La tecnologia mi affascina. Il futuro di più, benché un po’ mi inquieti, dacché sono interdipendente dalle sorti altrui. Noi persone con disabilità grave/gravissima siamo nelle mani degli altri. Quindi la nostra vita, col futuro che ne consegue, è un ineludibile atto di fiducia nel prossimo. Ma anche nella tecnologia, perché se si sviluppa lasciando fuori le persone con disabilità genera un taglio eugenetico che, peraltro, può riguardare tutti.
Il futuro non è mai stato imprevedibile come adesso perché condizionato da variabili in crescita e in rapida accelerazione: la geopolitica inquieta, l’intensificazione dei cambiamenti climatici, la diffusione della liquidità di genere e lo spasmodico ricorso all’intelligenza artificiale sono solo alcuni di questi elementi in via di cambiamento. In questa vorticosa combinazione di mutamenti quale sarà lo spazio per le persone disabili?
La geopolitica instabile porta a conflitti di modelli sociali che coinvolgono direttamente le persone con disabilità. Non è una semplice contrapposizione fra il cosiddetto mondo libero e il cosiddetto modello autoritario, bensì si palesa il rafforzarsi di una barriera comunicativa che può impedire il riconoscimento dei diritti delle persone con disabilità a livello universale. Fra visioni culturali in conflitto c’è il rischio che ciò che vale da una parte non valga dall’altra. A beffa della convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità.
I cambiamenti climatici portano a un’instabilità ambientale che modifica il territorio creando nuove barriere quanto nuove possibilità di ricostruzione accessibile. Una frana improvvisa produce una barriera ancor più invalicabile per chi ha una disabilità motoria oppure necessità di ricevere cure repentinamente. Un clima diverso può configurare difficoltà di vivibilità alle persone con disabilità relazionali, psichiche e intellettive incolmabili nel breve periodo. In caso di catastrofe servono servizi di soccorso adeguati a salvaguardare le persone con disabilità. Al contempo la ricostruzione ambientale può facilitare la resa di un ambito maggiormente accessibile. Ma solo se chi ricostruisce sa tenerlo presente.
La consapevolezza della fluidità di genere aiuta anche le persone con disabilità che non riescono a inquadrarsi nello schema accademico uomo-donna. Contemporaneamente possono ingenerare un’incertezza, frutto di un retaggio culturale cristallizzato, che necessita del giusto processo di inclusione per essere compresa e superata.
Le note più dolenti giungono dall’impatto tecnologico sulla società. Quanto l’intelligenza artificiale, che in realtà a oggi di intelligenza è priva, è in grado di considerare le istanze, la condizione, delle persone con disabilità?
Queste tecnologie si basano sugli algoritmi, cioè su calcoli e modelli matematici che a loro volta si riconducono a modelli statistici ovvero a banche dati. Ma se questi non prendono in considerazione le persone con disabilità, ovvero le esigenze di ogni essere umano, forniscono risultati che escludono una parte della popolazione. Facciamo un esempio.
Se per la concessione di un mutuo utilizzo degli algoritmi che valutano la solvibilità del richiedente considerando che le persone con disabilità difficilmente trovano lavoro, ottengo un modello per cui nessuna persona con disabilità potrà ottenere un mutuo. Anche quelle che un lavoro ce l’hanno.
Se generiamo un mondo virtuale che estranea dalla realtà portandoci in una realtà digitale fortemente inglobante, come potrebbe essere quella del Metaverso e affini, corriamo un pericolo doppio. Se la realtà non è accessibile ne veniamo tagliati fuori. Ed è il rischio che potrebbero correre le persone che non vedono o non muovono le braccia, anche temporaneamente, per esempio. Altro rischio risiede nella natura completamente immersiva del sistema, che esclude dal contatto con la realtà circostante. Cioè la casa derubata mentre siamo connessi.
Che fare? Esistono le human technologies, ovvero tecnologie studiate per concepire le istanze dell’umanità. In verità non dovrebbero esistere perché tutte le tecnologie dovrebbero intrinsecamente essere umane. Dal momento che esistono voglio sperare il futuro della tecnologia non estranei le persone con disabilità. Ma questo vale anche per gli altri campi presi in esame, ovvero per tutto il futuro. Abbiamo un vorace bisogno di umanità. E se non lo abbiamo dobbiamo avercelo.
Il futuro che costruiamo noi ora deve concepire l’esistenza delle persone con disabilità, oltre che di ogni altra persona. Ora per realizzare sistemi che proiettati nel domani contengano i germi, le istruzioni, per non trascurare chi sarà disabile nel futuro. Cioè tutti noi, perché il futuro sta passando.
fonte: InVisibili – corriere.it
immagine: corriere.it
Non sono mai stato invisibile. Da piccolo ero cicciottello e non vedermi era impossibile. A diciassette anni circa, sono del 1970, ho perso venti chili, ho messo cravatta e camicia e ho iniziato a testimoniare quanto sia importante capire, dunque ascoltare e comunicare. Nel 1988 un tuffo in mare e divento tetraplegico. Non cambio idea. Le idee si cambiano quando sono sbagliate e che lo siano ce lo dice la comunità, che sui miei capisaldi per ora tace. Negli anni ’90 inizio a testare programmi di riconoscimento vocale per l’uso del pc a voce, mi diplomo nel ramo della contabilità, rinuncio all’università perché senza mani è durissima e finisco su giornali e tv a promuovere l’importanza del vivere. Col XXI secolo seguo la nascita di Dama, per la fruizione dell’ospedale anche a chi è disabile, studio l’accessibilità al Web e faccio consulenza, entro nello staff dell’istituto Besta per la salute e la disabilità, faccio un corso Icf (international classification of functioning, disability and health) e assisto ad uno di bioetica in Cattolica a Milano, dove son nato e vivo. Nel 2007 pubblico con Minnie Luongo “Intervista col disabile” per far luce sulla disabilità come realtà collettiva. Approdo al giornalismo su Itala Oggi, poi su Vivere in Armonia e sul suo blog e oggi scrivo per BenEssere, delle edizioni San Paolo. Sono giornalista dal 2011, mi piacciono un sacco di cose, soprattutto il bello, la ragione, Dio. Chioso: scrivere è confrontarsi con se stessi ad alta voce.