Ripubblichiamo l’articolo di Gavino Maciocco come risorsa utile per l’attuazione del PNRR Missione 6 Investimenti C1, Riforma DM 77/2022 e Missione 5 Investimenti C2 e Riforma Non Autosufficienza.
Negli ultimi dieci anni sono stati proposti nuovi modelli di gestione delle malattie croniche basati sulla “proattività” e sulla “sanità d’iniziativa”. Il più noto di questi è il “Chronic Care Model”, (1) sviluppato negli Stati Uniti e sperimentato con successo in diverse altre realtà come Canada, Gran Bretagna, Olanda e Germania (vedi qui ) Tale modello (Figura 1) si basa su due principi:
• l’alleanza tra comunità e sistema sanitario: per migliorare la salute è necessario il coinvolgimento della società, delle sue istituzioni e di tutte le sue varie risorse;
• nello sviluppo di una buona assistenza per i pazienti cronici è importante agire su sei fondamentali elementi, ciascuno dei quali si è dimostrato efficace nel migliorare i risultati di salute:
o strategie e risorse della comunità
o cambiamento dell’organizzazione del Sistema Sanitario
o supporto all’auto-cura
o riorganizzazione del sistema delle cure primarie
o adozione di linee-guida evidence-based
o sistemi informativi clinici computerizzati
Il primo elemento della serie si riferisce alla comunità con le sue strategie e le sue risorse. Spetta alla comunità e alle sue istituzioni rendere più facili per i cittadini le scelte giuste per la salute. Ciò significa intervenire sui determinanti sociali di salute, ad esempio rendere più equa e coesa la società con politiche fiscali, più vivibile l’ambiente con adeguate politiche della casa e della sicurezza stradale, più sana l’alimentazione promuovendo il consumo di frutta e verdura. Le risorse della comunità – gruppi di volontariato, gruppi di auto aiuto, centri per anziani autogestiti – possono svolgere un ruolo fondamentale sia come centri di aggregazione, socializzazione e solidarietà, sia come promotori di buone pratiche per la salute (attività fisica, cessazione del fumo, educazione alimentare, etc). E’ infine necessario che utenti, amministratori e professionisti lavorino insieme per definire i programmi, stabilire le priorità e gli obiettivi, affrontare i problemi man mano che si presentano.
Gli altri elementi del modello riguardano il sistema sanitario. Un sistema sanitario che vuole migliorare la gestione delle malattie croniche deve essere motivato e preparato al cambiamento della sua organizzazione. Il passaggio dal paradigma dell’attesa a quello dell’iniziativa comporta un salto culturale importante che coinvolge tutto il personale sanitario che opera all’interno delle cure primarie, in particolare i medici di famiglia e gli infermieri. Il cambiamento interessa molti aspetti dell’organizzazione: dalla logistica (la disponibilità di spazi per supportare la costituzione di team delle cure primarie) alle infrastrutture informatiche (per consentire la costruzione di registri di patologia).
Nella sanità d’iniziativa il paziente diventa il protagonista attivo del processo assistenziale. Una buona relazione tra professionisti e pazienti è la chiave per fare sì che i pazienti siano aiutati nell’impegno di auto-gestire la loro malattia. Infatti, la gestione delle malattie croniche può essere insegnata alla maggior parte dei pazienti e un rilevante segmento di questa gestione – la dieta, l’esercizio fisico, il monitoraggio (della pressione, del glucosio, del peso corporeo, etc.), l’uso dei farmaci – può essere trasferito sotto il loro diretto controllo.
Il supporto all’auto-cura non si esaurisce nella corretta informazione sulle caratteristiche della malattia e su cosa uno deve fare, ma punta a un obiettivo molto più alto che è quello di aiutare i pazienti ad assumere un ruolo centrale nella loro assistenza, ad acquisire motivazioni, fiducia e abilità, procurando gli strumenti necessari per affrontare e risolvere i problemi quotidiani.
La sanità d’iniziativa richiede una profonda riorganizzazione del sistema delle cure primarie, e in particolare l’ambito della medicina di famiglia. Il passaggio dal paradigma dell’attesa (ovvero rispondere quando una persona è malata) a quello dell’iniziativa (ovvero mantenere le persone in buona salute il più a lungo possibile) non consente più ai medici di famiglia di lavorare da soli. Tutto ciò richiede la costituzione di team assistenziali all’interno dei quali sono definiti ruoli e funzioni, con una chiara separazione dell’assistenza ai pazienti acuti dalla gestione programmata ai pazienti
cronici. I medici trattano i pazienti acuti, intervengono nei casi cronici difficili e complicati; personale infermieristico è formato per supportare l’auto-cura dei pazienti, per svolgere alcune specifiche
funzioni (test di laboratorio per pazienti diabetici, esame del piede, etc.) e assicurare la programmazione e lo svolgimento del follow-up dei pazienti.
Le visite programmate sono uno degli aspetti più significativi del nuovo disegno organizzativo del team, per fare in modo che i pazienti non siano abbandonati a se stessi.
Il coordinamento all’interno del team deve garantire la condivisione dei percorsi assistenziali, la corretta comunicazione tra i professionisti, la continuità delle cure e la verifica della qualità dell’assistenza con regolari attività di audit.
L’adozione di percorsi diagnostici-terapeutici basati sull’evidenza forniscono al team gli standard per fornire un’assistenza ottimale ai pazienti cronici. Le linee-guida sono rinforzate da un’attività di sessioni di aggiornamento per tutti i componenti del team.
Organizzare efficacemente i dati dei pazienti e della popolazione assistita è una condizione essenziale per lo sviluppo della sanità d’iniziativa; è, infatti, virtualmente impossibile attuare tale strategia senza avere prontamente a disposizione le informazioni necessarie. I sistemi informativi computerizzati svolgono al riguardo tre importanti funzioni:
• per la costruzione dei registri di patologia, ovvero le liste di tutti i pazienti con una determinata condizione cronica in carico a un team di cure primarie, indispensabili • anche per identificare i sottogruppi dei pazienti (per differenti livelli di gravità) e quindi per pianificare gli interventi assistenziali;
• come sistema di allerta per facilitare il rispetto delle scadenze delle visite programmate;
• come sistema di monitoraggio dei livelli di performance.
Tutti questi elementi concorrono al raggiungimento di due obiettivi intermedi:
• un paziente informato e partecipe
• un team competente e proattivo.
L’interazione tra questi due elementi produce risultati di salute misurabili in termini di mortalità evitabile, di riduzione delle complicazioni e dei ricoveri ospedalieri, di miglioramento della qualità della vita dei pazienti.
Il Chronic Care Model, a quasi 20 anni dalle prime sperimentazioni, ha dimostrato di essere un modello di cura altamente efficace nella gestione e nel controllo delle malattie croniche. Un modello ormai ampiamente diffuso e sperimentato, dal Brasile (vedi http://www.saluteinternazionale.info/2015/02/chronic-care-model-in-salsa-brasiliana/), alla Germania, dove una serie di studi hanno dimostrato che la sua applicazione produce una riduzione della mortalità, dei ricoveri ospedalieri e di conseguenza una riduzione dei costi (vedi http://www.saluteinternazionale.info/2014/09/chronic-care-model-in-salsa-tedesca/).
Il Chronic Care Model è stato adottato in Italia solo in alcune regioni, come l’Emilia Romagna e la Toscana. In quest’ultima regione, a partire dal 2010 è in atto il progetto regionale sulla Sanità d’Iniziativa per la gestione delle malattie croniche, che prevede la costituzione di team multi-professionali composti da medici di famiglia e infermieri territoriali, capaci di identificare, arruolare e seguire proattivamente i pazienti affetti da diabete mellito tipo II, scompenso cardiaco, broncopatia cronico-ostruttiva (BPCO) ed esiti di ictus, con l’effetto di prevenire l’aggravamento delle patologie e ridurre il ricorso ai ricoveri ospedalieri e gli accessi al pronto soccorso. Oggi quasi 2 MMG su 3 in Toscana lavorano sulle malattie croniche con questo approccio, nell’ambito delle Aggregazioni Funzionali Territoriali (AFT)
(vedi http://www.saluteinternazionale.info/2017/02/sanita-di-iniziativa-in-toscana-2/) .
Cosa serve per un’efficace gestione delle malattie croniche. Il decalogo di Chris Ham
Chris Ham, professore di Health Policy and Management, uno dei più noti e autorevoli analisti di politica sanitaria, ha dedicato alla gestione delle malattie croniche un ampio studio (2)in cui traccia la storia dell’applicazione del Chronic Care Model nel decennio 2000-2010, valutandone i risultati ed evidenziando quanto ancora è necessario per migliorare il sistema e riorientare i servizi per soddisfare i bisogni delle popolazioni.
Sulla base dell’esperienze che meglio hanno funzionato e dell’ampia letteratura a disposizione C. Ham traccia una sorta di decalogo, un elenco delle dieci caratteristiche necessarie per garantire un efficace gestione delle malattie croniche (Tabella 1).
Il Piano Nazionale della Cronicità
In Italia il Ministero della Salute (con qualche anno di ritardo) ha prodotto, nel 2016, il Piano Nazionale della Cronicità, un documento di 150 pagine che fa proprie le parole chiave del Chronic Care Model:
• empowerment del paziente inteso come abilità a “fare fronte” alla nuova dimensione imposta dalla cronicità e sviluppo della capacità di autogestione (self care);
• approccio multidimensionale e di team e non solo relazione “medico-paziente”;
• costruzione condivisa di percorsi integrati, personalizzati e dinamici e superamento dell’assistenza basata unicamente sulla erogazione di prestazioni, occasionale e frammentaria.
• presa in carico pro-attiva ed empatica e non solo risposta assistenziale all’emergere del bisogno.
Anche sul piano concettuale il Piano contiene precisi richiami alla filosofia del Chronic Care Model, vedi: “Gli obiettivi di cura nei pazienti con cronicità, non potendo essere rivolti alla guarigione, sono finalizzati al miglioramento del quadro clinico e dello stato funzionale, alla minimizzazione della sintomatologia, alla prevenzione della disabilità e al miglioramento della qualità di vita. Per realizzarli è necessaria una corretta gestione del malato e la definizione di nuovi percorsi assistenziali che siano in grado di prendere in carico il paziente nel lungo termine, prevenire e contenere la disabilità, garantire la continuità assistenziale e l’integrazione degli interventi sociosanitari. Il paziente cui ci si riferisce è una persona, solitamente anziana, spesso affetta da più patologie croniche incidenti contemporaneamente (comorbilità o multimorbilità), le cui esigenze assistenziali sono determinate non solo da fattori legati alle condizioni cliniche, ma anche da altri determinanti (status socio- familiare, ambientale, accessibilità alle cure ecc.). (…) La presenza di pluripatologie richiede l’intervento di diverse figure professionali ma c’è il rischio che i singoli professionisti intervengano in modo frammentario, focalizzando l’intervento più sul trattamento della malattia che sulla gestione del malato nella sua interezza, dando talvolta origine a soluzioni contrastanti, con possibili duplicazioni diagnostiche e terapeutiche che contribuiscono all’aumento della spesa sanitaria e rendono difficoltosa la partecipazione del paziente al processo di cura. (…) In tale concezione, le cure primarie costituiscono un sistema che integra, attraverso i Percorsi Diagnostico- Terapeutico-Assistenziali (PDTA), gli attori dell’assistenza primaria e quelli della specialistica ambulatoriale, sia territoriale che ospedaliera e, in una prospettiva più ampia, anche le risorse della comunità (welfare di comunità). La costruzione di PDTA centrati sui pazienti è garanzia di effettiva presa in carico dei bisogni “globali” e di costruzione di una relazione empatica tra il team assistenziale e la persona con cronicità ed i suoi Caregiver di riferimento”.
L’anomalia lombarda (basata su competizione e mercato)
Con l’acronimo “CReG” (Chronic Related Group) la Regione Lombardia lancia nel 2011 un progetto il cui obiettivo dichiarato è quello di migliorare le condizioni di vita dei cittadini affetti da patologie croniche. Gli obiettivi “non dichiarati” erano altri: a) tenere fuori dalla partita della cronicità i medici di medicina generale (MMG), ritenuti non idonei allo scopo; b) portare dentro la partita ogni tipo di provider in grado di gestire percorsi assistenziali complessi remunerati attraverso un sistema di budgettizzazione forfettaria simile ai DRGs ospedalieri; c) tenere sotto controllo una spesa – quella legata alla gestione delle cronicità – destinata altrimenti a impennarsi.
L’idea di escludere dal progetto i MMG non va in porto, anzi: la sperimentazione dei CReG sarà riservata a cooperative di medici di famiglia di 5 Asl: Bergamo, Lecco, Como, Milano città e Milano 2. A supporto delle cooperative dei MMG operano i Centri Servizi, strutture private (h12/365) cui è affidata la programmazione dei Piani Assistenziali Individuali (PAI): visite specialistiche, accertamenti diagnostici, assistenza infermieristica, nonché eventuali servizi aggiuntivi come farmaci a domicilio, trasporti, telemedicina.
L’approvazione del Piano Nazionale della Cronicità è stata per la Lombardia l’occasione per dichiarare conclusa l’esperienza del CReG, rilanciandone tuttavia la filosofia di fondo con le due delibere (6164 del 30 Gennaio 2017 e 6551del 4 maggio 2017) finora approvate dalla Giunta Regionale. Il quadro che abbiamo di fronte è di una sanità d’iniziativa dal carattere del tutto particolare: basata su tariffe e risparmio, su competizione e mercato, sulla presenza opzionale dei medici di medicina generale, sull’assenza di efficaci interventi di prevenzione e di supporto all’autocura (il massimo che si concede è il “controllo e promozione dell’aderenza terapeutica”).
Il tutto avviene in un contesto privo della infrastruttura considerata fondamentale e irrinunciabile in ogni seria strategia di prevenzione, controllo e gestione delle malattie croniche: il distretto e l’organizzazione delle cure primarie. L’affossamento di questa infrastruttura, avvenuto diversi anni fa, è una sorta di “peccato capitale” della sanità lombarda. Un peccato da cui non si può essere assolti dando vita a un surrogato debole e improprio (e come al solito del tutto privato): il Centro Servizi.
Per approfondire l’Anomalia lombarda vedi
http://www.saluteinternazionale.info/2017/04/lombardia-i-malati-cronici-al-miglior-offerente/
http://www.saluteinternazionale.info/2017/05/sanita-lombarda-e-cronicita-riforma-confusa-con-metodo/
http://www.saluteinternazionale.info/2017/11/sanita-e-mercato-in-lombardia-lassalto-alla-diligenza/
http://www.saluteinternazionale.info/2017/05/il-piano-nazionale-della-cronicita-e-lanomalia-lombarda/
http://www.saluteinternazionale.info/2017/05/sanita-lombarda-e-cronicita-riforma-confusa-con-metodo/
++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++++
Note
(1)www.improvingchroniccare.org
(2)Ham C. The ten characteristics of the high-performing chronic care system [PDF: 285 Kb]. Health Economics, Policy and Law 2010; 5: 71–90
fonte: Per Lunga Vita 2018