Contagiarsi di Covid fa meno paura. Questioni di lessico? Cesare Cislaghi, Maria Teresa Giraudo, Manuele Falcone

Da diverse settimane si sta assistendo a un progressivo mutamento del lessico riguardante la pandemia da Covid che, volutamente o no, tende a renderne meno preoccupante la percezione.

È di ieri l’affermazione del sottosegretario Sileri che questa non è un’ondata, ma solo una oscillazione del virus, di settimane fa l’affermazione di Bassetti «Virologi basta, è un’influenza» o di Pregliasco «Malattia grave? No, ora i sintomi sono lievi». Non si parla più di pandemia e neppure di epidemia, ma solo di «circolazione del virus», e si dice che i ricoveri e i decessi non sono per lo più dovuti al virus, ma sono solo di malati che si erano infettati con il virus.

La prevalenza accertata è poco meno di un milione e mezzo di contagiati e molti stimano che in realtà gli attuali positivi siano il doppio, cioè tre milioni. Strana oscillazione quella di un’infezione che contemporaneamente riguarda tante persone e che non appare certo solo momentanea.

Oltre a un lessico più rassicurante, vengono contemporaneamente fatte anche affermazioni che difficilmente possono considerarsi non contradditorie: da una parte si afferma che la variante del virus oggi dominante è di gran lunga la più contagiosa che si sia mai vista, e dall’altra però si afferma pure, da parte delle stesse fonti, che non serve alcuna misura restrittiva. E anche qui il lessico si inverte: prima si parlava delle misure come misure di prevenzione, misure precauzionali, ora le si definisce solo come restrittive, connotandole così solo di negatività.

Ma qual è la realtà? La realtà è che le diagnosi di positività sono via via molto cresciute a partire da maggio, con un’accelerazione presente sino al 19 giugno, che è il giorno in cui l’indice di sviluppo RDt ha iniziato a diminuire.

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Un’ondata che dalla media settimanale di 15.700 contagi del 31 maggio si è più che sestuplicata nella media di 96.684 contagi del 10 luglio. Una crescita che dura da quaranta giorni, che oggi sembra stia raggiungendo il suo massimo e che probabilmente, se non succede nient’altro, terminerà almeno tra tanti giorni quanti ne ha trascorsi a crescere, cioè forse potrà terminare alla fine di agosto.

Dal 1° giugno al 13 luglio sono state registrate 2.242.471 diagnosi di positività, sono stati assistiti in ospedale pazienti positivi per 262.560 giornate di ricovero, ci sono stati 1.276 nuovi accessi in terapia intensiva e 2.799 deceduti contagiati da Covid.

Se è evidente che la pandemia non è terminata e che questa in corso è una ondata di contagi imponente, è però giusto chiedersi se il quadro clinico dell’infezione sia o meno migliorata. Il grafico seguente (con valori in scala logaritmica) rappresenta l’andamento proporzionale dei diversi indicatori dal 1° giugno rispetto alla loro media dell’ultima settimana di maggio:

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Se nelle prime settimane di giugno i ricoveri e i decessi sono cresciuti meno dei contagi, questo è anche dovuto al fatto che entrambi gli eventi si manifestano diversi giorni dopo le diagnosi di positività. Se si esaminano infatti i rapporti tra gli indicatori con i contagi opportunamente retro datati il risultato è il seguente:

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Non sembra quindi scorretto poter concludere che:

  • l’attuale fase dell’epidemia può essere certamente definita come “ondata” come sono state le precedenti

e anche che:

  • non sembra che il quadro clinico delle infezioni sia significativamente migliorato in quanto la percentuale dei positivi che hanno necessitato di ricovero e che sono deceduti è rimasto sostanzialmente costante.

Forse non basta cambiare il lessico per far sì che la pandemia possa ritenersi quasi esaurita.

Gli Autori:

Cesare Cislaghi1Maria Teresa Giraudo1Manuele Falcone1

  1. Redazione MADE

fonte: E&P

fonte immagine in copertina: E&P

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