Da vent’anni mi muovo su una sedia a rotelle e per la prima volta in vita mia è accaduto che un tassista mi abbia fatto scendere dalla sua vettura, dicendomi che lui non trasporta “noi disabili”.
È successo qualche giorno fa, alle otto e mezza di sera. Ero arrivato in treno a Verona da Roma, per partecipare a un evento come presidente della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap) e della FAIP (Federazione delle Associazioni di Persone con Lesione al Midollo Spinale). Sceso dal treno, l’assistenza della Sala Blu mi ha condotto alla pensilina dei taxi, dove avrei preso un mezzo per raggiungere il mio albergo. Pioveva. Sono salito su una vettura. Nel frattempo il tassista è sceso per vedere se avessi necessità con il bagaglio e si è accorto che sono in sedia a rotelle. Mi ha detto che sarei dovuto scendere dalla sua auto, perché «non prende a bordo persone nelle mie condizioni». Manco avessimo la peste! Un brutto episodio discriminatorio, dunque, del quale sono stato mio malgrado protagonista.
Il tassista ha aggiunto che per il trasporto di disabili ci sono delle auto apposite. Nel mio caso, però, questo non è necessario, posso tranquillamente salire su vetture normali. La mia carrozzina si piega ed entra in auto. Inoltre il suo mezzo era molto spazioso. Ho provato a spiegargli tutto questo, ma ha ribadito il concetto che sarei dovuto scendere, sottolineando a più riprese che l’auto fosse sua e decideva lui chi poter trasportare.
Inamovibile a ogni mia richiesta, alla fine l’ha spuntata e così sono stato costretto a scendere dalla sua vettura; siccome pioveva, mi sono anche inzuppato d’acqua. Gli ho chiesto il numero di licenza e lui me ne dato uno diverso, che corrispondeva a quello di un suo collega. Sono comunque riuscito a fotografare la fiancata del suo taxi con il suo vero numero di licenza che, per legge, è apposto sulle fiancate delle vetture.
Tutto questo è accaduto alla presenza di decine di cittadini che hanno assistito increduli. Per fortuna, subito dopo, sono riuscito a prendere un altro taxi e ho raggiunto il mio albergo.
Per un gesto d’insensibilità non sarebbe corretto criminalizzare una città o un’intera categoria. Mi sento però di dire, avendolo vissuto in prima persona, che il comportamento del tassista è stato pieno di pregiudizi e stigmi nei miei confronti. Come delle persone con disabilità tutte. Lo dico soprattutto perché quel tassista ha utilizzato spesso la parola “voi” (“noi disabili”), come se appartenessimo ad una galassia diversa.
Ho raccontato questi fatti la stessa sera sui social e ho ricevuto diverse telefonate di vicinanza. Tra queste quella del sindaco di Verona Damiano Tommasi, che non solo mi ha manifestato vicinanza e affetto, ma ha condannato il gravissimo episodio verificatosi, assicurandomi che avvierà un’indagine interna. E anche quelle della ministra per le Disabilità Erika Stefani e del presidente della Regione Veneto Luca Zaia.
Questo è stato un gesto apprezzato e importante. Fa capire, ad esempio, che l’Amministrazione Comunale di Verona è sensibile ai temi dell’inclusione delle persone con disabilità. Quanto accaduto a me, però, non è un episodio isolato: purtroppo, le persone con disabilità sono vittime ogni giorno di situazioni simili. Io ho avuto la possibilità di raccontare questa storia, ma non tutti ci riescono. Spesso, infatti, non tutte le persone con disabilità hanno anche la forza di denunciare i torti che sono costrette a subire.
Per questo, come FISH stiamo lavorando a livello nazionale per favorire la diffusione di una cultura nuova e di strumenti informativi, utili a favorire una migliore relazione tra e con le persone con disabilità.
Casi come quello che ho vissuto io non dovrebbero più accadere e per questo c’è da augurarsi che episodi del genere non si ripetano mai più, perché in un Paese veramente civile la disabilità non può costituire motivo di rifiuto alla prestazione, di qualunque tipo.