Interrompere una gravidanza non desiderata è una decisione che riguarda milioni di persone e avere la possibilità di farlo in modo sicuro e legale è un importante obiettivo di salute pubblica globale.
In periodo di campagna elettorale il tema dell’aborto è tornato di nuovo al centro del dibattito politico italiano. Le norme, e di conseguenza i diritti, legate all’interruzione volontaria di gravidanza (IVG) possono sempre essere messe in discussione, come ci ha dimostrato quanto successo negli Stati Uniti, dove, il 24 giugno la Corte Suprema si è espressa, con 6 voti a favore e 3 contrari, per il ribaltamento della sentenza Roe v. Wade. La storica sentenza, risalente al 22 gennaio del 1973, rese legale a livello federale il diritto all’aborto riconoscendolo come diritto individuale della donna e delle persone con utero, estendendo il concetto di privacy fino a riconoscere all’individuo la libertà di prendere decisioni in ambito intimo e, conseguentemente, anche procreativo. L’effetto della decisione della Corte Suprema è stato quello di rimettere quindi la legislazione in materia di diritto all’aborto alla legislazione dei singoli stati, privando milioni di persone di un diritto acquisito da quasi 50 anni e disconoscendo i principi espressi dalla sentenza del 1973.
Interrompere una gravidanza non desiderata è una decisione che riguarda milioni di persone e avere la possibilità di farlo in modo sicuro e legale è un importante obiettivo di salute pubblica globale. Per questo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), ha incluso l’assistenza completa all’aborto nell’elenco dei servizi sanitari essenziali (1). Ogni anno nel mondo si verificano circa 73 milioni di aborti indotti: 6 su 10 gravidanze non volute e 3 su 10 gravidanze in generale si concludono con un’IVG (2, 3). L’IVG è una procedura medica semplice e sicura, anche più sicura del parto stesso, se praticata adeguatamente, con le competenze necessarie e in condizioni igieniche corrette (4).
Attualmente, esistono due modalità di aborto:
- metodo farmacologico, che si basa sull’assunzione di Mifepristone (meglio conosciuto col nome di RU486) e di una prostaglandina, a distanza di 48 ore l’uno dall’altro. Il mifepristone, interessando i recettori del progesterone necessari per il mantenimento della gravidanza, causa la cessazione della vitalità del prodotto del concepimento; le prostaglandine, invece, ne determinano l’espulsione.
- metodo chirurgico, effettuato in anestesia generale o locale, che consiste nell’isterosuzione e/o nel raschiamento (5).
Limitare l’accesso all’aborto non riduce il numero di aborti (2). Secondo il Guttmacher Institute, un’organizzazione no-profit statunitense che si occupa di salute riproduttiva, il tasso di abortività è di 37 per 1.000 persone nei Paesi che vietano del tutto l’aborto, o che lo consentono solo in casi di pericolo per la vita della persona incinta, e di 34 per 1.000 persone nei Paesi che lo consentono in generale, una differenza statisticamente non significativa. La criminalizzazione dell’aborto, quindi, non ferma gli aborti, li rende solo meno sicuri. L’OMS stima che ogni anno si verifichino 25 milioni di aborti non sicuri (ben il 45% di tutti gli aborti volontari) e che questi siano responsabili del 4.7–13.2% di tutte le morti materne, interessando in maniera sproporzionata le regioni a basse risorse, dove ogni anno 7 milioni di persone vengono trattate per complicanze di un aborto non sicuro. (4)
Rendere l’aborto illegale, o renderne difficoltoso l’accesso, ha un impatto soprattutto sulle fasce più vulnerabili della popolazione: tra le persone che effettuano l’IVG il 49% vive sotto la soglia di povertà, il 60% ha un’età inferiore a 30 anni e quasi il 60% appartiene a minoranze etniche (6). C’è inoltre il peso delle spese mediche legate alla gravidanza: in molti casi gli stati che presentano legislazioni più restrittive nei confronti dell’IVG sono anche quelli in cui l’assistenza sanitaria pubblica offre minori coperture ai cittadini. Lo stesso istituto ha pubblicato un report (7) che sintetizza i benefici economici e sociali che si associano alla possibilità delle persone di decidere se e quando procreare: la possibilità di programmare, ritardare o evitare una gravidanza (mediante contraccezione e IVG) facilita le persone nel raggiungimento dei loro obiettivi in ambito educativo e professionale, soprattutto per le categorie a basso reddito.
Oltre agli effetti sulla salute e quelli sociali, la criminalizzazione dell’aborto rappresenta una violazione dei diritti umani. La legge internazionale sui diritti umani stabilisce infatti chiaramente che le decisioni sul proprio corpo spettano solo alla persona stessa: chiunque deve essere libero di esercitare autonomia corporea e di prendere decisioni sulla propria vita, compreso quando e se avere figli/e. (1,5).
E in Italia? Attualmente, in Italia qualsiasi donna può richiedere l’IVG entro i primi 90 giorni di gestazione per motivi di salute, economici, sociali o familiari. Dal 1978 questo intervento è regolato dalla legge 194, “Norme per la tutela della maternità e sull’interruzione volontaria di gravidanza”, che sancisce le modalità di ricorso all’aborto volontario. L’intervento può essere effettuato presso le strutture pubbliche del Servizio sanitario nazionale e le strutture private convenzionate e autorizzate dalle Regioni. L’IVG può essere praticata anche dopo i primi 90 giorni, quando la gravidanza o il parto comportino un grave pericolo per la vita della gestante, oppure quando siano state accertate gravi anomalie del feto che potrebbero danneggiare la salute psicofisica della persona in gravidanza (8). La legge, inoltre, riconosce espressamente il diritto per il personale sanitario di sollevare obiezione di coscienza rispetto alle attività necessariamente e specificamente dirette a provocare l’aborto, restando invece escluse l’assistenza antecedente e conseguente l’intervento, nonché quelle circostanze in cui l’azione dell’obiettore sia indispensabile per salvare la vita della donna, se in imminente pericolo. Secondo l’ultima relazione annuale tenuta dal Ministro della Salute in Parlamento, negli ultimi anni è stata riscontrata, soprattutto fra le persone giovani, una progressiva diminuzione del tasso di abortività, tendenza che potrebbe essere riconducibile all’aumento dell’utilizzo della contraccezione di emergenza, richiedibile senza necessità di prescrizione per le persone maggiorenni. Nel Nord e Centro Italia si riscontrano tassi generalmente più alti rispetto al Sud: questo dato potrebbe essere parzialmente influenzato dalla diversa distribuzione della popolazione immigrata, dove il tasso di abortività è più del doppio rispetto a quella italiana, benché questa differenza sia in calo negli ultimi anni.
Un elemento non trascurabile, tuttavia, è quanto il servizio sia realmente accessibile. Sul territorio nazionale le strutture che effettuano IVG sono il 63,8% del totale, con grandi differenze regionali: in Campania e nella Provincia Autonoma di Bolzano il numero di punti IVG è inferiore al 30% delle strutture censite. Inoltre, la percentuale di operatori sanitari obiettori di coscienza è molto alta: nel 2020 tale fenomeno ha riguardato il 64,6% dei ginecologi, il 44,6% degli anestesisti e il 36,2% del personale non medico, valori in calo rispetto al 2018, con ampie variazioni regionali (9). Tali dati non possono che generare preoccupazione riguardo la possibilità di accesso all’IVG, in modo omogeneo, sul territorio nazionale. Secondo uno studio italiano, infatti, l’obiezione di coscienza ostacola l’accesso all’aborto a livello locale, imponendo tempi d’attesa più lunghi e maggiori distanze da percorrere (con i costi che questo comporta). In maniera coerente suggeriscono che le barriere nell’accesso all’aborto siano più difficili da aggirare per le persone provenienti dalle regioni più povere o che vivono altre forme di svantaggio economico (10). Questo problema è stato rilevato, in ben due occasioni, anche dal Comitato Europeo dei Diritti Sociali (The European Committee of Social Rights – ECSR), che ha segnalato l’Italia per la violazione dei trattati internazionali in considerazione del suo fallimento nell’assicurare il diritto alla salute, dovuto alla carenza nella fornitura di servizi causata dall’obiezione di coscienza del personale sanitario.
Un ulteriore elemento di disuguaglianza a livello regionale è la possibilità di accesso all’aborto farmacologico, che è stato esteso fino a nove settimane compiute di età gestazionale solo nel 2020, allineando l’Italia alle pratiche in uso nella gran parte degli altri Paesi europei (11). Nello stesso anno, l’approccio farmacologico all’IVG ha riguardato il 35,1% dei casi. Le differenze interregionali sono marcate: 11 regioni o province autonome si trovano al di sotto della media nazionale, tra cui il Molise, dove solo l’1,9% delle IVG è farmacologico. Dai dati è evidente un’eterogeneità interregionale che esula dal cosiddetto “divario Nord-Sud” che interessa il Paese in altri aspetti della Sanità e che deriva probabilmente da differenti approcci nell’ambito delle politiche sanitarie. In altri Stati Europei le percentuali di aborto farmacologico sono nettamente superiori a quelle italiane, arrivando al 90% in Nord Europa. Allinearsi a questi standard consentirebbe, tra le altre cose, di limitare l’impatto del fenomeno dell’obiezione di coscienza.
Questo lavoro fa emergere con chiarezza la distanza tra la legislazione italiana in merito all’IVG, che la identifica come diritto, e il modo in cui questa viene realizzata. Il numero di aborti clandestini in Italia, secondo una stima del Ministero della Salute, si attesta tra i 12.000 e i 15.000 l’anno (9). La difficoltà di accesso, tuttavia, non si manifesta esclusivamente tramite l’allungamento dei tempi di attesa e la necessità di spostarsi per poter usufruire dei servizi, ma anche tramite dei meccanismi talvolta meno evidenti e più difficilmente quantificabili. Le associazioni e i gruppi che lavorano con categorie marginalizzate, come ad esempio migranti e sex worker, riferiscono ostacoli di natura multiforme nell’accesso ai servizi. Tali ostacoli sono in parte dovuti alla discriminazione sistemica di cui le minoranze sono oggetto, in parte alla fortissima carenza di servizi di mediazione linguistica e culturale e alla scarsa conoscenza dei servizi, delle tempistiche e delle modalità per accedervi.
Alle barriere organizzative e logistiche, si sommano lo stigma e le discriminazioni che subiscono le persone che decidono di ricorrere all’IVG. Si tratta di un fenomeno globalmente diffuso: prescindere dalla legislazione in merito, le persone sono colpevolizzate per il ricorso all’IVG, perché in contrasto con le norme sociali che riguardano le sfere della sessualità e della maternità. L’esperienza stigmatizzante può essere esaminata da diversi punti di vista: lo stigma percepito si riferisce alla consapevolezza degli atteggiamenti svilenti di terzi riguardo la propria IVG e l’aspettativa che questi atteggiamenti possano diventare discriminatori. Lo stigma rappresentato descrive esperienze di trattamenti negativi o discriminatori ricevuti da terzi. Per stigma internalizzato si intende invece l’interiorizzazione di norme sociali, credenze e mentalità svilenti legate all’aborto, creando un senso di colpa e di vergogna. Quest’ultimo in particolare è stato identificato come un importante fattore di rischio per la salute mentale, per la compromissione della sfera sociale e per il ritardo nella ricerca di cure professionali.
Spesso le persone nascondono la loro IVG per combattere lo stigma: tuttavia, questo può portare con sé la soppressione di pensieri ed emozioni e isolamento sociale, frenando a sua volta la ricerca di supporto sociale (12). In Italia il movimento femminista e diverse organizzazioni pro-choice, come “IVG, Ho abortito e sto benissimo!” stanno cercando di assicurare un accesso sicuro all’IVG e di cambiare la narrazione legata a questa pratica, che viene sempre descritta come un fatto doloroso e connesso al senso di colpa. La recente proposta di rendere obbligatoria la sepoltura dei feti, oltre a limitare la libertà di scelta individuale, lega l’esperienza dell’IVG al lutto, pretendendo che tutte le persone provino gli stessi sentimenti. L’IVG è un diritto che non dovrebbe essere gravato dal giudizio della comunità e degli operatori sanitari che lavorano in questi servizi (13).
Le donne e tutte le persone con utero sono le uniche a poter scegliere cosa fare del proprio corpo e non possiamo smettere di vigilare perché tale diritto sia rispettato.
Gruppo di Lavoro “Parità di Genere in Salute Pubblica”, Consulta dei Medici in Formazione Specialistica in Igiene e Medicina Preventiva della Società Italiana di Igiene. Componenti del gruppo di lavoro che hanno partecipato alla stesura dell’articolo: Virginia Casigliani, Elena Mazzalai, Clara Mazza, Arianna Bellini, Giusy La Fauci, Veronica Gallinoro, Chiara De Marchi, Caterina Ferrari, Alessandro Berti, Francesca Grosso, Ester Bonanno
Bibliografia:
https://www.who.int/publications/i/item/9789240039483
WHO https://www.who.int/news-room/fact-sheets/detail/abortion
Bearak J, Popinchalk A, Ganatra B, Moller A-B, Tunçalp Ö, Beavin C et al. Unintended pregnancy and abortion by income, region, and the legal status of abortion: estimates from a comprehensive model for 1990–2019. Lancet Glob Health. 2020 Sep; 8(9):e1152-e1161. doi: 10.1016/S2214-109X(20)30315-6.).
https://www.guttmacher.org/united-states/abortion/demographics
https://www.guttmacher.org/sites/default/files/report_pdf/social-economic-benefits.pdf
https://www.epicentro.iss.it/ivg/
https://www.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_3236_allegato.pdf
Tommaso Autorino, Francesco Mattioli, Letizia Mencarini, “The impact of gynecologists’ conscientious objection on abortion access”, Social Science Research, Volume 87, 2020, 102403, ISSN 0049-089X, https://doi.org/10.1016/j.ssresearch.2020.102403.
https://www.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_3039_allegato.pdf “Linee di indirizzo sulla interruzione volontaria di gravidanza con mifepristone e prostaglandine”
Hanschmidt F, Linde K, Hilbert A, Riedel-Heller SG, Kersting A. Abortion Stigma: A Systematic Review. Perspect Sex Reprod Health. 2016 Dec;48(4):169-177. doi: 10.1363/48e8516. Epub 2016 Mar 31. PMID: 27037848.
Caruso, E. Abortion in Italy: Forty Years On. Fem Leg Stud 28, 87–96 (2020). https://doi.org/10.1007/s10691-019-09419-w
fonte: saluteinternazionale.info