Il 14 luglio è la data che Eugenio Scalfari amava e che per coincidenza ha segnato la fine del governo Draghi e di una legislatura dominata da personaggi capaci di tutto e buoni a nulla. Non si è compiuta una rivoluzione civile, ma si è trattato di un mediocre 25 luglio in attesa di un patetico 8 settembre.
La legislatura è finita sotto il segno di scambi di accuse legate ai taxi, alle licenze degli stabilimenti balneari e al termovalorizzatore di Roma, un quadro davvero desolante. Doveva proprio andare così?
Lasciamo stare le liti da comare e guardiamo in controluce. Giuliano Amato si è assunto la responsabilità di non ammettere il referendum sull’eutanasia e quello sulla canapa, che avevano mobilitato in maniera straordinaria vaste sensibilità, comprese centinaia di migliaia di giovani disillusi da una politica lontana da bisogni e stili di vita.
Se non lo avesse fatto, senza dubbio il 12 giugno una valanga di Sì avrebbe cancellato norme da stato etico del Codice fascista Rocco e una legge proibizionista che dal 1990 ha intasato i tribunali e riempito le carceri. È stata una responsabilità fondata su errori di diritto inconcepibili, se non per l’obbedienza al più vieto politicismo.
Un delitto che non è certo sanato da un concerto contro la guerra e la violenza. Sarebbe così cominciata un’altra storia, perché il Parlamento non avrebbe più potuto tergiversare sullo ius scholae e sul fine vita. La centralità dell’agenda della politica sarebbe stata assunta dai diritti civili e umani. Un’occasione perduta per la democrazia. Dopo quella ferita istituzionale, la Società della Ragione, con il particolare impegno del costituzionalista Andrea Pugiotto, immaginò di dedicare il suo tradizionale seminario annuale alla Krìsis politico istituzionale: del Referendum, del Parlamento, dei partiti e della partecipazione politica.
Un appuntamento che si rivela ora ancora più indilazionabile nel nuovo scenario. Occorre mettere in campo energie e idee perché il risultato delle elezioni del 25 settembre non si riveli un incubo: una vittoria della mujera fascista farebbe precipitare l’Italia in un pozzo nero di restringimento delle libertà ancora superstiti da una grande stagione di liberazione collettiva.
D’altronde, in quello sciagurato caso, il 28 ottobre si potrebbero immaginare celebrazioni del centenario della marcia su Roma di mussoliniana memoria. La risposta non potrà che essere quella di alzare la bandiera di Piero Gobetti dell’intransigenza, con la consapevolezza che i sondaggi confermano che il fascismo rappresenta davvero l’autobiografia della nazione. Soprattutto occorre comprendere ciò che è in gioco: la giustizia, lo stato di diritto, una democrazia non nominalistica.
La riforma del carcere, spesso evocata e mai realizzata – e nessuno è esente da colpe o omissioni, da Orlando a Cartabia – cederà il passo alla reazione con addirittura il rischio di una modifica dell’art. 27 della Costituzione. Il seminario, promosso da SdR con l’adesione del Centro Riforma Stato e della Associazione Luca Coscioni, si snoderà a Treppo Carnico dal 16 al 18 settembre sull’analisi della Krìsis a tutto campo per domandarsi se esistono spazi, o come crearli, di agibilità politica per battaglie civili antiche e meno: per il diritto penale minimo e mite, le misure di clemenza come l’amnistia e l’indulto, la legalizzazione delle droghe, la valorizzazione delle soggettività politiche, specie dei gruppi sociali più emarginati e vulnerabili. L’obiettivo ambizioso è di costruire una “agenda della democrazia” da presentare al nuovo Parlamento. È una sfida per chi non vuole vivere solo di rimpianti o avere rimorsi per non essersi messo in gioco.
fonte: L’Espresso, 7 agosto 2022 su Ristretti Orizzonti