Il contributo degli immigrati ai conti pubblici. di Enrico Di Pasquale, Chiara Tronchin

Gli immigrati sono un costo per lo stato italiano? Anche nel 2020 le entrate garantite dai cittadini stranieri hanno superato le uscite. Se sostenuta da una programmazione efficace, l’integrazione può assicurare forza lavoro, consumi e investimenti.

Il Rapporto

La Fondazione Leone Moressa da dieci anni propone una stima (“Costi/Benefici” dell’immigrazione) che aiuta a sfatare il luogo comune secondo cui la presenza immigrata in Italia sia principalmente un costo per lo stato. L’analisi, contenuta nel XII Rapporto annuale sull’economia dell’immigrazione, che verrà presentato a Roma il prossimo 18 ottobre, evidenzia come la struttura demografica della popolazione immigrata (prevalentemente in età lavorativa) e la composizione della spesa pubblica (orientata fortemente alla popolazione anziana) portino a un saldo positivo tra entrate e uscite, nonostante la pandemia abbia fatto diminuire i redditi (e il gettito fiscale) e aumentare la spesa.

A livello internazionale, il rapporto Ocse 2021 ha già evidenziato che “i migranti contribuiscono in tasse più di quanto ricevono in prestazioni assistenziali, salute e istruzione”, confermando quanto riportato in uno studio del 2014.

La stima della Fondazione Leone Moressa sulla situazione italiana si basa su alcuni assunti metodologici.

Innanzitutto, la platea di riferimento è costituita non solo dai migranti in arrivo via mare e successivamente collocati nei centri di accoglienza in Italia (80 mila presenze a fine 2020), ma a tutti i residenti regolari con cittadinanza straniera (5,2 milioni di persone, di cui oltre 2,2 milioni di occupati).

Inoltre, vengono considerati solamente i flussi monetari diretti (per quanto riguarda lo stato), escludendo i costi e i benefici indiretti (sociali, culturali, ambientali), difficilmente misurabili. Le fonti principali sono le “Uscite annuali della pubblica amministrazione” e i “Conti annuali delle amministrazioni pubbliche”.

La spesa pubblica

Nel 2020 la spesa pubblica ha registrato un aumento dell’8 per cento rispetto all’anno precedente, passando da 871 a 944 miliardi. L’incremento è dovuto essenzialmente alle misure di sostegno a famiglie e imprese attuate a seguito dell’inizio della pandemia. In particolare, la voce che è cresciuta maggiormente è la “disoccupazione”, passata da 19,9 a 42,2 miliardi (valore più che raddoppiato).

Nelle principali voci di spesa pubblica, si può calcolare la quota parte riconducibile agli immigrati, stimando l’incidenza dei cittadini stranieri per ciascuna voce (“costi medi”).

Nella sanità, ad esempio, bisogna considerare che gli stranieri sono molto pochi nelle fasce d’età più anziane (1,8 per cento tra gli over 65), che invece sono i beneficiari maggiori delle prestazioni e della spesa. I ricoveri degli immigrati sono generalmente più brevi rispetto a quelli degli italiani, collocandosi soprattutto nei reparti di pronto soccorso e maternità. Anche l’impatto della pandemia sembra piuttosto limitato, almeno a livello strettamente sanitario, dato che le prime fasi hanno colpito prevalentemente la popolazione anziana. Sui quasi 130 miliardi di spesa sanitaria nel 2020, dunque, possiamo stimare una componente straniera pari a circa 6,1 miliardi.

Nel settore della scuola la spesa italiana si attesta sui 58 miliardi (tra le più basse d’Europa in rapporto al Pil). Non consideriamo invece la spesa per l’università (che complessivamente ammonta a 5,5 miliardi), dato che tra gli iscritti stranieri non è possibile individuare quanti siano realmente residenti in Italia e quanti vi trascorrano solo un periodo finalizzato agli studi (la stima intende analizzare l’impatto della popolazione straniera “residente”). Con una lieve ma costante crescita, gli alunni con cittadinanza non italiana hanno raggiunto nelle scuole quota 877 mila nell’anno 2019-2020, pari al 10,3 per cento del totale (11,9 per cento tra infanzia e primaria e 8,9 per cento nella scuola secondaria).

In questo caso è evidente che il metodo dei costi medi sia sovrastimato, dato che all’aumentare della presenza straniera non corrispondono maggiori investimenti in ambito scolastico. Anzi, si potrebbe dire che, visto il calo demografico italiano, la maggiore presenza straniera garantisce la sostenibilità del sistema, che altrimenti vedrebbe chiudere molte scuole e ridurre l’organico. Tutto ciò innescherebbe altri effetti a catena, come la necessità di sovvenzionare i docenti fuoriusciti, o la necessità di affrontare il problema dell’accesso allo studio per gli alunni dei piccoli comuni.

Mantenendo comunque il metodo basato sull’incidenza degli utenti, viene considerato un decimo della spesa totale, per un ammontare di 6 miliardi di euro.

Vanno poi considerati i settori “servizi sociali, servizi locali e casa” (1,3 miliardi) e “giustizia e pubblica sicurezza” (3,3 miliardi).

La voce “immigrazione, accoglienza e garanzia dei diritti”, principalmente in capo al Ministero dell’Interno, è diminuita in maniera significativa negli ultimi anni, quasi dimezzandosi rispetto al 2019. Nonostante gli ingressi di migranti fossero diminuiti già nella seconda metà del 2017, il sistema di accoglienza ha impiegato quasi tre anni per vedere una riduzione significativa nelle presenze e, quindi, nei costi di gestione.

In questo caso va precisato che non sono inseriti i fondi europei (principalmente all’interno del fondo Fami) gestiti dal Ministero del Lavoro. Vengono infatti considerati qui solo i flussi finanziari direttamente in capo al bilancio dello Stato: se considerassimo i fondi Ue, infatti, dovremmo calcolare anche la quota che l’Italia spende per contribuire al bilancio europeo, di cui è contributrice netta.

L’ultimo settore è quello dei trasferimenti monetari diretti. In questo caso, le spese per l’assistenza prevalgono su quelle per la previdenza, al contrario di quanto avviene per gli italiani. Nel 2020 la spesa per disoccupazione è stata quella che ha subito il maggiore incremento, per tutelare i lavoratori dei settori colpiti dalle chiusure legate all’emergenza sanitaria.

Secondo un report pubblicato dall’Inps nel luglio 2022, la spesa pensionistica riferita ai cittadini non comunitari ammonta a 1,2 miliardi (0,4 per cento del totale). Considerando che i non comunitari rappresentano in questo caso il 54 per cento degli stranieri totali e ipotizzando un ammontare medio pari tra comunitari e non comunitari, la spesa pensionistica per i cittadini stranieri è di 2,2 miliardi (0,7 per cento). Vanno aggiunte le altre prestazioni non pensionistiche (disoccupazione, malattia, maternità, assegni nucleo familiare, reddito di cittadinanza), pari a 6,2 miliardi (23,2 per cento del totale). La spesa previdenziale riferita ai cittadini stranieri è quindi di 8,45 miliardi, pari al 2,6 per cento del totale.

In questo caso è evidente la diversa incidenza degli stranieri nelle misure assistenziali (oltre il 20 per cento) legate alla povertà e alla condizione familiare, e quelle previdenziali (meno dell’1 per cento), legate invece all’età anagrafica.

Complessivamente, il totale delle spese a costo medio nel 2020 è di 26,8 miliardi, che rappresenta il 3 per cento della spesa pubblica italiana.

Il gettito fiscale e contributivo

Incrociando i dati forniti dal Ministero dell’Economia e delle Finanze sui contribuenti nati all’estero con i dati Istat sugli occupati stranieri nel 2020 (2,2 milioni), possiamo stimare un volume di redditi dichiarati dai contribuenti stranieri pari a 27,1 miliardi di euro e un volume di Irpef versata per 3,3 miliardi.

Nel gettito fiscale complessivo, vanno inoltre considerate anche le addizionali comunali e regionali, che portano il gettito Irpef a 3,7 miliardi.

Anche per le altre voci di entrata è possibile calcolare la quota riconducibile agli immigrati. Va considerata, ad esempio, l’imposta indiretta sui consumi, che può essere stimata applicando un’aliquota media del 13 per cento (sulla base delle rilevazioni sui consumi, sappiamo che gli immigrati si collocano su fasce di mercato mediamente più basse, con consumi prevalentemente di sussistenza). Se si ipotizza che il reddito delle famiglie straniere sia speso in consumi soggetti a Iva per una quota del 90 per cento (escludendo rimesse, affitti, mutui e altre voci non soggette a Iva), si può stimare un valore complessivo dell’imposta indiretta sui consumi di 3,2 miliardi di euro (pari a circa il 3 per cento di tutta l’Iva riscossa in Italia).

Il calo dei redditi e – di conseguenza – quello dei consumi sono tra gli effetti più significativi dell’emergenza sanitaria del 2020. Come vedremo, questa flessione avrà un impatto sul calcolo complessivo dell’impatto fiscale dell’immigrazione in Italia.

Vi sono poi altre imposte su beni di consumo: tabacchi, rifiuti, lotterie, tasse auto, carburanti, canone tv. Per alcune di queste voci abbiamo un’indicazione sull’incidenza dei consumi degli stranieri sui consumi totali. In altri casi utilizziamo l’incidenza della popolazione straniera adulta nell’anno di riferimento (8,3 per cento) o quella delle famiglie straniere (7 per cento). Sommando le varie voci otteniamo una somma complessiva stimabile in 3,3 miliardi.

Per quanto riguarda le tasse legate all’abitazione, per Imu e Tasi bisogna considerare che solo il 14 per cento delle famiglie straniere ha la casa di proprietà (oltre che di valore mediamente più basso), per cui il gettito di questa voce rappresenta appena l’1 per cento del totale. Sommando anche le tasse comunali sui rifiuti (Tari) e imposte su gas e luce, arriviamo a 1,9 miliardi.

Un’ulteriore fonte di introito per le casse dello stato è rappresentata dalle spese per il rilascio e il rinnovo dei permessi di soggiorno, il cui costo medio ammonta a 200 euro pro-capite. Nel 2020 quelli in scadenza erano 1,3 milioni e si può ipotizzare che almeno 1 milione sia stato rilasciato la prima volta o rinnovato in quell’anno. Aggiungendo anche le entrate relative alle 131 mila acquisizioni di cittadinanza italiana (spesa media di 250 euro pro-capite più marche da bollo), si ottiene un gettito di circa 200 milioni di euro.

Oltre al gettito fiscale, vanno anche considerati i contributi previdenziali e sociali. Questi, pur non essendo una vera e propria imposta, nell’immediato rappresentano comunque un sostegno per le casse dello stato (sistema “a ripartizione”). Alcuni studiosi sostengono che nel computo vada tenuto conto anche del “debito previdenziale implicito”, ovvero l’importo delle pensioni che gli immigrati riceveranno in futuro. In realtà, su questo tema l’ex presidente dell’Inps Tito Boeri ha chiarito che le pensioni che riceveranno gli immigrati saranno sicuramente più basse rispetto al totale dei contributi versati, dato che oltre il 99 per cento di loro ha cominciato a lavorare in Italia dopo il 1996 e dunque andrà in pensione con il sistema contributivo (vedi Relazione annuale Inps, 2017). Inoltre, andrebbero considerati anche i contributi “persi” dagli immigrati che fanno rientro in patria, per cui è difficile pervenire a una stima annua. Secondo il rapporto Inps del 2022, possiamo calcolare che il gettito contributivo 2020 riconducibile agli immigrati sia stato di 15,9 miliardi, pari al 9,8 per cento del gettito Inps complessivo.

Sommando il gettito fiscale e i contributi previdenziali e sociali, risulta che i contribuenti stranieri hanno assicurato entrate per le casse dello Stato italiano pari a 28,2 miliardi di euro durante il 2020.

Le prospettive

Anche nell’anno della pandemia, dunque, il saldo tra costi e benefici dell’immigrazione è positivo per le casse dello stato. Inoltre, possiamo affermare che la situazione è destinata a migliorare ulteriormente, per diverse ragioni.

In primo luogo, nel 2020 si è registrato per la prima volta un calo nel numero di contribuenti nati all’estero (-1,8 per cento), che si è tradotto in ancora più significativi cali dei redditi dichiarati (-4,3 per cento) e dell’Irpef versata (-8,5 per cento). Anche l’Iva, calcolata attraverso un’aliquota media sul volume dei redditi, segue inevitabilmente la stessa tendenza. Guardando la serie storica degli ultimi dieci anni, si può ipotizzare che la flessione dell’ultimo anno rappresenti un’anomalia più che un’inversione di tendenza. Pertanto, è prevedibile una ripresa già a partire dai redditi 2021.

Dal lato della spesa pubblica, il 2020 ha segnato un aumento complessivo della spesa (+8,4 per cento), specie nelle voci legate alle misure di sostegno a famiglie e imprese. La metodologia dei “costi medi” non consente di isolare le categorie di utenti a cui è indirizzato l’aumento di spesa, per cui la quota degli stranieri cresce all’aumentare del volume complessivo, sebbene la presenza straniera rimanga invariata.

Una voce che invece diminuisce rispetto agli anni precedenti è quella per “immigrazione e accoglienza”, legata al progressivo decongestionamento dei centri di accoglienza, dopo i picchi di sbarchi del 2016 e 2017.

Per queste ragioni, è prevedibile un aumento del saldo tra entrate e uscite già dai prossimi anni.

Saldo che, è bene precisarlo, non tiene comunque conto del contributo (questo sì nettamente positivo) che la presenza immigrata fornisce alle dinamiche demografiche in corso e alle necessità del tessuto produttivo. L’integrazione degli immigrati continuerà quindi a portare benefici a livello economico, garantendo forza lavoro, consumi e nuovi investimenti, a patto che i processi di inclusione siano sostenuti da una programmazione efficace.

Tabella 1 – Caratteristiche dei contribuenti per Paese di nascita e di cittadinanza (anno di imposta 2020)

Tabella 2 – Stima costo medio “Costi/Benefici” dell’immigrazione (a.i. 2020)

Fonte: Elaborazioni Fondazione Leone Moressa su dati Istat RCFL e MEF – Dip. Finanze

fonte articolo: la voce.info

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