza di destra sulle politiche sulle droghe, a questo punto, si stanno già esprimendo e sono chiari: sono le Regioni a maggioranza di destra che hanno bloccato le innovazioni e disattivato in buona pare l’attuabilità di queste parti del Piano? E a questa prima azione politica si aggiungono le dichiarazioni dell’On. Bellucci Responsabile nazionale droghe di Fratelli d’Italia che considera anche questo mite e inoffensivo PAND un diavolo da combattere scandalizzata dal drug checking e dalle stanze dell’uso sicuro cioè da strumenti largamente usati in Europa, in parte sperimentati in Italia, sui quali esistono studi di efficacia consultabili, e che rappresentano servizi che tutelano la salute e nello stesso tempo consentono di avviare una pacificazione tra le PUD, le famiglie e i cittadini, ma non sono questi gli obiettivi della guerra alla droga. All’on. Bellucci si è subito associato il duo Gasparri-Giovanardi e, oltre a rilanciare strali sui pericoli delle “camere del buco” e gli ingorghi che determinerebbero nel tunnel della droga lanciano un nuovo allarme: la cannabis medica come trampolino per la legalizzazione. Davvero geniale! Se tutto si riducesse a queste battute da pessimo cabaret le preoccupazioni sarebbero poche. Ma il duo, non sappiamo quanto rappresenti la maggioranza, ritiene di poter condizionare le decisioni delle Regioni, le quali hanno, almeno a quanto si legge sulle informazioni che compaiono in modo caotico sulla stampa, stabilito degli accordi con un Ministro ancora in carica. Le Regioni, per quanto di destra, si faranno dare ordini da Gasparri e Giovanardi? E verranno meno ad accordi istituzionali?

Nonostante questo scenario poco incoraggiante, vi sono alcuni spazi nel PAND che potrebbero essere utilizzati per recuperane, in parte, il senso originario, ad esempio le indicazioni sulla Riduzione del Danno, le sperimentazioni e il riconoscimento delle PUD, alcune indicazioni per le alternative alle pene e le indicazioni sull’inclusione sociale, ma anche alcuni principi contraddittori lasciati, forse per distrazione, nella scheda sui Dipartimenti.

Si tratterà di verificare chi si candiderà a gestire questo processo e gli interlocutori politici e istituzionali disponibili a colmare i vuoti lasciati negli strumenti attuativi in alleanza con le reti della società civile. Le città potrebbero essere un interlocutore importante ma anche quelle Regioni progressiste che per ora non si sono espresse e hanno lasciato il campo dell’iniziativa alle destre.

pdf PAND
Scarica il Piano di Azione Nazionale Dipendenze in formato pdf.

fonte: Fuoriluogo

Stefano Vecchio
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