Contribuì in modo decisivo a una lettura molecolare dell’evoluzione, si oppose al determinismo genetico, quindi alla sociobiologia, all’idea di razza e alle sue presunte basi scientifiche. Fu un grande scienziato e un uomo giusto. Parliamo di Richard Lewontin, che mercoledì 5 ottobre verrà celebrato e discusso a un anno dalla sua morte al Museo di storia naturale di Milano, e in diretta su Scienza in rete da Guido Barbujani in dialogo con Marco Ferraguti, Maurizio Casiraghi e Carloantonio Barberini. Ne scrive qui uno dei relatori del convegno, non mancando di sottolineare la coincidenza con il primo Nobel dedicato a un altro maestro dell’evoluzione, Svante Pääbo.
Questo è un grande momento della biologia evoluzionistica: per la prima volta un grande studioso dell’evoluzione umana, Svante Pääbo, ha ricevuto il premio Nobel. Ed è una singolare coincidenza che tre giorni dopo l’annuncio verrà commemorato, a poco più di un anno dalla scomparsa un altro grande evoluzionista. L’evoluzionismo, forse più di altre scienze, ha una caratteristica curiosa: molti personaggi diventano noti al grande pubblico soprattutto per essere dei grandi comunicatori, magari perché hanno scritto libri o articoli supertradotti e supercommentati sui giornali, senza che ciò vada di pari passo con la dimensione scientifica della loro produzione. Al contrario vi sono ricercatori immensi, che hanno fornito un grande contributo alla disciplina, che sono molto meno noti presso il grande pubblico. Uno di questi fu Richard Lewontin, Dick per tutta la comunità scientifica, la persona che Guido Barbujani ricorderà il 5 ottobre al Museo di Storia Naturale di Milano (dalle 17:30, in diretta anche su Scienza in rete. Qui la locandina).
Lewontin può essere definito come la persona che portò i metodi molecolari nello studio dell’evoluzione. Nato nel 1929, all’inizio degli anni Cinquanta del Novecento divenne allievo di Theodosius Dobzhansky, uno dei padri dell’evoluzionismo nel secolo scorso, dedicandosi allo studio della variabilità genetica e del suo rapporto con la selezione naturale, lavorando in prevalenza sulla drosofila, uno dei modelli preferiti dai genetisti. Ma a quei tempi non c’erano molti strumenti per una analisi fine della variabilità, e una svolta fondamentale si ebbe quando Lewontin realizzò che se era impossibile – allora – studiare come la variabilità dei caratteri si riflettesse su quella dei geni, era invece possibile studiarla in modo indiretto, ossia sulle proteine. Lewontin applicò dunque la tecnica dell’elettroforesi delle proteine per mettere in rilievo differenze di peso molecolare fra proteine omologhe in individui diversi delle medesime popolazioni, dando inizio, se così si può dire, allo studio molecolare dell’evoluzione. E quando, con due articoli chiave pubblicati nel 1966 mostrò un livello di variabilità molto superiore a quello che molti immaginavano, il corso della biologia evoluzionistica cambiò. Non fu un caso che il genetista teorico giapponese Motoo Kimura due anni dopo propose la rivoluzionaria teoria neutrale dell’evoluzione molecolare. «Lewontin e i suoi collaboratori hanno rivelato come la selezione naturale agisca sulla variazione, esplorando i suoi effetti sui geni, i gruppi e gli individui. Muovendosi fra l’analisi matematica e statistica, il lavoro di campo e gli esperimenti di laboratorio, essi segnarono il corso della genetica molecolare di popolazione» (Dietrich, Nature, 13 luglio 2021).
Pur avendo fornito un solido supporto allo studio dell’evoluzione e alla comprensione in chiave moderna dei meccanismi proposti da Darwin, Lewontin fu in prima linea per contestare ogni idea di determinismo genetico eccessivo. La genetica non serve, diceva, per spiegare «perché I figli dei magnati del petrolio tendono a diventare banchieri, mentre i figli dei lavoratori del petrolio tendono ad essere in debito con le banche». Da qui la sua lotta senza quartiere contro la sociobiologia: si racconta che si rifiutò di parlare con E.O. Wilson, che stava in un ufficio vicino al suo, dopo la pubblicazione di Sociobiologia. E naturalmente fu all’origine dell’idea, generalmente attribuita a S.J.Gould degli spandrel, ossia dei pennacchi, diventati famosi a partire dalla pubblicazione dell’articolo I pennacchi di San Marco e il paradigma di Pangloss: critica del programma adattazionista scritto da Lewontin in collaborazione con Gould (si può leggere in traduzione italiana qui). In questo articolo si attacca frontalmente l’atteggiamento diffuso nell’evoluzionismo novecentesco di spiegare ogni carattere dei viventi come dovuto all’azione diretta della selezione naturale. Questo articolo, nel bene e nel male, toccò i nervi scoperti della comunità degli evoluzionisti. Le 10306 (!) citazioni riportate da Google Scholar ne sono testimoni! Quanta parte l’uno e l’altro dei due autori abbiano avuto nella scrittura di quel testo si può sentire dalle dirette parole di Lewontin in questa meravigliosa commemorazione di Gould che egli preparò per l’Istituto Veneto nel 2012.
Un altro importante impegno di Lewontin fu contro l’abuso del termine razza riferito alla nostra specie. Se la maggior parte della variabilità di Homo sapiens si trova all’interno delle diverse etnie, e non fra l’una e l’altra di esse, allora il termine razza, così come lo intendiamo nelle scienze naturali, non ha senso. È facile immaginare come in un paese come gli Stati Uniti, dove la razza salta fuori ogni momento, la vita di Lewontin fu molto complessa, con un impegno politico permanente, per tutta la sua vita.
Della sua vita Lewontin non parlò mai volentieri. Scrive l’estensore del necrologio di Nature che ho citato: «Quando, nel 1997 gli chiesi come dovessi descrivere la sua vita, egli estrasse dalla scrivania una lista di studenti, postdoc e visitatori del suo laboratorio – più di 100 persone – è mi suggerì di scrivere di loro». Un profondo senso dell’etica governò il suo rapporto con allievi e studenti. Jerry Coyne, illustre genetista che fu suo studente di dottorato, quando scrisse il suo primo articolo lo mise sul tavolo di Lewontin aspettando le sue critiche. Queste arrivarono il giorno dopo, con la cancellazione del suo nome come co-autore. E gli disse «Non fare mai più una cosa simile».
Dunque Dick Lewontin non fu solo un grande e bravo scienziato, ma anche e soprattutto un grande essere umano.
fonte: Scienza in Rete