Ci può essere sanità senza territorio?
Sì, è quella che conosciamo, concentrata sull’offerta ospedaliera e ambulatoriale, in difficoltà negli spazi di vita delle persone. Vivono a casa, nei luoghi di lavoro e di socialità. La sanità senza territorio non promuove salute, ma soltanto l’offerta che dovrebbe garantirla. La lunga discussione su questo problema, e anche la pandemia, ci hanno portato a non dubitare su questa necessità, connettere sanità e territorio, ma è difficile. Il nesso «opportunità e sfide» ci sollecita, ma non ci aiuta abbastanza per passare dagli auspici alle realizzazioni.
Vent’anni fa, parlandone con il ministro Umberto Veronesi, la sua indicazione è stata sfidante. Proponeva l’ospedale del futuro, specializzato, intensivo, ad alta tecnologia. Alla domanda «È possibile realizzare l’ospedale del futuro senza il territorio del futuro?» non ha risposto ma ha chiesto: «Aiutatemi a realizzarli insieme». Sapeva che continuare a separarli non aveva senso. Solo componendo saperi, capacità, soluzioni, setting di cura… l’impossibile può diventare possibile, nel continuum dell’arco terapeutico. È un continuum se collega diagnosi e prognosi di precisione, se ci aiuta ad ottimizzare il concorso al risultato delle persone, se ci aiuta a qualificare l’efficacia complessiva dei piani assistenziali personalizzati.
Le sfide
La legge di bilancio fa dell’accesso unitario sanitario e sociale una priorità da realizzare integrando professioni, competenze, profili assistenziali, a partire dalle case della comunità. Per farlo bisogna innovare gli approcci attuali con le strategie necessarie per comporre fruttuosamente capacità professionali, personali e familiari. L’attuale disponibilità di risorse è consistente: quelle «per assistenza sociale» sono cresciute da 50 a 80 miliardi di euro negli ultimi 10 anni. Una parte di queste risorse è gestita sinergicamente con le famiglie, che aggiungono la spesa privata necessaria per ottenere cure integrate sociosanitarie di lungo periodo, che la sanità senza territorio non riesce a garantire.
La spesa pubblica per LTC (Long Term Care) si articola in 3 flussi principali: la spesa sanitaria, la spesa per assistenza sociale e la spesa per altre prestazioni. La quota dedicata alla non autosufficienza è l’1,93% del Pil, circa 32 miliardi di euro, di questi il 74% (1,43% del Pil), circa 23,6 miliardi di euro, è destinato agli ultra65enni. Nel 2020 la spesa sanitaria per LTC è stata di 13,6 miliardi di euro (42,2% della spesa complessiva LTC), di cui 9,1 miliardi destinati a persone ultra65enni. Nella spesa sociale per indennità di accompagnamento convergono diverse prestazioni monetarie che raggiungono quasi 2mila persone, con una spesa pari allo 0,8% del Pil, circa 14,1 miliardi di euro, di cui 10,7 miliardi per ultra65enni.
La spesa per LTC può essere scomposta in spesa per assistenza domiciliare e residenziale. Le prestazioni monetarie rappresentano il 49,7% del flusso complessivo, mentre la spesa «per servizi» rappresenta l’altra metà. All’interno di quest’ultima, l’assistenza domiciliare vale circa il 30% mentre l’assistenza residenziale assorbe il 70%. La spesa privata per assistenza sociosanitaria nelle regioni del nord aggiunge circa il 45% del valore alla spesa pubblica per LTC. Una parte rilevante, il 60% della spesa privata, è destinata ad assistenza familiare e domiciliare.
Le difficoltà
A fronte di queste opportunità, le difficoltà si concentrano sulle criticità tipiche dei sistemi tradizionali di welfare. Non è possibile innovare con vecchie professioni, vecchie procedure, vecchi metodi e strumenti. Non è possibile innovare con chi è convinto di fare già il meglio possibile e di non avere margini per migliorarsi. Vince la paura della valutazione, vissuta come controllo e non invece come conoscenza necessaria per fare di più.
Le altre difficoltà hanno a che fare col futuro che ci aspetta. Dal prossimo anno gli ATS (Ambiti Territoriali Sociali) dovranno gestire unitariamente le risorse delle missioni 5 e 6 del PNRR, in particolare quelle destinate alla non autosufficienza e alla disabilità. Ma quanto ci vorrà perché gli ATS diventino centri unitari di gestione di tutti i servizi sociali, nei termini previsti dalla legge n. 234 del 31 dicembre 2021, art. 1 comma 163?
Quanto ci vorrà per contrastare l’allostatic overload, cioè la diffusa percezione di carico insostenibile, che ostacola le azioni di KTP (Knowledge Translation Platform), cioè i trasferimenti di competenze necessari per modificare strutturalmente le capacità dei servizi? Quanto ci vorrà per sviluppare soluzioni traslazionali capaci di favorire il passaggio dai risultati della ricerca sperimentale a quelli della ricerca traslazionale, per implementarli nelle cure territoriali e domiciliari?
Le opportunità
Le opportunità a disposizione ci dicono che l’accelerazione giuridica ed economica del PNRR può aiutarci a realizzare soluzioni che aspettiamo da tempo. Le risorse pubbliche e private non mancano. Servono nuovi paradigmi per comporle, in modi redditizi e governabili con indici costo/efficacia convincenti. Le sperimentazioni nei territori valorizzano il concorso al risultato professionale e non professionale dei destinatari dei servizi, ottenendo risultati rilevanti, grazie a prognosi di esito di precisione. A parità di fattori produttivi, evidenziano i potenziali a disposizione delle cure di lungo periodo, se gestite con l’arco terapeutico.
Il PNRR ci chiede di passare in tre anni da 378.000 a 1.400.000 persone gestite in setting domiciliari, cioè di raggiungere un altro milione di persone in LTC. Ulteriori opportunità potranno venire dalle norme in discussione sulla non autosufficienza. Prevedono sgravi fiscali significativi per incentivare il «concorso al risultato», professionale e non professionale, componendo le responsabilità dei servizi e delle persone. Una nuova logistica delle capacità ci consentirà cioè di meglio integrare le innovazioni cliniche e organizzative. Sarà possibile guardando oltre un’integrazione sociosanitaria stanca e burocratizzata. Le potenzialità non mancano, ma sono debilitate da un’estenuante attesa. Ci tiene lontani dal bene possibile e da traguardi costituzionali ancora da realizzare.
fonte: Editoriale della rivista Studi Zancan (1/2022) – Fondazione Zancan