Qual è l’impatto complessivo della guerra in Ucraina a sei mesi dal suo inizio? Sul Lancet, lo storico Ed Holt descrive uno scenario che va al di là delle persone morte e ferite e un sistema sanitario sottoposto a uno stress pesantissimo, sebbene in molti casi gli operatori sanitari siano riusciti a mantenere attivi i servizi, mentre l’Oms ha avvertito del rischio di focolai di malattie infettive.
Dall’inizio dell’invasione russa il sistema sanitario ucraino, già fragile, è stato sottoposto a pesanti attacchi e stress e la salute delle persone minacciata. Le conseguenze si manterranno a lungo anche dopo la fine della guerra.
«A sei mesi dall’invasione russa del Paese, il 24 febbraio, il sistema sanitario ucraino sta lottando per continuare a fornire servizi a una popolazione sempre più traumatizzata dalla guerra in corso. Secondo le Nazioni Unite al 15 agosto erano 5.514 i civili uccisi e 7.698 i feriti confermati, ma le stesse Nazioni Unite affermano che la cifra reale potrebbe essere molto più alta». Lo scrive lo storico Ed Holt su Lancet nella rubrica World Report del 27 agosto.
Lo scenario complessivo dell’impatto della guerra, tuttavia, va ben al di là del numero delle persone uccise o ferite dal conflitto: bisogna infatti considerare i 7 milioni di sfollati all’interno dell’Ucraina (circa un terzo della popolazione è stata costretta a lasciare la propria casa), i quasi 6 milioni di profughi accolti in Europa (in Italia circa 150.000), ma anche i 13 milioni di persone che, al contrario, sono rimaste bloccate nelle aree colpite. «I danni alle infrastrutture si calcolano in circa 110 miliardi di dollari, comprese le strutture sanitarie deliberatamente prese di mira dalle truppe degli invasori: l’Organizzazione mondiale della sanità ha registrato 445 attacchi alle strutture sanitarie a partire dall’11 agosto, attacchi che hanno causato 86 morti e 105 feriti», continua Holt. Il giovane storico inglese, autore di diversi rapporti sulla situazione dell’Ucraina a partire dall’invasione russa, descrive come i combattimenti hanno devastato l’offerta sanitaria: paesi e città sono rimasti senza ospedali o strutture di assistenza primaria, i medici sono pochi e sovraccarichi di lavoro, c’è carenza di medicinali, molte farmacie sono chiuse in modo permanente e servizi di pronto intervento lottano per raggiungere i pazienti attraverso strade e ponti bombardati.
Holt ha raccolto il commento di Oleksii Korzh, capo del Dipartimento di medicina generale e medicina di famiglia presso l’Accademia medica di Kharkiv: «L’allontanamento del personale medico, compresi gli specialisti, e gli attacchi alle strutture sanitarie hanno avuto un impatto importante sul sistema di assistenza sanitaria. Inoltre, l’interruzione delle catene di approvvigionamento significa che i farmaci e i dispositivi medici necessari potrebbero non essere disponibili nel posto giusto e al momento giusto». Anche in luoghi considerati relativamente sicuri, i servizi non funzionano sempre senza intoppi e il personale medico è stato costretto ad adattarsi a nuove modalità di lavoro. Come, per esempio, continuare ad operare anche sotto un bombardamento.
Gli operatori sanitari sono sempre più esausti a causa dell’enorme sforzo cui sono costretti per mantenere in funzione i servizi di base.
Vecchie e nuove malattie: il rischio del diffondersi dei focolai
Dopo aver segnalato a più riprese lo stress a cui è sottoposto il sistema sanitario ucraino, l’Oms più di recente ha evidenziato la minaccia legata ai focolai di malattie infettive, avvertendo che sarebbe necessario rinforzare la sorveglianza.
Anche prima della guerra, l’Ucraina stava lottando contro una realtà di epidemie e focolai diffusi e un profilo di salute tra i peggiori su scala globale (come già ricordavamo in un articolo pubblicato poco più di un mese dopo l’inizio del conflitto: La guerra fa male alla salute). Nel Paese si registra infatti il secondo maggior carico di Hiv/Aids in Europa e il quinto più alto numero di casi confermati di tubercolosi resistente ai farmaci. Secondo l’Oms, inoltre, un focolaio circolante di poliovirus di tipo 2 ha preso il via già a settembre 2021, le infezioni da virus dell’epatite B e dell’epatite C sono state identificate come problemi chiave di salute pubblica e il paese ha registrato molteplici focolai di morbillo negli ultimi dieci anni.
E non basta, riprende Holt nel suo testo: «i tassi di copertura per tutte le malattie prevenibili con il vaccino sono bassi e il tasso di vaccinazione contro il COVID-19, circa il 36% per la prima dose, è tra i più bassi d’Europa. Inoltre, la copertura vaccinale è inferiore al 50% proprio nelle regioni, come l’Ucraina orientale, dove la popolazione è cresciuta maggiormente a seguito degli sfollamenti». Il timore dell’Oms è che con l’avvicinarsi dell’autunno e dell’inverno i combattimenti in corso possano ostacolare ulteriormente gli sforzi per prevenire potenziali focolai di malattie (per esempio, la campagna di immunizzazione contro la poliomielite che era stata avviata all’inizio di febbraio si è dovuta interrompere a causa della guerra ed è stato possibile rilanciarla soltanto ora). La promiscuità legata alle condizioni in cui sono costretti a vivere gli sfollati è un altro fattore di rischio: «Durante i raid aerei devi trovare riparo nei rifugi, dove persone sane e malate possono entrare in contatto. E comunque è normale che gruppi di sfollati vivano tutti insieme in una sola stanza», ha ricordato Oleksii Korzh.
La determinazione dei sanitari ha salvato molte vite
E tuttavia, in molti casi gli operatori sanitari sono riusciti a mantenere in funzione i servizi di salute pubblica. Si temeva, per esempio, che lo sfollamento massiccio avrebbe esacerbato le vulnerabilità dei gruppi più fragili, come i tossicodipendenti e i portatori di Hiv, tubercolosi ed epatite: ebbene, spesso medici e personale sanitario hanno continuato comunque, pur tra mille difficoltà, a fornire l’assistenza necessaria, compresa la sorveglianza.
I professionisti sanitari che hanno parlato con Holt hanno ripetutamente sottolineato come «gli sforzi disinteressati dei colleghi determinati a mantenere in funzione i servizi siano stati fondamentali per garantire che il sistema sanitario continuasse a funzionare. Tra gli stessi operatori molti hanno sofferto a causa della guerra, ma hanno continuato a lavorare per salvare vite umane».
Anche le agenzie di soccorso internazionali e le organizzazioni umanitare stanno svolgendo un ruolo cruciale nel mantenere operativi i servizi sanitari, fornendo aiuto per garantire le forniture di medicinali e attrezzature, la riabilitazione delle strutture, la formazione del personale medico. Ma sebbene i funzionari del governo, le autorità e il personale sanitario siano riusciti a mantenere il sistema in funzione, la situazione nelle aree non più sotto il controllo ucraino appare molto più grave. Alcune segnalazioni parlano di un’interruzione quasi totale dell’assistenza sanitaria in alcune città e territori occupati dalla Russia e lanciano l’allarme sull’assenza di acqua potabile e sulle condizioni igieniche inadeguate, che, insieme alle alte temperature estive stanno creando il potenziale per focolai di malattie pericolose, come il colera.
La conferma di questi allarmi è difficile perché le autorità ucraine non hanno più accesso a questi territori e le autorità occupanti controllano strettamente le comunicazioni al loro interno. Le poche informazioni disponibili arrivano quindi attraverso gli scambi che i singoli operatori riescono a mantenere con i colleghi.
Holt è riuscito a raccogliere la testimonianza un’infermiera in un centro per le cure primarie nell’autoproclamata Repubblica popolare di Donetsk. Yulia Petrenko (il nome è fittizio), 60 anni, ha descritto quanto l’assistenza sanitaria sia gravemente limitata nella città e nella regione: «ci sono seri problemi nell’accesso ai servizi. I medici se ne sono andati, i centri diagnostici sono chiusi quindi i pazienti non possono sottoporsi a esami e ricevere diagnosi. Negli ospedali si prestano i primi soccorsi, ma le consulenze specialistiche sono difficili da ottenere, perché molti medici specialisti se ne sono andati. La fornitura di medicinali è in pericolo perché con l’intensificarsi delle ostilità nessuno vuole rischiare di consegnarli».
La fine della guerra non sarà la fine delle sofferenze
I funzionari del governo ucraino hanno ripetutamente condannato le autorità russe nei territori occupati per il trattamento riservato alle popolazioni locali e all’inizio di agosto il ministro della Salute Viktor Liashko ha ribadito che la Russia aveva negato alla popolazione locale l’accesso ai medicinali.
Un aspetto importante su cui si sofferma il rapporto di Holt riguarda la domanda di servizi di salute mentale. Si stima, infatti, che fino a 15 milioni di ucraini avranno bisogno di supporto psicosociale, come conseguenza della guerra e che per 3-4 milioni di persone si renderà necessario un supporto farmacologico.
Oksana Vykhivska, una psicologa che lavora per Medici senza frontiere a Kiev, ha detto a Holt: «Dall’inizio della guerra, le persone hanno affrontato un’ampia varietà di esperienze traumatiche: dai bombardamenti all’abbandono della propria casa e della propria vita. Altre hanno perso persone care, alcune sono costantemente preoccupate per i propri familiari in pericolo». Gli operatori di salute mentale incontrano persone che presentano sintomi di stress cronico: ansia, attacchi di panico, insonnia, paura dei rumori forti, perdita di appetito, incontinenza urinaria notturna e incubi nei bambini. Per cercare di porre riparo, almeno in parte a questa situazione, il governo ucraino, insieme all’Oms hanno annunciato la creazione di un nuovo programma nazionale di salute mentale, aperto a chiunque ne abbia bisogno.
Secondo Vykhivska i servizi di salute mentale sono “resilienti”, poiché le autorità centrali collaborano con le organizzazioni non governative per soddisfare i bisogni crescenti di supporto psicologico. Ma la psicologa è certa che questi servizi saranno necessari anche in futuro, quando le persone faranno i conti con le esperienze traumatiche che hanno avuto. «Anche se la guerra finisse, ne vedremo gli effetti ancora a lungo», ha detto.
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fonte: Scienza in Rete