A causa della pandemia, la sanità è stata rifinanziata e grazie al PNRR godrà di un’importante iniezione di risorse, ma nulla sembra sbloccarsi sul fronte del personale sanitario, la principale carenza strutturale del SSN.
C’è bisogno di ripeterlo? Probabilmente sì!
C’è voluta la pandemia da Covid 19 per ricordarci che la principale carenza strutturale del SSN era quella del personale. A parte la promessa stabilizzazione di almeno una parte degli assunti per fronteggiare la pandemia, tuttavia, nulla sembra muoversi verso un complessivo aumento del personale sanitario, nemmeno per far funzionare quanto previsto nel PNRR. Come dimostrano numerosi dati statistici e recenti studi, ciò rischia di aggravare ulteriormente le disuguaglianze nell’accesso alle cure.
Il SSN è fondato sui principi di universalismo ed equità. Tuttavia, tra la riorganizzazione e il risanamento dopo la crisi del 2008, il SSN ha subito un evidente contraccolpo, soprattutto in termini di dotazione strutturale e di personale. Quest’ultimo, in particolare, dal 2009 al 2017 ha subito una riduzione costante, pari al 5,2% annuo (Ragioneria Generale dello Stato, 2019). Nel 2005, il 15,9% dei medici di medicina generale superava la soglia massima consentita di 1.500 assistiti, che nel 2018 si attestava al 34% (ISTAT, BES 2020). Ma ci sono anche altri fattori da considerare. Si è assistito ad una fuga progressiva del personale dal sistema pubblico a quello privato, è cresciuto il ricorso ai contratti a tempo determinato e alle consulenze (Corte dei conti, 2019), e le assunzioni a tempo indeterminato non sono state sbloccate, tanto che alla fine del 2018 il personale era inferiore a quello del 2012 (Corte dei Conti, 2022). Non stupisce, quindi, che il SSN si dimostri sempre meno attrattivo (La Colla, 2019), e infatti si stima che almeno 1000 medici all’anno lascino il paese (Sumai, 2019). Tirando le somme, si prevede che tra due anni vi saranno complessivamente quarantamila medici in meno (Anaoo Assomed, 2022).
Quali le conseguenze?
Quella più rilevante è un accesso alle cure diventato più arduo e sperequato. Ne hanno fatto le spese i cittadini costretti a ricorrere al privato, pagando di tasca propria i servizi sanitari, o a rinunciare del tutto a curarsi quando i mezzi per farlo non ci sono, come è avvenuto per molte famiglie del Mezzogiorno. In aggiunta, la pandemia è diventata sindemia, quindi, in pratica, sono stati traditi universalismo ed equità, fondamenti della legge 833/78 istitutiva del SSN, e il diritto fondamentale alla salute è diventato economicamente condizionabile.
Ma quanto bisogna spendere per garantire l’universalismo e l’equità?
Al fine di misurare la copertura sanitaria universale, l’Insitute of Health Metrics and Evaluation (IHME) dell’Università di Washington ha calcolato l’indice di copertura sanitaria effettiva (Universal Health Coverage, UHC), che tiene conto contemporaneamente dei bisogni di salute delle varie popolazioni, durante tutta la vita, e dei guadagni di salute avutisi grazie agli interventi del sistema sanitario. Calcolato per 204 paesi dal 1990 al 2019, assume valori da zero a cento (GBD, 2019). Circa l’Italia, al 2019 l’UHC è pari a 89 e le criticità si rilevano per i servizi relativi a pianificazione familiare, diabete, ictus e malattia renale cronica. In Europa fanno meglio la Spagna con il 90,3 e la Francia con il 91, mentre la Germania e il Regno Unito fanno peggio, rispettivamente con l’86,5 e l’88. Inoltre, gli aumenti più consistenti si registrano per tutti nel periodo 1990-2010 rispetto a quello 2010-2019, a conferma della penuria di risorse destinate alla sanità negli anni successivi alla crisi del 2008. Bisogna spendere 1398 dollari a persona per raggiungere un UHC pari a 80, 2538 dollari per un UHC pari a 90 e 3424 dollari per un UHC pari a 95. Si veda Figura 1. Se si aggiungono le spese out of pocket, l’indice non migliora a dimostrazione dell’inefficienza e dell’iniquità di tali spese. Si veda Figura 2.
Figura 1. Copertura sanitaria effettiva e spesa sanitaria pro-capite
Fonte: GBD, 2019
Figura 2. Copertura sanitaria effettiva e spesa sanitaria pro-capite comprensiva di spesa out of pocket
Fonte: GBD 2019
Le differenze tra paesi si devono soprattutto all’organizzazione del sistema sanitario, che risulta più efficiente se finanziato con fiscalità generale o assicurazioni sociali, oltre che ai livelli e alla disuguaglianza di reddito. Si è visto che i sistemi sanitari pubblici fanno meglio dei privati (gli USA spendono più di tutti e ottengono un UHC pari a 82,2) e che vi sono margini per l’aumento e l’efficientamento delle risorse.
Ma allora, quanti operatori sanitari sono necessari a raggiungere un alto valore di UHC?
Sulla base di dati internazionali, l’IHME ha recentemente pubblicato un lavoro in cui si stima la densità di risorse umane presenti dal 1990 al 2019 in 204 paesi, posta in relazione con l’UHC (GBD, 2022). Nel 2019 sono 104 milioni gli operatori sanitari, 12,8 milioni i medici, 29,8 milioni gli infermieri e le ostetriche, 4,6 milioni gli appartenenti al personale di odontoiatria e 5,2 milioni quelli compresi nel personale farmaceutico. Solo per citare un caso, a livello mondiale la densità di medici per 10000 abitanti è pari a 16,7, con notevoli differenze tra paesi: dal 2,9 dell’Africa Sub Sahariana al 26,1 dell’Europa occidentale.
Relativamente all’Italia e al confronto con alcuni partner europei, si nota una variazione più consistente per la categoria denominata altri operatori sanitari, che dal 1900 al 2019 cresce più delle altre. Al 2019, vi sono più medici da noi che negli altri paesi, mentre siamo quelli con meno risorse tra infermieri e altri operatori sanitari. A proposito, si veda la tabella n.1
Tabella 1. Densità operatori sanitari
Tuttavia, per raggiungere un UHC pari a 90 occorre una densità per 10000 abitanti di 35,4 medici, 114,5 infermieri, 14,4 di personale odontoiatrico e 15,8 di quello farmaceutico. Al 2019, siamo in difetto su tutte le categorie appena menzionate, tranne i medici.
È il personale il fattore sul quale il nostro paese deve stare al passo con l’Europa. Universalismo ed equità continuano ad essere a rischio, minati, tra l’altro, dal ritardo ventennale accumulato dal nostro paese rispetto ai partner europei in termini di PIL, dall’invecchiamento della popolazione e dai noti ritardi del Mezzogiorno. Lì, più che altrove, ai mali dell’universalismo dimostratosi, nella pratica, iniquo, si sommano deprivazione economica, servizi pubblici scadenti, danni ecologici, disoccupazione e criminalità diffuse, livelli d’istruzione e formazione inadeguati. Ed è noto quanto il contesto socioeconomico incida pesantemente sulla salute, tant’è che il tema è prepotentemente riemerso durante la pandemia. A causa della pandemia, la sanità è stata rifinanziata e grazie al PNRR godrà di un’importante iniezione di risorse, ma nulla sembra sbloccarsi sul fronte del personale sanitario. Sembra persistere la convinzione che il personale sia solo un costo, laddove in realtà esso è fattore produttivo che, combinato con altri, produce direttamente reddito e salute, anch’essa, a sua volta, fattore produttivo (R. J. Barro, 2013).
La sfida a cui sono chiamati a rispondere i decisori politici è indubbiamente complessa. C’è tuttavia da sperare che la risposta non arrivi troppo tardi, perché, com’è noto, “in the long run we are all dead” (J. M. Keynes, 1923).
Cristiana Abbafati è economista sanitario. Lavora presso il Dipartimento di Studi Giuridici ed Economici dell’Università Sapienza di Roma. È collaboratore del Global Burden of Disease, GBD, Study, coordinato dall’IHME, Institute of health metrics and evaluation dell’Università di Washington. È membro della GBD Italian Initiative, coordinata da Lorenzo Monasta del Burlo Garofolo di Trieste.
Bibliografia
Global burden of Diseases Study, GBD, 2019, Measuring universal health coverage based on an index of effective coverage of health services in 204 countries and territories, 1990–2019: a systematic analysis for the Global Burden of Disease Study 2019. The Lancet, August 2020. doi:10.1016/S0140-6736(20)30750-9
Global burden of Diseases Study, GBD 2022, Measuring the availability of human resources for health and its relationship to universal health coverage for 204 countries and territories from 1990 to 2019: a systematic analysis for the Global Burden of Disease Study 2019, The Lancet, May 2022.
Corte dei conti, Rapporto sul coordinamento della finanza pubblica, 2019 e 2021.
Ragioneria Generale dello Stato, Monitoraggio della spesa sanitaria, 2019, anno pubblicazione 2020
Luca La Colla (2019) Health worker gap in Italy: the untold truth, The Lancet, August 17, 2019
Anaoo Assomed, Associazione Medici Dirigenti, Tutti i numeri della carenza dei medici specialisti, 23 maggio 2022
ISTAT, Rapporto BES, Il Benessere equo e sostenibile in Italia, 2021
Barro, Health and economic growth, 2013, Annals of economics and Finance, 14-2, 329–366
Sumai, Sindacato degli specialisti ambulatoriali, Dossier, Ottobre 2019
fonte: saluteinternazionale.info